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I sindacati: "Le aziende lecchesi non riescono più a sostenere i costi di luce e gas, lavoro a rischio"

I rincari energetici causati principalmente dal conflitto in Ucraina stanno mettendo in seria difficoltà famiglie e imprese, mentre nel mese di luglio in provincia di Lecco sono sensibilmente cresciute le richieste di cassa integrazione ordinaria (+34% rispetto a giugno)

I sindacati: "Le aziende lecchesi non riescono più a sostenere i costi di luce e gas, lavoro a rischio"
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Intervento congiunto dei sindacati Cgil Lecco, Cisl Monza Brianza Lecco e Uil Lario sul caro luce e gas

La situazione economica e sociale del Paese desta preoccupazione. I rincari energetici causati principalmente dal conflitto in Ucraina stanno mettendo in seria difficoltà famiglie e imprese, mentre nel mese di luglio in provincia di Lecco sono sensibilmente cresciute le richieste di cassa integrazione ordinaria (+34% rispetto a giugno), con le aziende che non sono più nelle condizioni di sostenere i costi esorbitanti di luce e gas e i lavoratori che temono per le ripercussioni in termini di continuità produttiva e occupazionale. Il Governo si è mosso approvando il Dl Aiuti bis, che prevede l’allargamento della platea di destinatari del bonus 200 euro e una decontribuzione per salari e pensioni, ma le risorse stanziate sono del tutto insufficienti a risolvere il problema. 

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CGIL, CISL e UIL da tempo chiedono di affrontare la situazione attraverso interventi immediati e strutturali. Occorre anzitutto aumentare la tassazione degli extraprofitti accumulati dalle imprese energetiche luce e gas, una misura di equità che permetterebbe la redistribuzione dei proventi a famiglie e imprese. Parallelamente è necessario promuovere un accordo all’interno dell’UE che fissi un tetto al prezzo del gas, per impedire ulteriori speculazioni finanziarie sui costi dell’energia, e che permetta il disaccoppiamento del prezzo del gas stesso da quello dell’elettricità, al fine di evitare che si influenzino a vicenda in caso di rimbalzo dei costi. Il rilancio dell’azione congiunta a livello europeo è fondamentale anche per consolidare gli interventi previsti all’interno del PNRR, che alcune forze politiche vorrebbero rinegoziare: il rischio è quello di minare il processo di transizione ecologica verso un nuovo modello produttivo che tenga insieme diritto al lavoro e tutela ambientale, per non vivere in una situazione di perenne emergenza.

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Dal punto di vista occupazionale, l’aumento delle ore di CIG associato all’inflazione galoppante, che ad agosto ha raggiunto la cifra record dell’8,4%, determina una pesante perdita del potere d’acquisto dei lavoratori. I primi a subirne le conseguenze sono coloro che hanno contratti a termine, che in base ai dati dei Centri per l’impiego rappresentano la stragrande maggioranza delle nuove attivazioni, poiché le imprese in difficoltà economica tendono prima di tutto a non rinnovare i rapporti di lavoro in scadenza. Alla precarietà si accompagna spesso il fenomeno del lavoro povero, dipendente da una serie di fattori tra i quali la proliferazione di contratti pirata firmati da organizzazioni sindacali poco rappresentative, se non addirittura di comodo. CGIL, CISL e UIL valutano positivamente, anche se non sufficiente, la riduzione del cuneo fiscale su Irpef e contributi Inps per aumentare lo stipendio netto, ma è necessario che la politica chiarisca come intende intervenire: tale riduzione, infatti, non può che essere a carico della fiscalità generale, altrimenti il beneficio immediato in busta paga si ripercuoterebbe sugli importi pensionistici futuri. Occorre anche prevedere un’integrazione della cassa integrazione, per far sì che essa copra il 100% della retribuzione ordinaria, mentre la legge attuale prevede un massimale lordo di 1.220 euro mensili. È evidente come questi interventi richiedano un ruolo proattivo dello Stato, del tutto incompatibile con alcune proposte di riforma fiscale avanzate in campagna elettorale, fondate sulla ormai nota “flat-tax”, che, oltre a essere ingiusta, negando qualsiasi forma di progressività, comporterebbe anche una drastica riduzione del gettito fiscale, inficiando le risorse necessarie a garantire il welfare pubblico e la sanità di natura universalistica, e dunque mettendo a repentaglio fondamentali garanzie sociali fondate costituzionalmente.

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