Carlo Mauri: in memoria di un grande alpinista lecchese
In occasione del 38esimo anniversario dalla sua morte, gli amici e colleghi scrivono un messaggio in sua memoria
Domenica 31 maggio ricorrono 38 anni dalla scomparsa di Carlo Mauri, un grande dell'alpinismo lecchese, che ha lasciato un segno indelebile nell'universo della montagna e della città.
Carlo Mauri
Tra i fondatori del Gruppo Ragni della Grignetta il suo ricordo resta vivo, scolpito dalle sue imprese, nelle immagini dei suoi video e documentari e nelle parole dei suoi racconti e dei suoi libri. Aveva la montagna nel cuore, che amava con molto rispetto, protagonista di numerose spedizioni in giro per il mondo, affrontate con grande spirito e forza di volontà. Contraddistinto da una sensibilità e un'umanità rare, per lui le scalate erano un modo per riscoprirsi ogni volta. Umanità che sperimenterà direttamente nei suoi viaggi per conoscere i popoli primitivi dall'Amazzonia all'Australia.
Il ricordo dei suoi colleghi e amici
Tanti sono ancora i “sopravvissuti” che l’hanno avuto compagno d’arrampicata, o ne sono stati semplicemente allievi in ogni senso, perché il suo ricordo non resista tuttora fortemente ancorato alla città. A trent’otto anni dalla sua scomparsa, Carlo Mauri vive sempre negli occhi e nel cuore dei lecchesi, come fosse soltanto assente per una delle sue spedizioni di montagna o di esplorazione. Quante volte ne abbiamo salutato la partenza, e poi siamo rimasti a lungo senza più sapere nulla di lui, affatto preoccupati, per l’abitudine di sapere che la sua lontananza da Lecco veniva ripetutamente conclusa con un rientro vittorioso!
Forse non ci aspettiamo ormai più di rivederlo, adesso, ma la sua figura e il suo atteggiamento non sono ancora incominciati a sbiadire dagli occhi di noi che lo abbiamo conosciuto ed amato. Ora che il tempo ha inevitabilmente attutito il dolore per la sua perdita, ci sembra anzi di rivederlo innanzi a noi ancor più nitidamente, e, man mano che rammentiamo tanti particolari della sua vita e del suo carattere, ci accorgiamo di venire a conoscerlo anche di più, sempre più profondamente.
Se sentiamo la necessità di mettere per scritto quello che il semplice suo nome ci richiama, non è proprio per il timore di poterlo dimenticare col trascorrere del tempo: un uomo come lui non può essere dimenticato. Lo si può invece perdere, e lo può perdere, purtroppo, proprio la sua città, quando i ripetuti ricambi generazionali avranno preso il sopravvento. Se scriviamo di lui è perché ci preme che ciò non avvenga, o perlomeno speriamo che ciò non avvenga fino al limite di ogni traguardo umano.
Nel veloce mutar delle cose e nella giusta evoluzione del mondo, quanto di bello e di buono se ne va continuamente perso! È inevitabile, e rammaricarsene non rimedia molto.
Perdiamo tradizioni in ogni campo: da quelle dei giochi dei ragazzi a quelle dei cibi che allietano variamente la nostra tavola, addirittura la conformazione topografica di tanti rioni, per non parlare della ricca fauna ittica del nostro bel lago: quanti giovani, già adesso, non sanno che anche nelle acque del Lario e dell’Adda vivevano e si pescavano grosse trote, lucci, persici ed anguille! Ma è giusto – fino a che punto? – che il nuovo inghiottisca il vecchio.
Non possono però sparire tutti, i valori: sarà pure compito di qualcuno fare in modo che i più significativi vengano ricordati e riproposti.
E ciò sembra più facile, se lo si fa presentando concretamente le persone che sono vissute incarnando questi valori. Perdere a Lecco il ricordo di Carlo Mauri significherebbe davvero impoverire la nostra città, rendere meno ricco il suo futuro. Non sono tanto le sue tappe di mitico alpinista o di intrepido esploratore a fare di lui il personaggio che ha affascinato e conquistato a Lecco più di una generazione. Carlo Mauri si è imposto per una personalità rara, di quelle che non lasciano indifferente nessuno che in qualche modo vi si accosti, e che fanno sentire fortunato chi vi può attingere. A lui ci si avvicinava la prima volta con curiosità o con l’ambizione di poter poi raccontare agli amici: “Ho parlato con il Bigio!”. Troppo grande era la sua fama di alpinista, di conquistatore leggendario della montagna. Ma dopo aver parlato con lui, dopo soprattutto averlo sentito parlare, ci si rendeva stranamente conto che in lui l’alpinista era solo la punta dell’iceberg: quanto stava sotto era una forza tutta da scoprire. Dalla sua prorompente carica di simpatia e di cordialità traspariva nitidamente la sua profonda sensibilità e la sua vasta umanità.
Il suo racconto di avventurose conquiste era il modo per richiamare a sé e per far comprendere agli altri che l’obiettivo che contava, nell’affrontare e superare le pareti più strapiombanti e pericolose, non era il risultato atletico in se stesso, ma la gioia nello scoprirsi ogni volta diverso, nell’inventarsi continuamente. Quando scalare diventa più difficile, per lui è il momento in cui la volontà e la fede sono gli elementi che sovrastano i muscoli e la forza fisica. Dall’entusiasmo con il quale letteralmente contagiava chi lo stava ad ascoltare mentre narrava delle sue scalate, non ci voleva molto a comprendere che per lui l’alpinismo era soltanto il mezzo per realizzarsi e per esprimere la carica spirituale che gli esplodeva dentro, come lo è la musica o la pittura per un artista. E questo spiega come niente potesse fermarlo, e come mai si adattò alla resa, nemmeno quando gli si abbatterono addosso le ben note tremende situazioni che avrebbero stroncato chiunque non fosse sorretto da quella luce interiore che lui possedeva.
E questo spiega anche la sua continua, progressiva maturazione, che gli consentì di approdare senza problemi ad obiettivi talmente nuovi e diversi, costretto da una disgrazia che lo menomava fisicamente. Ma non fu forse nemmeno una costrizione quella che ad un certo punto lo portò ad aprirsi verso la conoscenza di un’umanità diversa da quella che è diventata la nostra, contrassegnata dal progresso e da una civiltà imposta. Un’umanità che trovò subito più vera e più consona al suo animo di eterno ragazzo: e la trova nei popoli primitivi che va a conoscere nell’impervia Amazzonia, o nel deserto dell’Australia, o nei piccoli villaggi che incontra nel suo lungo viaggio sulle orme di Marco Polo. Affascinato, ne esalta in modo convinto il permanere intatto delle virtù umane e scopre in esse tradizioni e costumi per nulla inferiori ai nostri. La conoscenza, sempre più approfondita, di questi popoli e di queste razze diverse, gli ispira sentimenti di fiducia, di tolleranza, di simpatia e di amore verso l’uomo in genere, come proprio simile. Da qui il passo è breve al desiderio ed all’impegno personale, perché questi sentimenti si diffondano senza nessuna limitazione, e ne auspica una prossima realizzazione. Lo scrive nelle pagine del suo diario:
“Le barriere tra gli esseri umani sono destinate a cedere, ma non basta scambiare i prodotti o attraversare di furia le loro terre per capire i nostri simili. Perché le barriere cadano è necessario capire; e per capire occorre affrontare l’uomo, formatosi in civiltà diverse dalla nostra, con tolleranza, con amore e desiderio di comprenderlo”.
Disgrazie, malattie, rinunce forzate sono stati i vistosi ingredienti che hanno dominato nella seconda parte della vita di Carlo Mauri. Ancora una volta siamo di fronte ad un aspetto incomprensibile del destino: ma, se riteniamo che nella storia dell’uomo il caso si può scrivere anche a lettere maiuscole, allora non ci può sembrare strano che il Bigio abbia accolto anche questo “caso” amaro accettandolo senza ribellione, facendone un mezzo per la sua crescita personale. Chi più di altri gli è stato vicino fino agli ultimi suoi giorni, ha potuto avvertire il senso quasi sacro di questa crescita, che si manifestava nella sua ampia apertura verso l’uomo, nella sua ferma fede negli ideali di onestà, di amicizia, di valorizzazione della cultura, della tradizione, della religione: proprio quegli ideali che sembrano smarriti nel tempo del trionfo dell’interesse materiale e del vano apparire.
Di Carlo Mauri ci rimane così l’immagine di un uomo dallo sguardo limpido e forte, aperto e semplice, come quello che viene rivelato dagli occhi di chi la sua ricchezza l’ha nel cuore.
Vorremmo che queste righe contribuissero a conservare in tutti i suoi concittadini il suo prezioso ricordo e costituissero uno stimolo a conoscerlo in qualche modo più a fondo, per scoprirlo nella sua reale grandezza.