comunità in lutto

Malgrate, l'ultimo saluto a Luisa Spreafico. Don Andrea: "Più forte della morte è l'amore"

Una grande folla si è riunita stamattina nella chiesa parrocchiale

Malgrate, l'ultimo saluto a Luisa Spreafico. Don Andrea: "Più forte della morte è l'amore"
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Una grande folla si è riunita nella mattinata di oggi, giovedì 4 luglio 2024, per dare l'ultimo saluto a Luisa Spreafico, 69 anni, investita lunedì 24 giugno a Galbiate, nella frazione di Bartesate, dove si trova la sua casa di campagna. Gremita la chiesa parrocchiale di San Leonardo di Malgrate, paese di residenza della donna, comunità nella quale la 69enne era molto attiva e dove ricopriva il ruolo di presidente del Movimento Terza Età.

Investita a Galbiate e abbandonata in strada: è morta Luisa Spreafico
Luisa Spreafico

Malgrate, l'ultimo saluto a Luisa Spreafico. Don Andrea: "Più forte della morte è l'amore"

Il rito funebre è stato presieduto dal parroco don Andrea Lotterio, che ha pronunciato l'omelia insieme a monsignor Franco Cecchin, ex prevosto di Lecco, a padre Angelo Cupini della Casa sul pozzo nel rione lecchese di Chiuso e al diacono Roberto De Capitani. Ad animare la celebrazione il coro Delfino Nava, diretto dal maestro Gian Michele Brena. Presenti alla celebrazione il primo cittadino di Malgrate, Michele Peccati, e l'ex sindaco di Galbiate, Benedetto Negri.

Così don Andrea ha iniziato l'omelia: "Nel giorno della mia prima Messa, mi dissero queste parole: ... e infine permettimi di aggiungere di non aver paura se il dolore attraverserà a volte la tua esistenza. Devi essere capace di convertirlo in una fede più provata, più pura. Comprenderai meglio, in quei momenti, cosa significa amare Dio, continuare a fidarsi di lui, stringersi a lui, solo a lui, che se una gioia ti toglie, cento ne mette poi sul tuo cammino. E il Vangelo, davvero, non mente, perché, come recita il Manzoni, Dio non toglie mai la gioia dei suoi figli, se non per farne una più certa e più grande".

"Nessuno di noi - ha proseguito don Andrea - immaginava di avere bisogno di queste parole. Il giorno in cui il figlio dell'uomo venne crocifisso, il cielo era buio, buio come il cielo che a volte sovrasta i nostri giorni, quel cielo che, ancora una volta, ci ha fatto paura dieci giorni fa. Eppure Gesù dice a Nicodemo che proprio guardando a quel cielo è possibile avere la vita eterna, perché proprio quel giorno lui attraversa i cieli: buca e trapassa il cielo chiuso e senza speranza. Ma in che modo Gesù poteva attraversare il cielo buio di quel giorno? Lo ha fatto con fermezza: non ha avuto paura di rimanere fedele alla missione della sua vita, nonostante tutti l'avessero abbandonato. Ma questa fermezza di Gesù non ha cancellato, certo, il buio di quelle ultime ore. E tuttavia Gesù non si è disperato: appeso alla croce si è ricordato del Padre che gli aveva dato la vita. Soprattutto, si è ricordato di quando Dio passeggiava nel giardino della creazione e non riusciva a trovare l'uomo e la donna, che erano nascosti perché si sentivano nudi, e quando, finalmente, riuscì a scovarli, vide tutto il loro affanno e la loro vergogna, resi ancora più evidenti da quelle foglie di fico con cui si erano coperti. Allora Dio fece all'uomo e alla donna delle tuniche di pelli e delle vesti. Ecco, sulla croce Gesù si ricordò di questo inizio. Lui era innocente, non aveva nessuna colpa, eppure anche lui, come Adamo ed Eva nel giardino, era nudo; anch'egli sentiva il cielo chiudersi sopra la sua testa e vedeva la fine di ogni speranza. Ma non si è disperato, perché nei suoi occhi morenti brillava quel gesto protettivo di Dio, che cuce i vestiti all'uomo e alla donna. Ed è così che ha attraversato i cieli, che ha bucato e trapassato quel cielo chiuso e senza speranza".

"La croce non è da esaltare, la sofferenza non è mai gradita a Dio - ha aggiunto don Andrea - A volte il cristiano si crogiola nel proprio dolore pensando che questo lo avvicini a Dio. Ma è una religione che rischia di fermarsi al venerdì santo, la nostra, perché tutti abbiamo una sofferenza da condividere e ci piace l'idea che anche Dio la pensi come noi. La felicità cristiana è una sofferenza superata, una croce abbandonata perché ormai inutile, e questa croce vuota viene esaltata. La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore; la croce è l' epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi, fino a questo punto ha voluto amarci, perché una cosa è usare dolci e consolanti parole, un'altra è essere inchiodati con tre chiodi, sospeso fra cielo e terra. La croce è il paradosso finale di Dio, la sua immagine di sconfitta, la sua ammissione di arrendevolezza: poiché ci ama, lo possiamo crocifiggere. Giovanni non usa mai la parola 'crocifisso', ma 'innalzato', cioè mostrato: Gesù attira tutti a sé. Davanti a Dio, nudo e sfigurato, così irriconoscibile da necessitare di un cartello sopra il suo capo, possiamo scegliere se cadere nella disperazione o ai piedi della croce. Dio è appeso, donato per sempre".

Infine, ha terminato il sacerdote: "Il contrario dell' amore non è l'odio, ma l'indifferenza; ciò che ci fa credere è la croce: sulla croce è proclamata, con lettere di di sangue - le uniche che non ingannano - la parola vincente, quella del Cantico dei Cantici: 'Più forte della morte è l'amore'. Per questo è bene aspettare, in silenzio, la salvezza del Signore".

Al termine della celebrazione la salma è stata tumulata nel cimitero di Malgrate.

Mario Stojanovic

Di seguito le foto della cerimonia funebre:

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Il coro Delfino Nava

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