La finestra di Marco Calvetti

La Lega prima colpevole della sconfitta, neppure Perry Mason la salverebbe

Trentun voti sono la lezione della democrazia, ma anche il sale su una ferita difficile da rimarginare.

La Lega prima colpevole della sconfitta, neppure Perry Mason la salverebbe
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Di Marco Calvetti

Trentun voti di differenza tra Gattinoni e Ciresa nel testa a testa del ballottaggio autorizzano le analisi più fantasiose e azzardate, giustificano accuse reciproche, e provocano sindromi depressive, proprie di chi, come Martin, perse il Comune per un punto dopo averne accarezzato la presa. Trentun voti sono il magro bottino di un candidato di terza fila e perciò diventano risibili le rivendicazioni degli alleati dell'ultima ora.

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Trentun voti sono la lezione della democrazia, ma anche il sale su una ferita difficile da rimarginare. Trentun voti sono il pacchetto di una famiglia numerosa, che può ascriversi vittoria di Mauro o, di contro, la sconfitta di Peppino. Trentun voti sono anche le diserzioni causate da impedimenti banali come un raffreddore, o quattro gocce d'acqua dal cielo, o goccioline sospette di Covid.

Trentun voti sono anche il sassolino nella scarpa di chi non gradiva qualche compagno di viaggio di Ciresa o qualche sua esternazione fuori tema. Ma quasi mille suoi sostenitori spariti nel nulla sono un macigno che taglia la testa al toro e chiama in causa ragioni più profonde delle congiunture terrene e astrali.

La Lega prima colpevole della sconfitta, neppure Perry Mason la salverebbe

Per me il pollice verso, a proposito di uno scarto che si conta con le dita, ha, sul piano politico, un responsabile che si chiama Lega. Carta canta, e il 13% e spiccioli incassato dal Carroccio non solo ha impedito al centrodestra di risolvere la partita al primo turno, ma ha posto le premesse per un tiepido approccio dei leghisti alla sfida finale.

L'arringa è inconfutabile e non c'è nessun Perry Mason in grado di provarne l'innocenza. Basta ascoltarli uno ad uno per capire che la concordia sta a loro come l'uva sul gelso. Dopo le debacle di Valmadrera e Oggiono, generate da sterile orgoglio e incapacità di mediazione, mancava solo Lecco per decretare la crisi di consensi e di identità di un partito che nel passato recente ha prodotto, in sequenza, tre sindaci.

Va bene che il record del 34%, firmato da Matteo Salvini alle Europee sa di miracolo e che già i sondaggi e le successive consultazioni amministrative hanno provveduto a mitigare l'egemonia di un partito che continua a essere il primo nel Paese, ma la batosta in città, così netta e imprevedibile, si spiega solo con la ormai provata inadeguatezza della dirigenza che dovrebbe almeno avere la dignità di dimettersi.

Nè mi si venga a dire che la lista di Antonio Rossi ha cannibalizzato la Lega, altrimenti mi dovrebbero motivare l'exploit di Forza Italia e la crescita di Fratelli d'Italia. E se anche in arte lo fosse, vorrebbe dire che l'elettorato della Lega non è più radicato nel tessuto cittadino e provinciale, nonostante possa vantare quattro parlamentari e un consigliere regionale.

E' la scopa che va cambiata e io penso che Stefano Parolari capisca che si deve fare pulizia, togliendo il disturbo, magari approfittando per dare una spolverata alle sue vesti, segno di disdoro e trascuratezza. Nulla da spartire con la povertà francescana, ma molto a che vedere con uno stile "simil-clochard".

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