"Chiuso per mafia" il progetto del Parini per ricordare le vittime della criminalità organizzata
Ospiti dell’eccezione Antonella e Pasquale Borsellino di Libera, fratelli e figli di Paolo e Giuseppe imprenditori di Lucca Sicula uccisi dalla mafia nel 1992.
Un percorso fatto di porte: un bar, un gommista, un albergo, un autotrasportatore, un’impresa edile... porte contro le quali la vita dei titolari è stata infranta, distrutta dalla mafia. Donato Diego Maria Boscia, Carmelo Iannì, Gaetano Giordano, Giovanni Panunzio, Paolo e Giuseppe Borsellino, Libero Grassi, Mario Diana, Mimmo Noviello, Luigi Coluccio. Questi i nomi delle vittime della criminalità organizzata a cui gli studenti dell’Istituto Parini hanno voluto dedicare la loro installazione. E’ stato un lavoro enorme sulla legalità dal titolo "Chiuso per mafia" quello messo in atto dalle classi quarta A e B Professionale Servizi Commerciali coadiuvati dall’insegnate Carmen Greco e supportati dagli studenti del Clerici.
Chiuso per Mafia
Ad introdurre il percorso, nella mattinata di oggi, mercoledì 22 marzo 203, è stata la dirigente scolastica Raffaella Crimella alla presenza del prefetto Sergio Pomponio, del questore Ottaviano Aragona, del provveditore, Adamo Castelnuovo, del sindaco Mauro Gattinoni, della presidente della Provincia Alessandra Hofmann degli assessori Emanuele Manzoni e Renata Zuffi e il presidente del Consiglio Roberto Nigriello. Ospiti dell’eccezione Antonella e Pasquale Borsellino di Libera, fratelli e figli di Paolo e Giuseppe imprenditori di Lucca Sicula (in provincia di Agrigento) barbaramente uccisi dalla mafia nel 1992.
Chiuso per Mafia: le parole della dirigente Crimella
"Questa per noi è la giornata della memoria delle vittime della mafia - ha esordito la dirigente scolastica Crimella - I ragazzi hanno realizzato questa installazione per non dimenticare".
"Il primo concetto chiave che mi viene in mente è il valore dell’esempio, dal grande al piccolo e ringrazio per essere qui con noi Antonella e Pasquale Borsellino. E’ ai loro parenti, esempio di imprenditoria etica, a cui è dedicata questa installazione. E poi il valore dell’esempio per i nostri ragazzi, di docenti che comunque hanno continuato a perseguire questo impegno: la scuola è questo, siamo noi a dover dare l’esempio".
Il provveditore Castelnuovo parla di Chiuso per Mafia
"Chiuso per mafia è il frutto di un lungo percorso - ha aggiunto il provveditore Castelnuovo - ma è alla vostra età che si inizia a distinguere quello che è giusto e quello che è sbagliato. Mai come oggi la nostra Costituzione e lo Stato sono importanti per vivere nella legalità». E ancora. «Vi invito a fare la scelta giusta. Troppo spesso oggi si sente parlare di furbetti, quelli che sanno stare al mondo, che aggirano le regole. E questo rappresenta il primo passaggio per l’illegalità. Ricordatevi sempre che le parole sono come pietre e sono preziose, usatele per veicolare messaggi di giustizia». Dal canto suo la presidente Hofmann ha sottolineato l’importanza di ricordare storie come quella di Paolo e Giuseppe Borsellino «perché le infiltrazioni sono dietro l’angolo».
Il primo cittadino ha voluto invece ricordare l’esempio di Piero Nava, un lecchese testimone dell’omicidio di un giudice che ha saputo denunciare la mafia e questo gli ha cambiato la vita perché ancora oggi vive nella clandestinità.
Antonella Borsellino
Poi la parola è passata ai famigliare di Paolo e Giuseppe Borsellino uccisi rispettivamente il 21 aprile e 17 dicembre 1992, l’anno delle stragi di Giovanni Falcone e del giudice Paolo Borsellino, che parente di Antonella e Pasquale non era, ma portava lo stesso nome del fratello.
«La verità è che nel 1992 morirono per mano mafiosa tre Borsellino» l’esordio di Antonella. "Il 21 aprile saranno 31 anni da quando Paolo è stato ucciso ma la nostra ferita è ancora aperta. Quella notte le nostre vite sono state sconvolte. Mio padre non ha mai pensato di vendicarsi, credeva nello Stato. Per Paolo non abbiamo mai avuto giustizia, per nostro padre venne condannato l’esecutore materiale".
Paolo e Giuseppe Borsellino, titolari di una piccola impresa di calcestruzzo a Lucca Sicula, si trovarono al centro dell'uragano del guadagno corrotto. "Hanno resistito con coraggio e determinazione all’assedio della mafia e sono stati uccisi".
Pasquale Borsellino
"Papà e Paolo erano due persone semplicissime che non facevano lotta alla mafia - ha aggiunto Pasquale Borsellino - che non erano particolarmente impegnati. Erano solo due imprenditori con dei sogni, soprattutto Paolo, che quando è stato ucciso aveva 30 anni e due bambini piccoli che avrebbe voluto vedere crescere. Lavorava con il movimento terra, nacque poi l’idea di un impianto di calcestruzzi che è stata la nostra disperazione perché sul territorio di Lucca Sicula giunsero dei finanziamenti". Così all’improvviso un impianto di calcestruzzi con una sola betoniera "divenne al centro di interessi mafiosi".
"Prima chiesero il pizzo poi uccisero Paolo"
Prima vennero a chiedere il pizzo "mai in maniera diretta, dicevano che c’erano amici in carcere e che bisognava mantenere le loro mogli e i loro figli, dacci dei soldi ma mio fratello rispose che con quella gente non voleva avere nulla a che fare". Poi vennero per uccidere Paolo. Il corpo fu trovato dal padre, Giuseppe, dopo ore di ricerca, in un’auto, la sua Panda, vicino a dove abitava. Lo riconobbe dalle gambe che uscivano dallo sportello della macchina, ma non ebbe la forza di avvicinarsi e chiamò aiuto. "Gli spararono in faccia con la lupara a canne mozze, lui cercò di proteggersi il viso con una mano e perse tutte le dita. Quindi un colpo al cuore". Gli otto mesi successivi, fino al suo omicidio, furono distruttivi per Giuseppe, abbandonato da tutti, tranne che dalla sua famiglia.
L'omicidio di Giuseppe
In paese, quel paese dove era nato e cresciuto e dove vivevano i suoi amici trattava Giuseppe come il "pazzo", colui che aveva commesso la "follia" di dire al magistrato di aver subito intimidazioni mafiose. "Lottò come un guerriero, andò a parlare con il giudice Borsellino, acquisì informazioni che riportava puntualmente al magistrato ma poche ore dopo ciascuna delle sue deposizioni, la mafia già aveva in mano il verbale, grazie ad un poliziotto corrotto che poi venne incriminato". Giuseppe viveva in un’area isolata del paese, sarebbe stato facile coglierlo nella sua abitazione e ucciderlo. Ma invece no, lo aspettarono sulla piazza centrale del paese. "Non aveva una scorta, nessuna protezione. Gli spararono 34 colpi di Kalashnikov, devastandogli il corpo. Nessuno intervenne. Io vivo in Veneto, mio padre volle salvarmi la vita mandandomi lontano a fare il tirocinio. Se no quel giorno, sarei morto insieme a lui".
"Nel 1992 morirono tre Borsellino"
Di qui le conclusioni. "Ancora oggi, quando il 21 marzo si leggono i nomi delle tante vittime innocenti delle mafie, qualcuno cancella il secondo “Paolo Borsellino”, pensando si tratti di un doppione, dovuto a errore di battitura. Invece nel 1992 morirono per mano mafiosa tre Borsellino, due si chiamavano Paolo".