Suicidi giovanili nel Lecchese, 7 casi in 3 anni
Lo dicono i dati portati al secondo incontro di formazione sul tema «Suicidi nei giovani», organizzato dall’Associazione Patrizia Funes Onlus con la collaborazione dell’Asst di Lecco e Provincia.
Suicidi giovanili nel Lecchese, 7 casi in 3 anni . Lo dicono i dati portati al secondo incontro di formazione sul tema «Suicidi nei giovani», organizzato dall’Associazione Patrizia Funes Onlus con la collaborazione dell’Asst di Lecco e Provincia.
Suicidi giovanili nel Lecchese
Ad Hannah sono state necessarie 13 ragioni per maturare l’idea del suicidio e per portarla fino al suo compimento. La protagonista della serie «13 Reasons why» che ha spopolato su Netflix lo scorso anno è un’adolescente che giustifica in 13 episodi, lanciando non poche accuse, la sua scelta estrema. Nella realtà le motivazioni di un tale gesto sono molte meno, ma non meno sono i ragazzi che condividono questa prospettiva.
L'incontro con i genitori
Dopo un primo incontro riservato ai docenti, il dialogo si è diretto ai genitori, nella serata del 22 marzo in una delle aule del Politecnico di Lecco. Negli ultimi tre anni la nostra Provincia ha avuto sette casi di suicidio giovanile, che si conferma la seconda causa di morte per i maschi e la terza per le femmine. Dati allarmanti che fanno pensare ad una vera emergenza sanitaria.
I numeri
«Su 272 adolescenti seguiti dall’UONPIA nel 2016 29 presentavano un pensiero di morte e 12 hanno tentato di togliersi la vita», ha illustrato la dottoressa Marina Zabarella. «Quando i ragazzi arrivano all’ASST dopo aver tentato un suicidio, oltre a stabilizzare le condizioni cliniche, ci preoccupiamo di leggittimare la sofferenza e di evitare di banalizzare». Quest’ultimo è il tipico e comprensibile atteggiamento assunto dai genitori, fortemente destabilizzati e attaccati nel loro ruolo. Se si guarda alle motivazioni Antonio Piotti, psicoterapeuta del Minotauro di Milano, ne individua tre. La prima è generata dall’immagine che i giovani percepiscono del proprio corpo: «Si vede il corpo come un oggetto scomodo, causa di umiliazione e vergogna: una sofferenza insopportabile».
La ricerca di riscatto
A seguire permane l’idea che «suicidandosi si possa sopravvivere alla propria morte», ottenendo riscatto, vendetta e un’eroicità che traspare dall’illusione di poter assistere al proprio funerale. «Per finire i ragazzi pensano di sistemare le cose facendosi da parte, liberando la società da un peso». Il silenzio della società è complice, non prende posizione e lascia che sia Hannah l’unico mezzo di confronto. Lei, che sa stilare 13 ragioni per morire ma nemmeno una per vivere. A chi spetta questo compito, allora, se non agli adulti?
Marco Rossi
«Già la vostra presenza qui stasera dimostra che avete il coraggio di guardare la morte e di generare su di essa consapevolezza», ha commentato l’avvocato Marco Rossi, presidente dell’associazione Patrizia Funes. Solo una rete di adulti coraggiosi a confrontarsi ha salvato una ragazza che tramite Whatsapp ha ringraziato così chi l’ha ascoltata: «Avrei perso troppo, tutto. Ora ho capito che nella vita bisogna lottare e fare fatica».