Carovana delle Alpi, dalle stelle alle stalle: bandiera verde a Lecco, nera a Premana
Legambiente assegna riconoscimenti, ma punta anche il dito...
Pur affrontando le necessarie limitazioni imposte dal contrasto all’epidemia, anche nell’estate 2020 la Carovana delle Alpi di Legambiente torna a raccogliere e rilanciare i segnali positivi che affiorano nella montagna lombarda e nelle sue valli. Ma anche a rilevare le cose che non vanno, sottolineate da sventolii di bandiere nere. E il territorio lecchese va dalle stelle, con la Bandiera Verde assegnata al Comune di Lecco, alle stalle, con quella nera assegnata invece a quello di Premana.
Bandiera verde a Lecco
Nel paniere della Carovana delle Alpi edizione 2020 sono diverse le le segnalazioni di buone pratiche si addensano in particolare nell’arco orobico: procedendo verso est, si comincia dal riconoscimento della Bandiera Verde al Comune di Lecco, che ha finalmente creato le condizioni per il rilancio, in termini di turismo leggero, della località Piani d’Erna, potenziando i collegamenti della stazione funiviaria con i servizi di trasporto urbano e smantellando gli impianti di risalita da tempo dismessi, ricordo dell’epoca in cui quella di Piani d’Erna era una popolare località sciistica..“I segnali positivi che vengono dall’attivazione delle comunità di valle sono fortunatamente crescenti, è sempre più chiaro che le reti sociali rispondono positivamente alla necessità di garantire ed estendere il presidio e l’animazione economica dei territori montani, in particolare nell’arco orobico. Ma questa forza e coesione comunitaria non può prescindere dalla solidità e trasparenza della filiera istituzionale, che si conferma come elemento di forte vulnerabilità del versante italiano dell’arco alpino” conclude Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia.
Bandiera nera a Premana
Quello dei pascoli è uno dei fronti dell’attacco ai versanti montani additati dalla Carovana delle Alpi: la bandiera nera riguarda le piste agro-silvo-pastorali, infrastrutture che sarebbero indispensabili, se ben progettate e realizzate, per assistere le attività forestali e d’alpeggio. Ma non è questa la norma in Lombardia, dove queste opere vengono realizzate quasi sempre in economia, assegnate a imprese che praticano scandalosi ribassi d’asta su progetti che rispondono ad aspettative ultralocalistiche di valorizzazione di proprietà immobiliari, che spesso nemmeno contemplano le finalità dichiarate. La bandiera nera mette sotto i riflettori il caso di Premana, comune della montagna lecchese che negli ultimi anni ha visto crescere una rete sempre più tentacolare di piste e tracciati, che intersecano le linee di pendenza e creano rischi di distacchi franosi e di alluvioni in caso di eventi climatici estremi, ma la problematica è ahinoi assai diffusa in tutta la regione, dove la realizzazione di opere estremamente delicate sotto il profilo dell’interferenza coi versanti è sempre più delegata a istituzioni locali sguarnite anche delle figure tecniche adeguate a valutare gli interventi e la qualità delle opere.
Bandiera nera anche alla Regione
E' una sfida a Palazzo Lombardia la bandiera nera assegnata alla Regione, affinché si attivi per bloccare, una volta per tutte, il dilagare dei ‘traffici di pascoli’ di cui con allarmante frequenza si rendono responsabili allevatori e intermediari della pianura padana, sempre in cerca di superfici da dichiarare per beneficiare dei sussidi PAC (la Politica Agricola Comunitaria) o per giustificare le eccessive densità di capi allevati, e schivare così le sanzioni per violazione della ‘direttiva nitrati’. Espedienti che giungono a configurarsi come vere e proprie truffe finalizzate ad acquisire indebiti aiuti comunitari, svelati da inchieste giudiziarie: l’ultimo caso venuto alla luce in giugno ha interessato un allevamento bresciano, il quale dichiarava l’uso di alpeggi in Valle d’Aosta che in realtà non risultavano caricati di bestiame. Purtroppo i casi e le inchieste che arrivano a giudizio sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno diffuso in tutta l’Italia montana, in una moltitudine di piccoli comuni proprietari di pascoli le cui superfici vengono collocate in aste pubbliche a cui si presentano grandi aziende di allevamento, offrendo la disponibilità a pagare somme che spiazzano i piccoli allevatori locali, per i quali la beffa si somma al danno: loro non potranno caricare l’alpeggio, mentre i nuovi concessionari sono interessati solo al titolo cartaceo, e nessun interesse alla cura del pascolo che si avvia a progressivo degrado. “Ci aspettiamo dalla Lombardia, prima regione zootecnica d’Italia, un impegno a eradicare questo fenomeno, che determina iniqui guadagni per i grandi allevamenti intensivi della pianura e del fondovalle, ma danneggia le attività economiche e l’ambiente pascolivo montano: finora abbiamo visto e apprezzato solo delle linee guida, ottime nei contenuti ma del tutto evanescenti nella applicazione, non sono uno strumento sufficiente” dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia.