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Gianola: "Sostenere la famiglia è sostenere l’impresa e viceversa"

Le aziende che hanno a cuore le politiche familiari migliorano la “retention”

Gianola: "Sostenere la famiglia è sostenere l’impresa e viceversa"
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Famiglia e impresa non sono soggetti antagonisti, ma due facce della stessa medaglia. Lo sostiene Gigi Gianola, 44 anni, sposato con cinque figli e manager di Gi Group, la prima multinazionale italiana nei servizi del mercato del lavoro, intervistato durante una serata avente a tema il futuro del lavoro per la città di Lecco, città in cui vive con la sua famiglia: «Non c'è sviluppo economico se non c'è anche la ricreazione del tessuto sociale alla base del nostro Paese e la famiglia è sicuramente il primo elemento da cui partire».
Il panorama italiano è fatto per oltre il 95% da piccole e micro imprese dove la distinzione tra lavoro e famiglia è molto sottile. Il 75% delle medie imprese italiane ha una governance familiare mentre dietro alle grandi aziende spesso vi è una famiglia.

Gianola: "Sostenere la famiglia è sostenere l’impresa e viceversa"

«Sostenere la famiglia è sostenere l'impresa e viceversa. Non si tratta soltanto di un semplice slogan, ma è il tessuto e il vissuto reale della nostra quotidianità - aggiunge Gianola -. Nella mia precedente esperienza lavorativa (ex direttore generale di CdO, ndr) insieme all'Università di Bergamo, avevamo sviluppato un indicatore chiamato "Corporate Family Responsibility" per misurare l'attenzione di un'impresa nell'adottare politiche di carattere strutturale e culturale per migliorare l'equilibrio tra tempo per la famiglia e tempo per il lavoro per i propri dipendenti. L'indagine ha evidenziato chiaramente che le aziende che adottano politiche in favore della famiglia hanno impatti molto positivi».

Quali sono questi impatti positivi?

«Ne sottolineo tre, in particolare. L'azienda diventa più attraente rispetto ai giovani talenti; i giovani non mettono al primo posto lo stipendio o la carriera, ma privilegiano molto l'ambiente di lavoro e pertanto l'azienda che coniuga tempo famiglia e tempo lavoro diventa più attrattiva. Le imprese che hanno a cuore queste politiche familiari migliorano la "retention" dei propri dipendenti. Infine lavorando meglio i collaboratori rendono di più, con indubbi benefici sulla produttività e l'efficienza del lavoro».

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Oggi il lavoro però deve anche essere sostenibile?

«Certamente. Lavoro sostenibile non è solo l'attenzione rispetto all'ambiente, ai fornitori, ai clienti, ma è anche attenzione rispetto ai colleghi, alle persone che appunto devono coniugare i tempi di famiglia con i tempi del lavoro affinché possano crearsi le condizioni per sviluppare la loro professionalità».

Questo periodo caratterizzato dalla pandemia ha poi accelerato lo smart working. Cosa ne pensa?

«Di certo non si torna indietro: se da un lato ha migliorato e aumentato l'efficienza, dall'altro bisogna trovare un nuovo assetto per il venire meno ad esempio delle relazioni sul luogo di lavoro. È necessario trovare un nuovo equilibrio tra famiglia e lavoro, basti pensare alle conseguenze legate alla chiusura delle scuole. Occorre fare poi una serie di investimenti infrastrutturali, formativi e culturali perché si passi dall’home working allo smart working vero e proprio».

Davanti a tempi così incerti molte imprese non programmano più investimenti a lungo termine. Cosa comporta tutto questo?

«La parola chiave che contraddistinguerà il prossimo futuro sarà flessibilità; purtroppo oggi la flessibilità è equiparata alla parola precarietà. Chi ha un contratto di lavoro flessibile viene giudicato come un soggetto con lavoro precario. Se oggi una coppia di giovani sposi si presenta in banca per accedere ad un finanziamento e se questi giovani non hanno dei contratti a tempo indeterminato difficilmente potranno ottenere un mutuo a lungo termine. Occorre cambiare e capovolgere questo sistema e questa modalità di accesso al credito».

Come?

«Bisogna passare dall'analisi del rating basato sulla tipologia del contratto di lavoro alla capacità di employability di queste persone».

Si spieghi meglio...

«Le politiche di carattere economico pur essendo fondamentali e necessarie non sono sufficienti; occorre un cambio di paradigma e mettere in campo azioni efficaci di carattere strutturale e culturale. Servono risposte nuove e un approccio nuovo favorendo e investendo di più nelle politiche attive per il lavoro. Serve tanta formazione, investire sulle competenze per rilanciare il Paese. E infine bisogna mettere in atto tutta una serie di interventi a livello di Comuni, Regioni e Ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro per sostenere in una logica sussidiaria le imprese che realizzano iniziative per agevolare le famiglie e i lavoratori. Mettendo insieme la buona volontà di tante persone che stanno lavorando in questa direzione anche il mondo dell'impresa può dare un contributo decisivo per sostenere la famiglia e capovolgere in positivo i dati preoccupanti dell'inesorabile ma continuo calo demografico».

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