5 NOVEMBRE

Anche a Lecco lo sciopero dei medici di base: “Il ruolo unico snatura la professione, a rischio la cura dei pazienti”

La dottoressa Laura Rossi, presidente provinciale dello SNAMI lecchese, spiega le ragioni della mobilitazione

Anche a Lecco lo sciopero dei medici di base: “Il ruolo unico snatura la professione, a rischio la cura dei pazienti”
Il 5 novembre 2025 i medici di medicina generale aderenti allo Snami (Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani) sciopereranno contro l’introduzione del “ruolo unico”, una misura che secondo la sigla sindacale “equivale alla fine della medicina territoriale”.

La decisione è stata formalizzata con una lettera del presidente nazionale Angelo Testa a Governo e Regioni. Anche a Lecco una parte importante dei medici di famiglia aderirà alla protesta.

A spiegare nel dettaglio le ragioni della mobilitazione è la dottoressa Laura Rossi, medico di medicina generale a Cernusco Lombardone e presidente provinciale dello Snami Lecco. Prima di entrare nel merito, Rossi sottolinea come lo sciopero sia uno strumento eccezionale per la categoria, segno della gravità della situazione:

“Non è una misura che utilizziamo a cuor leggero — precisa — ma i rischi che corriamo riguardano non solo noi professionisti, bensì anche i pazienti, già oggi spesso “orfani” di un medico di base in molte regioni”.

Dottoressa, non è usuale uno sciopero dei medici di base

“È vero. L’idea dello sciopero è nata dopo il nostro ultimo Congresso nazionale, tenutosi a inizio ottobre, da cui è emersa la volontà di proclamare uno sciopero generale. È un evento raro per la medicina generale: per trovare un precedente dobbiamo tornare a oltre vent’anni fa, nel 2003, e riguardava questioni molto tecniche, come la farmaceutica a doppio canale o le norme sulla reperibilità. Oggi invece in gioco c’è l’identità stessa della nostra professione”.

Quali sono le ragioni che vi spingono a questa forma di protesta?

“Il punto centrale è proprio il cosiddetto “ruolo unico”, previsto dal nostro ultimo contratto con la parte pubblica. Di fatto, trasforma il medico di famiglia in un ingranaggio amministrativo, snaturando completamente la professione.

Pur restando formalmente libero professionista, il medico sarebbe obbligato a un completamento orario in base al numero di pazienti in carico presso la struttura di riferimento.
Faccio un esempio: se un medico ha 1.500 assistiti, dovrebbe garantire sei ore settimanali in una struttura pubblica, che può essere una Casa di comunità, una scuola o altro. Ma non è specificato dove e come. Nessuno ha ancora le idee chiare su come dovremmo essere impiegati in queste ore extra”.
La dottoressa Laura Rossi, medico di medicina generale a Cernusco Lombardone e presidente provinciale dello Snami Lecco

In che modo questo cambiamento rischia di impattare sui pazienti?

“Le risorse umane e i tempi restano gli stessi. Noi lavoriamo già molte ore ogni settimana tra ambulatorio, visite domiciliari, burocrazia e formazione. Se devo coprire anche le ore di completamento, da qualche parte dovrò tagliare: dall’ambulatorio o dalle visite a domicilio. Ma questo per il paziente significa meno disponibilità, meno continuità assistenziale e perdita del rapporto di fiducia. Non possiamo essere ovunque contemporaneamente, e ogni ora sottratta all’attività clinica è un’ora tolta alla cura”.

Parla di “snaturamento della professione”: cosa intende?

“Vuol dire che ci ritroviamo a metà strada tra un turnista e un libero professionista, con tutti gli svantaggi di entrambi e nessuna tutela. Non esiste protezione per maternità, malattia o invalidità, in una professione che oggi è per la maggior parte femminile. In pratica, abbiamo gli obblighi di un dipendente senza le sue garanzie, e le spese di un libero professionista senza la libertà vera. È una situazione diventata insostenibile. A questo si aggiunge la mancanza di programmazione e di una specializzazione universitaria riconosciuta: il titolo del medico di medicina generale non è equiparato a una scuola di specialità, e ciò lo rende poco spendibile anche in ambito accademico o concorsuale”.

Anche il ricambio generazionale sembra un problema crescente

“Assolutamente sì. Se un giovane medico oggi guarda al nostro lavoro, vede un percorso poco attrattivo: contratti rigidi, vincoli, scarse tutele, nessuna prospettiva di crescita. È naturale che scelga altre specialità. In più, l’obbligo di mantenere l’ambulatorio aperto tutti i giorni, indipendentemente dal numero di pazienti, comporta costi altissimi. L’affitto, le utenze, le forniture, i materiali di medicazione: tutto è a carico del medico. Se hai pochi pazienti, le spese restano, ma il guadagno cala. È un modello che non regge più”.

Avete anche denunciato che la digitalizzazione, invece di aiutare, è diventata un ostacolo. In che senso?

“Viviamo in un’epoca di iper-digitalizzazione, ma paradossalmente la tecnologia oggi è più una barriera che un aiuto. I sistemi informatici non comunicano tra loro, le piattaforme non dialogano, e spesso dobbiamo reinserire manualmente i dati dei pazienti per ogni singola pratica. È un sovraccarico burocratico enorme, tempo sottratto alla cura. Secondo uno studio recente, circa il 30% di questo lavoro viene svolto di notte, nei festivi o nei weekend, senza alcun riconoscimento.
Altro che 38 ore settimanali: il medico di famiglia lavora ben oltre, ma senza che questo venga visto o valorizzato”.

Quali prospettive intravedete se non cambia l’impostazione attuale?

“Le prospettive sono molto grigie. Il numero di medici è già in calo per ragioni demografiche, e con queste condizioni la medicina generale non è più attrattiva.
Il medico di famiglia, che ora viene chiamato “medico di assistenza primaria”, rischia di scomparire. Eppure noi siamo il primo presidio di cura, il punto di riferimento dei cittadini. Già oggi, soprattutto in regioni come la Lombardia, molti pazienti non hanno più un medico di base. Se non si interviene, questa situazione peggiorerà, e la medicina territoriale perderà la sua funzione più importante: quella di prossimità, fiducia e continuità”.

Un quadro nazionale sempre più critico

I dati sono allarmanti: la Fondazione Gimbe segnala una carenza di oltre 5.500 medici di medicina generale in 17 regioni, con le situazioni più gravi in Lombardia, Veneto, Campania, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana. Oltre la metà dei medici (52%) ha già superato il massimale di assistiti e nei prossimi due anni più di 7.000 professionisti andranno in pensione.
Nel 2024, inoltre, il 15% delle borse di formazione è rimasto scoperto, con punte del 40% in alcune aree. Per il presidente Nino Cartabellotta, questa non è solo una carenza numerica ma “una crisi strutturale della medicina di base, segnata da pensionamenti, scarso ricambio e carichi di lavoro insostenibili”.

 

Le modalità dello sciopero del 5 novembre

Lo Snami, trascorsi i tempi per le procedure di conciliazione, ha proclamato lo sciopero nazionale del 5 novembre 2025, articolato per settore:

  • Medici di medicina generale (ruolo unico a ciclo di scelta): chiusura degli studi dalle 8:00 alle 20:00. Saranno garantite solo le visite domiciliari urgenti, l’assistenza ai malati terminali e le prestazioni di assistenza domiciliare integrata (ADI).
  • Medici del ruolo unico ad attività oraria: astensione dalle 20:00 alle 24:00.
  • Medici dell’emergenza territoriale: sciopero per l’intera giornata (00:01 – 23:59), con garanzia del soccorso urgente.
  • Medici dei servizi territoriali: stop dalle 8:00 alle 20:00, con continuità dei servizi essenziali (dipendenze, igiene pubblica, medicina fiscale).
  • Medici degli istituti penitenziari: astensione per tutta la giornata, garantendo solo l’assistenza sanitaria urgente e la presenza nei processi con imputati detenuti.

L’azione sindacale è motivata da quattro punti centrali:

  • Difesa della medicina territoriale: il ruolo unico “cancella l’autonomia professionale e spezza il rapporto di fiducia medico-paziente”.
  • Tutela della maternità e della genitorialità: richieste di congedi reali, sostituzioni garantite e parità di genere.
  • Programmazione e formazione: serve una specializzazione universitaria in medicina generale e una pianificazione nazionale del fabbisogno.
  • Digitalizzazione sostenibile: la tecnologia deve essere uno strumento al servizio della cura, non un ostacolo burocratico.

In assenza di risposte dal Governo, lo Snami ha già annunciato che seguiranno altre giornate di sciopero.