L'intervista

Riccardo Gatti: "In 9 anni ho salvato 60mila persone. Ho visto barche piene di morti"

Riccardo Gatti, 45 anni, originario di Calolziocorteè responsabile delle operazioni di soccorso di Medici Senza Frontiere.

Riccardo Gatti: "In 9 anni ho salvato 60mila persone. Ho visto barche piene di morti"
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«In nove anni passati sulle navi Ong di ricerca e soccorso migranti, ho salvato 60mila persone... forse di più». Riccardo Gatti, 45 anni, originario di Calolziocorte - ma residente a Palma di Maiorca da quando aveva 22 anni - è responsabile delle operazioni di soccorso di Medici Senza Frontiere.

Riccardo Gatti: "In 9 anni ho salvato 60mila persone. Ho visto barche piene di morti"

E’ in mare dal settembre 2015 - la prima volta è stata in Grecia - ma la sua vita è stata sempre nel sociale fra i bambini prima e nei centri di accoglienza poi. Il 45enne - che ha frequentato lo scientifico al Grassi poi è stato al Fiocchi, prima di trasferirsi in Spagna per studiare Psicologia - è stato anche capitano della Open Arms sulla quale nel 2019 è salito anche il celebre attore americano Richard Gere, per aiutare i 168 migranti consegnando viveri e acqua.

Gatti dal 26 agosto si trova bloccato, con la nave dell’Ong Geo Barents, nel porto di Salerno. Sull’imbarcazione pende una multa di 3mila e 300 euro e un fermo amministrativo di 60 giorni. A eseguire il provvedimento - al quale Medici Senza Frontiere ha già presentato ricorso - è stato il personale della Polizia di Stato, insieme agli operatori della Guardia di finanza e della Capitaneria di porto. Il natante, battente bandiera norvegese, nella mattinata di lunedì 26 agosto ha sbarcato a Salerno 191 migranti, soccorsi in acque libiche. Tra loro anche alcune donne e una ventina di minori.

«Attualmente il mio ruolo è quello di dirigere le operazioni di soccorso in mare per Medici Senza Frontiere - racconta - Lunedì scorso avevamo sbarcato 191 persone soccorse in mare. E poi abbiamo ricevuto questo ordine di fermo da parte dell’Italia perché siamo accusati di non aver informato preventivamente le autorità riguardo al soccorso che stavamo per compiere. Questo sulla base di accuse formulate dalle autorità libiche, secondo le quali avremmo messo anche a rischio la vita delle persone che stavamo salvando. Un’accusa ovviamente infondata. Le autorità italiane si basano su informazioni che provengono da uno Stato che le Nazioni Unite hanno definito inaffidabile e colluso con i trafficanti di esseri umani. E noi per questo siamo bloccati a Salerno».

Ma cosa è successo esattamente quella notte?

«Siamo arrivati nel porto Campano dopo aver effettuato cinque soccorsi in mare. Quello che ci contestano è il terzo: il salvataggio di 37 persone. Ma in quella circostanza la situazione è degenerata in pochissimi minuti. In un attimo dall’avvistamento dell’imbarcazione in vetroresina sovraffollata, le persone hanno iniziato a cadere in mare, alcune sono state spinte. Alla fine erano tutti in acqua. Le nostre lance per il soccorso erano a bordo quindi ho dovuto dare il via alle operazioni attivando i protocolli di emergenza che si chiamano “mass people over board” cioè tante persone in mare. I migranti erano molto spaventati per la presenza di una motovedetta libica. Siamo riusciti a mettere in acqua le imbarcazioni di salvataggio e a soccorrere tutti quanti. Poi abbiamo attuato percorsi di ricerca per capire se c’erano dispersi. Quindi ci siamo sentiti sollevati quando le persone salvate ci hanno confermato che erano tutti a bordo. In una notte sono stati soccorsi 139 migranti. Le autorità italiane ci hanno contestato che non avevamo avvisato dell’operazione in corso. Noi abbiamo pensato a salvare prima le vite umane, poi lo abbiamo fatto. Tutto è successo in pochi minuti e prioritariamente abbiamo dovuto espletare gli obblighi etici e anche le leggi internazionali che regolano il soccorso in mare. Ci viene contestato anche di aver messo in pericolo l’incolumità delle persone, che è una cosa a dir poco assurda».

Perché è successo questo?

«Tutto si basa sulle leggi messe in atto dal Governo italiano lo scorso anno che si scontrano e violano le normative internazionali e la legge del mare. Sembra che stiano cercando di forzare le Ong a compiere una scelta fra soccorrere le persone o vedere la propria nave messa in stato di detenzione. Sono anni che vediamo un aumento costante di cinismo da parte delle autorità italiane. Come Ong abbiamo come riferimento per ogni nostra missione la cura e la salvaguardia della vita umana e quindi dobbiamo tornare in mare il prima possibile. Pertanto abbiamo messo in campo tutte le azioni legali per dimostrare prima di tutto l’infondatezza delle accuse e poi perché mentre siamo fermi in porto la gente rischia di morire».

C’è stata anche la questione di un tunisino che avete soccorso e che aveva avuto guai con la giustizia...

«Sì, quando siamo arrivati in porto lui si è gettato in acqua ma è stato arrestato poco dopo. Abbiamo saputo che in passato era stato espulso dall’Italia».

In questi nove anni di attività quante persone ritiene di aver soccorso?

«Non lo so, 60mila, forse di più; le operazioni sono state tante».

Riccardo Gatti, media quante operazioni di soccorso fate al giorno?

«Dipende, come le dicevo lunedì sono state cinque. Ma vede, ci sono parecchie limitazioni da parte delle autorità italiane contro le Ong: o non danno il porto per lo sbarco o lo danno il più lontano possibile, noi adesso siamo arrivati a Salerno ma ci avevano indirizzati a Civitavecchia. Lo sbarco precedente lo avevamo fatto a Ravenna, prima ancora ad Ancona e a Massa Carrara, sempre molto lontani dalle zone di soccorso. Per sbarcare le persone in Sicilia ci mettiamo circa un giorno tra andare e tornare. Se dobbiamo andare a Ravenna ci vogliono quattro giorni e mezzo ad andare e altrettanti a tornare, lasciando l’area senza aiuti. Significa che le barche dei migranti o vengono intercettate dalla guardia costiera libica, che con azioni spesso violente li respinge indietro, oppure le persone annegano. E poi c’è la pretesa che dopo il primo soccorso si torni in porto (a meno che dalla plancia non si vedano altre imbarcazioni in difficoltà). Quindi accade che noi lasciamo la zona e poco dopo c’è un altro sos».

 

Però secondo i dati fra il 2023 e il 2024 in Italia sono diminuiti del 62% gli arrivi...

«E’ vero, però i morti in mare sono aumentati del doppio. Nel 2023 per ogni 100 persone che giungevano sane e salve c’erano due decessi. Ne 2024 ogni cento sbarcati ne muoiono 4. Evidentemente la protezione della vita umana in mare non è una priorità».

Da dove arrivano le persone che voi soccorrete?

«Da molti Paesi: dal Sudan, per esempio, dove c’è una guerra. Ma ci sono anche siriani, palestinesi, arrivano da tanti stati in guerra».

A un certo punto anche Richard Gere è venuto a darle una mano, cosa ricorda?

«Era l’agosto 2019, l’Open Arms era ferma al largo di Lampedusa senza il permesso di far sbarcare i 168 migranti. L’attore, che è un attivista per i diritti umani, si mise in contatto con me e mi chiese se poteva aiutarci. Così venne a bordo. Andavamo insieme a fare la spesa, cucinava, parlava con i bambini, parlava con tutti, cercava di sostenerli».

Riccardo Gatti, in tutti questi anni qual è la cosa che l’ha maggiormente colpita?

«Di cose drammatiche ne ho viste tante. Ho visto imbarcazioni piene di morti. Ma ho visto anche la parte peggiore degli esseri umani, ho visto l’indifferenza che condanna la gente a morire».

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