Vercurago

Muore dopo la somministrazione di un calmante: due medici a processo

La vittima, che all'epoca aveva solo 24 anni, è  Jason Mensah Brown, giovane residente a Vercurago e la dolorosa vicenda, su cui vuole vederci chiaro la magistratura, risale a cinque anni fa.

Muore dopo la somministrazione di un calmante: due medici a processo
Pubblicato:
Aggiornato:

Muore dopo la somministrazione di un calmante: due medici a processo. La vittima, che all'epoca aveva solo 24 anni, è  Jason Mensah Brown, giovane residente a Vercurago e la dolorosa vicenda, su cui vuole vederci chiaro la magistratura, risale a cinque anni fa.

Muore dopo la somministrazione di un calmante: due medici a processo

Come riportano i colleghi di Primabergamo.it infatti  passati ormai sei anni da quella serata del 19 luglio 2019 in cui all'ospedale di Alzano Lombardo (nella foto di copertina) vennero somministrati per via endovenosa cinque milligrammi di Midazolam, farmaco utilizzato per sedare e anestetizzare.

Il ragazzo andò però in arresto cardiaco e poi in coma per i sei mesi successivi. È morto infatti senza mai essersi più ripreso all'Habilita di Zingonia il 13 febbraio 2020, a 24 anni e con un figlio di sei. Jason Mensah Browne era nato in Italia da una famiglia di Origine del Ghana, faceva il barbiere e, come detto,  abitava a Vercurago con la fidanzata Federica.

Ora, per questa vicenda, sono imputati davanti alla giudice Laura Garufi la psichiatra e il medico che lo presero in cura e che decisero di somministrargli il farmaco. Difesi dall'avvocato Marco Zambelli, rispondono di omicidio colposo, con la prima udienza servita a calendarizzare il processo.

Il  6 febbraio 2025 saranno ascoltati 17 testimoni, a marzo sarà la volta dei consulenti, verosimilmente centrali in una vicenda che si è dimostrata complessa già nella fase preliminare.

Inizialmente infatti era stata chiesta l'archiviazione per gli indagati originari, che erano quattro. È stata però accolta solo per il cardiologo e l'anestesista intervenuti a crisi respiratoria in atto. La giudice Solombrino ha invece sottolineato come i danni cerebrali irreversibili e la «grave sofferenza miocardica acuta» che portarono alla morte di Mensah possano essere «direttamente riconducibili alla gravità dell'arresto cardio-circolatorio determinato dalla somministrazione del Midazolam».

Il giovane era arrivato in pronto soccorso in condizione di agitazione psicomotoria dalla polizia che ne aveva notato lo stato alterato per aver fumato cannabis. Al Pronto Soccorso i carabinieri lo immobilizzarono a terra e i medici gli somministrarono per la fiala di 5 Midazolam. La Gip ha quindi fatto notare che, essendo un farmaco della categoria delle benzodiazepine, i protocolli prevedono di graduare la gestione del paziente in base alla condizione psicotica rilevata e all'anamnesi.

Secondo la giudice, invece la somministrazione avvenne secondo modalità differenti da quella lenta suggerita dalla scienza medica e in condizioni di «particolare concitazione, addirittura utilizzando per la contenzione la stessa polizia giudiziaria» (i carabinieri chiamati in pronto soccorso). Inoltre, sarebbe stata fatta in assenza sia del rianimatore sia del cardiologo e senza il preventivo screening tossicologico né «un adeguato monitoraggio della pressione e del livello di saturazione».

Non vennero avvisati neanche i familiari - tra cui la fidanzata Federica, 30 anni - che all'udienza del 7 ottobre erano tutti in tribunale.

Seguici sui nostri canali