Web Marketing Festival a Rimini: cosa ci siamo portati a casa sul futuro del giornalismo digitale
Social network, Sport e ciò che ha "ucciso" il nostro mestiere.
A due settimane di distanza dal Web Marketing Festival tenutosi a Rimini, tentiamo una sintesi. Almeno di ciò che più ci ha colpito sul futuro del nostro mondo, del giornalismo digitale.
Web Marketing Festival: cosa vogliono i lettori sui social
Vincent Russo del Fatto quotidiano ha stilato una sua personalissima classifica dei trending topics sui social network, ovvero di ciò che "tira" di più, in questo momento. E non è tutto scontato, anche perché il cambio dell'algoritmo di Facebook da novembre (quello che dà priorità nel wall alle foto dei gattini di vostra zia, piuttosto che alla notizia dell'asteroide precipitato sulla terra) ha letteralmente rimescolato le carte.
- L'inatteso: tutto ciò che normalmente non t'aspetteresti.
- Piccoli vs potenti: il Davide che sfida Golia non passa mai di moda.
- Lo scontro e i contrasti: la squadra "sfigata" che alla fine vince i Mondiali, per esempio...
- Lieto fine: i "cervelli in fuga" o i migranti che finalmente arrivano a Valencia.
Poi soprattutto sui social è fondamentale, in relazione al digital journalism:
- Discutere: la community commenta i fatti che accadono e vuol far parte del giornale con il suo punto di vista (e anche condividere ne è un esempio).
- Partecipare, alla costruzione del "senso": io ti propongo una chiave di lettura, ma il controllo resta dei lettori. Il problema è che si può dare anche un senso sbagliato, fermandosi solo al titolo senza cliccare una notizia...
- Comprendere, le cose: molti nuovi lettori vogliono capire chi è il tal personaggio o quali sono i pregressi di una notizia. Questo è un trend, ora: tutti cercano elementi per sapere, partecipare e poi commentare.
Facebook ha bisogno delle notizie, perché poi innescano la discussione. E allora: assecondare i lettori o informare davvero? Questo il dilemma. Certo, la seconda, ma modificando un po' il linguaggio, soprattutto in relazione ai social. Anche perché è arrivato il momento per i giornali di diventare media sostenibili.
Le agenzie di stampa servono ancora?
Per noi, primo circuito di media locali in Italia, la riposta potrebbe tranquillamente anche essere no. Anche perché molto spesso arriviamo prima. Ma Leonardo Nesti dell'Ansa ha difeso la propria agenzia e il suo punto di forza, la capillarità della rete, sottolineando anche l'importanza del lavoro di "triage", ovvero di scelta e attribuzione d'importanza delle notizie, proprio come... al Pronto soccorso.
E poi le Fake news. Lo sapevate che l'Evening Sun di Baltimore nel 1912 ha pubblicato un articolo dicendo che i passeggeri del Titanic si erano salvati tutti? Le fake news sono sempre esistite, il problema oggi è quando abboccano i media tradizionali stessi...
Sì, ma cos'è una notizia? Citando Dave Randall: informazioni nuove su fatti di pubblico interesse da comunicare ai lettori in modo più accurato e rapido possibile. Il problema è che oggi i media online sono vittime della "sindrome di Bud Spencer": ve lo ricordate assediato continuamente da gente che lo voleva prendere a botte (invano)?
Insomma, resistere a questo assedio di notizie non è facile, l'importante per i media è cercare di evitare i rischi peggiori:
- L'omologazione: guardare troppo gli altri, essere schiavi dei trending topics invece di salire virtuosamente sull'onda.
- La superficialità: non verificare a sufficienza una notizia.
- La pigrizia: non compiere verifiche neppure a portata di mano.
- La malafede
In sintesi, il giornalismo è in crisi? In realtà lo è solamente il suo modello economico, il giornalismo non è mai stato meglio per capacità di diffusione.
Le dieci cose che hanno ucciso il giornalismo
Roberto Tucci della Scuola Holden, specializzata in comunicazione per marchi, ha stilato la sua ricetta. Un decalogo da tener presente per recuperare la crisi di credibilità, anche perché le fake news ad esempio ci saranno sì sempre state, ma prima di Internet non avevano mica questa portata... Pensate ad esempio ad alcune "legal bufale" riprese ancor oggi pure dopo esser state sbufalate!
1) Sondaggi: troppi, spesso senza controllo, finti nella migliore dele ipotesi, pure quando non lo spono sono un problema. Qualche esempio? "Il giorno in cui si tradisce di più è l'8 maggio". "Vendola va arrestato al ritorno dall'America dopo la maternità surrogata?". "In ufficio alle 15.27 scatta la sonnolenza!" Il meccanismo della curiosità/verosiliglianza certo funziona, ma inventano tutti...
2) Titoli assurdi: "Corona bacia la fidanzata, processo rinviato". Ma che c'entrano i due concetti? Nulla.
3) La mancata moderazione dei commenti dei lettori.
4) Le ricerche assurde: "Chi fa più sesso vive di meno (o di più)". "Dormire dopo la sveglia è segno di intelligenza". "I microbi sono sexy".
5) La parola a chiunque: certo tutti hanno diritto di parola, ma la Hunziker che commenta l'operato della Raggi perché sono coetanee o Povia intervistato sull'economia, forse anche no...
6) Par condicio a tutti costi: non tutte le opinioni seppur legittime hanno lo stesso peso, il problema nelle redazioni è che spesso conta trovare per forza qualcuno che la pensa diversamente...
7) Gli pseudoscoop
8) Ah beh, se l'ha detto lui... "Lele Mora: Olindo e Rosa innocenti, l'ho capito dagli occhi"
9) Capire prima di spiegare: a volte chi racconta non ha capito il tema per primo...
10) E basta con sti condizionali...
Il futuro dello Sport? E' social
Sì questa è proprio la tesi di Luca Corsolini di Sky. Il problema è prevedere esattamente quando. Perché lo sport e già da sempre un social network, di più è il più grande generatore di dati non segreti al mondo. Ma lo sport non ragiona in termini social... non ancora. E' rimasto al vecchio cartellino. Si tratta di un mondo molto autoreferenziale, del quale i media raccontano solo le cose che "tirano", mentre i social consentiranno di raccontare tutto il resto... Sì, solo quando però il sistema supererà la logica del cartellino e comincerà a trattare i big data in modo tale da renderli condivisibili.
Quotidiano.net ancora "prigioniero" della carta
Debora Peroni, responsabile web del Resto del Carlino, lo ammette: di strada da fare ce n'è ancora tanta. Il gruppo editoriale che comprende anche Il Giorno e La Nazione è sul web, ma ancora è la carta a dettar legge. L'editore ha deciso di non utilizzare WordPress, ma il fatto che il software cms dedicato per la pubblicazione su web sia lo stesso per la carta e che le notizie possano trasferirsi dalla carta al web, ma non viceversa, dice già molto...
Peroni ha però affrontato un tema non secondario legato all'infobesity, vale a dire la produzione continua e massiva di notizie da parte dei media online. Ben 100mila contenuti l'anno, per Quotidiano.net. Talmente tanti che si perdono... E allora come fare? Beh, devi catalogarli perché siano trovati da Google e qui arriva il concetto di catalogazione semantica: associazioni fra parole e concetti che hanno un fattor comune. Con 6 milioni di articoli in archivio hanno provato a creare una rete semantica. Non si tratta di una search per parola, ma per concetto: tutto ciò che c'entra. E tiene conto di peso del concetto, titolo, freschezza e via dicendo, per poi creare raccolte su argomenti.
Il futuro del giornalismo secondo il "boss"
Abbiamo chiesto a Cosmano Lombardo, Chairman Web Marketing Festival, quale sarà il futuro del giornalismo. E queste sono state le sue risposte, solo per noi.
Parlare oggi del futuro dell'informazione sulla Rete equivale a parlare del futuro dell'informazione, semplicemente perché l'informazione viaggia su tutti i canali. Purtroppo la situazione attuale non fa ben sperare, e la causa è l'ormai noto a tutti fenomeno della ricerca smodata del click e delle visite, con un progressivo abbandono della passione per l'approfondimento, tanto da parte degli utenti che leggono, ma anche da parte di chi l'informazione la produce.
In questo anche le istituzioni stanno giocando un ruolo negativo: basti vedere le ultime elezioni politiche, che hanno generato una pioggia di informazioni errate e demistificanti.
D'altro canto bisogna ricordare che le azioni di quotidiani, televisioni, radio, dei soggetti che si muovono online e di chi produce hanno una responsabilità diretta sulla costruzione e il consolidamento della coscienza critica delle persone: per questa ragione i rischi derivati dal non fare informazione - o farla come la vediamo oggi in molti casi - rischia fortemente di avere una generazione futura disinteressata, disimpegnata e priva, appunto, di coscienza critica.
La soluzione si può sintetizzare come un collettivo "richiamo al dovere", da parte di tutti i soggetti interessati: da parte di chi l'informazione la produce, con un "richiamo all'ordine", ma anche da parte dei cittadini e lettori, che dovrebbero porsi come attori impegnati e maggiormente consapevoli, mettendo ulteriormente in risalto il tema (e problema) dell'informazione, che al momento non è tale.
Libertà d'espressione ci deve essere, chiunque può fare informazione, ed è positivo avere ancora modelli di informazione totalmente free.
Ma anche il passo fatto da Repubblica e dal Corriere con il "paywall" è interessante. C'è da capire nel lungo periodo come andranno le cose, quanto e come riusciranno ad integrare questo modello con altri di business, perché inevitabilmente ci sono obiettivi di monetizzazione.
Credo ci sarà una terza via: la produzione di contenuti che ampliano l'offerta che gli editori stessi proporranno agli utenti, andando al di là della produzione di notizie e informazione. Sto pensando, per esempio, a format di entertainment ed educativi realizzati coinvolgendo canali comunicativi diversi (televisione, web series...), che vadano ad affiancarsi alla produzione di notizie, diversificando il proprio modello di business. Questa potrebbe essere una soluzione in grado di innovare il modo di fare informazione e in grado di porsi come risorsa per alimentare la macchina della produzione di notizie.
Daniele Pirola