14enne muore per gioco suicida: cos'è blackout challenge, ultimo incubo dalla Rete
Lo scopo è svenire e poi "godere" dell'euforia del riprendersi.
Qualche tempo fa c’era il “Blue Whale“, ma (per fortuna) s’è rivelato sostanzialmente una sorta di bufala. Ora c’è il “Blackout Challenge” e purtroppo sembra che l’ennesimo assurdo gioco suicida “di moda” sul Web sia molto più pericoloso: a farne le spese un 14enne milanese appassionato di arrampicate sui monti di Lecco.
Cos’è blackout challenge
Parliamo di prove, sfide, che si diffondono tra gli adolescenti. In Rete in genere si riescono a trovare addirittura dei filmati “tutor” che spiegano come fare. Il “Blue whale” – in teoria – consisteva in 50 prove in 50 giorni (dall’autoprivazione del sonno all’infliggersi tagli sul copro) fino all’ultimo assurdo traguardo: il suicidio. Ne avevano parlato anche le Iene, ma in Italia al di là del clamore mediatico, non sono stati accertati casi estremi.
Il Blackout Challenge sarebbe una pratica simile, ma qui il suicidio non è l’obiettivo, ma un rischioso “effetto collaterale“. Perché in pratica il “gioco” consiste nell’autosoffocarsi parzialmente, con lo scopo di svenire e poi “godere” dell’euforia del riprendersi. Pericolosissimo, insomma, tentare di svenire: che il “gioco” sfugga di mano, è un attimo.
Il dramma del giovane milanese
Il piccolo Igor, figlio dello scalatore Ramon Maj, tante volte aveva scalato insieme ai giovani Ragni di Lecco. E ora i Ragni lo piangono. Giovedì scorso, 6 settembre 2018, in un appartamento del quartiere Lambrate a Milano (oggi proprio lì i funerali), viene trovato morto, soffocato con una corda da roccia.
La mamma
“Sono stata la prima a volere che questa vicenda fosse resa nota. L’ho fatto per un motivo solo: voglio che tutti i ragazzi sappiano che comprimersi la carotide è pericoloso, fatale. E’una manovra che non va assolutamente compita se non con a fianco un medico rianimatore. Non solo ma questa fantomatica euforia di cui alcuni siti parlano è falsa. Nessuno purtroppo è mai tornato indietro per dircelo”.
daniele.pirola@netweek.it