Solo posti in piedi per l’intenso pomeriggio della seconda giornata del Festival Treccani della lingua italiana, quella di ieri, sabato 27 settembre 2025, sul tema della responsabilità tra letteratura e arte. Oggi, domenica 28, gli ultimi appuntamenti.
Al Festival Treccani si parla di responsabilità tra arte e letteratura. Oggi gli ultimi appuntamenti
Beatrice Cristalli, formatrice e linguista, collaboratrice di testate come Focus Scuola e Treccani.it ed esperta dell’evoluzione dei linguaggi contemporanei, ha proposto “La responsabilità nella lingua: un viaggio tra etimologia, storia e nuovi significati”. Partendo dal significato etimologico di responsabilità — rispondere, assumere un impegno — ha seguito l’evoluzione del termine, esplorandone dapprima le connessioni con il linguaggio “della norma” per poi approdare alle riflessioni del linguista Langshaw Austin, per il quale “le parole hanno un potere generativo, sono atti linguistici e fanno quindi accadere cose”. In quest’ottica, il termine responsabilità suggerisce una dimensione attiva, in cui promettere significa assumersi un impegno. È quel “farsi carico” che segna la riflessione di Manuel Cruz, secondo cui “responsabilità è un ponte tra memoria e progetto, tra passato e futuro e per questo ha a che fare con l’identità. Essere responsabili è non lasciare la propria vita in mano ad altri”. La responsabilità, talvolta intesa come colpa, porta invece a un’azione paralizzante, poiché la colpa riguarda il passato, qualcosa di già compiuto. “La responsabilità in azione si determina nel qui e ora. Riguarda il nostro stare in relazione ed è quindi una parola sociale.”

Spazio poi a un dilagante Walter Siti. In “La letteratura tra disimpegno e vocazione terapeutica”, lo scrittore, saggista e critico letterario, curatore dell’opera completa di P.P. Pasolini per la collana I Meridiani di Mondadori, non ha fatto sconti a nessuno. “Sono qui per parlare della cosa meno responsabile che ci sia, la letteratura. – ha esordito – È la meno responsabile perché, secondo i greci, è la musa a ispirare e dunque non c’è responsabilità, e perché il romanzo è colpevole, infatti ha subito molti processi”. Siti ha infatti proposto un excursus sulle ragioni per cui i romanzi sono stati processati almeno fino agli anni ’40 del secolo scorso: oscenità, blasfemia, oltraggio alla bandiera e all’amore di patria, pessimismo, fino al punto da spingere al suicidio. Ha intrecciato a questi temi una breve storia del romanzo che diventa realistico anche per le pressioni sociali, si fa poi indagatore dell’ombra e della psiche nell’epoca della psicanalisi, per trasformarsi in romanzo d’evasione, fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui siamo tornati da un lato al “romance” e dall’altro a una sorta di letteratura che ha l’ambizione di essere “utile”.

Non ha risparmiato stoccate a questa presunta letteratura dell’utile, sottolineando come “al senso, alla profondità si è sostituita questa aspirazione di romanzi da self help, in cui le protagoniste – spesso trentenni in crisi che vanno via con il pane – indossano come Barbie tutti i personaggi necessari alla trama: Barbie infermiera, Barbie maestra… ma alla fine del libro non mi ricordavo neanche il nome”. “La letteratura per me non deve essere utile. Ha, anzi, aveva il compito di tirar fuori cose che nemmeno l’autore sapeva di voler dire, rivelava cose di te che nemmeno tu sapevi. Questa letteratura è ora relegata in una bolla, non è il corpus reale della letteratura che invece si ispira al feel good. Prima mi risentivo di questa cosa, avevo una pessima opinione delle cose che mi toccava leggere, spesso sgrammaticate, sostenute da social e altro. Ma è un pensiero da vecchio: ora sono curioso. Sono curioso di sapere se questi autori, con la collaborazione dell’AI, potranno approdare a una letteratura nuova, impersonale, senza nome d’autore, come gli scalpellini che hanno realizzato le cattedrali”. Una chiusura e una provocazione degna di Walter Siti.
Della responsabilità dell’arte hanno infine dialogato Nicolas Ballario, critico d’arte, giornalista e curatore italiano, insieme a Paola Manfredi, comunicatrice in ambito artistico, e all’artista Velasco Vitali. Il loro dialogo ha in particolare esplorato l’arte contemporanea “Un tempo l’arte era chiamata per esaltare il potere. – ha affermato Nicolas Ballario – Poi, dopo il Futurismo, ha iniziato a sfidare il potere. Oggi è legata al potere finanziario. Questo porta gli artisti a non avere più un legame con la sofferenza del leggere e trasformare la realtà. Siamo di fronte ad un mondo chiuso, insopportabile ed escludente. Non a caso, se un tempo l’arte era chiamata a raccontare, oggi invece è come se non avesse bisogno di un pubblico”. Emblematico, a suo avviso, l’esempio di Damien Hirst.
Non dello stesso avviso Paola Manfredi: “Credo che gli artisti, anche quelli contemporanei, si facciano carico di soffrire le tensioni per noi per trasformare la realtà e restituirci i grandi temi. Hirst dimostra che l’arte è merce e la stessa morte è merce. Un messaggio certamente provocatorio, ma non per questo meno attuale”.
“Sono un fan di Damien Hirst. – ha affermato Velasco Vitali – La sua arte è così potente da scandalizzarci, perché non esita a buttarci in faccia il messaggio che intende lanciare. Credo che ci vogliano migliaia di animalisti per riuscire ad eguagliare la forza della voce di Hisrt”. E ha continuato: “L’artista, se è responsabile, si trova ad un punto in cui si rende conto che è necessario cambiare il punto di vista che la cultura, l’opinione pubblica e il potere ci propone”.
“L’arte non deve dare risposte, ma suscitare dubbi e interrogativi. – ha poi concluso Nicolas Ballario – Nella banana di Cattelan ciascuno può vederci ciò che vuole: la risposta che ciascuno si dà vale quanto un’altra”.
Domenica 28 settembre
Il festival Treccani della Lingua italiana si conclude oggi, domenica 28 settembre.
Appuntamento con l’incontro “Il peso del potere. Gli USA di fronte al terzo millennio” con Raffaella Baritono e Mattia Diletti alle 10 a Palazzo delle Paure. Alle 11, invece, al Nuovo Aquilone cinema- teatro con lo spettacolo teatrale filosofico “C’era scritto sul cartello: i genitori sono responsabili per i propri figli” di Francesca Rigotti e Carla de Chiara. Alle 12 a Palazzo delle Paure si svolgerà l’ultimo incontro del festival “La Lingua dell’esclusione” con lo scrittore Kossi Komla-Ebri e Chiara Piaggio.