Crisi energetica

Pane quotidiano, drammatico appello dei panificatori: "Un aiuto subito per non chiudere"

Attualmente il prezzo medio di vendita nei panifici artigianali è di 5 euro al kg. Nella grande distribuzione arriva a 16 euro. "Ma se lo facessimo noi scoppierebbe una rivoluzione"

Pane quotidiano, drammatico appello dei panificatori: "Un aiuto subito per non chiudere"
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Dacci oggi il nostro pane quotidiano: il caro bollette tramutato la preghiera in un drammatico appello, rilanciato oggi, mercoledì 5 ottobre 2022, da decine di panificatori del territorio, riuniti in assemblea nell'auditorium del Palazzo del Commercio di Lecco. Un incontro organizzato da Confcommercio Lecco, allargato alla stampa locale, per far conoscere al pubblico attraverso testimonianze dirette la realtà di una crisi che sta uccidendo i piccoli imprenditori artigiani del settore.

Pane quotidiano: bene primario a rischio

Un primo grido di allarme era stato lanciato a metà settembre da Assipan Confcommercio: il pane artigianale, bene primario per eccellenza, potrebbe presto mancare sulle tavole delle famiglie italiane. Perché chi quotidianamente lo impasta, sforna e vende al dettaglio nei negozi di  vicinato, da mesi sta lavorando in perdita a causa dei folli rincari energetici. A livello nazionale -  a fronte di  30.570 attività di commercializzazione del pane artigianale (l'86% anche produttori), con 123mila occupati - si stima la prossima chiusura di 1.350 attività, ovvero la perdita di di 5.300 posti di lavoro, il che significa almeno 6.500 famiglie coinvolte. Tenere alzata la saracinesca è una sfida che chiede un sostegno urgente da parte delle istituzioni.  Allora si chiedeva al governo un adeguato e tempestivo credito d'imposta e un tetto massimo per le bollette di luce e gas, già applicato con successo in altri Paesi europei. Ma a distanza di tre settimane quelle misure da sole non bastano già più.

Paolo Sala: "Dobbiamo essere come il mare contro gli scogli. Ma sta diventando impossibile"

Lo ha ben spiegato Paolo Sala, titolare della omonima Bakery a Viganò, che all'incontro si è fatto portavoce dei colleghi con cui si ritrova e confronta quotidianamente. Al suo fianco Peppino Ciresa, decano dei panificatori lecchesi,  consigliere della categoria in Confcommercio Lecco (della cui giunta fa pure parte), mentre il presidente di Assipan Lecco, Gianpiero Nucera, non è potuto intervenire per ragioni di lavoro.

Paolo Sala e Peppino Ciresa

Sala ha esordito citando Jim Morrison, con un aforismo di incoraggiamento nonostante tutto:  "Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci". Il problema è che l'ottimismo va sbattendo contro un muro. "cerchiamo sempre di dare il cento per cento, ma non basta mai, da due anni c'è sempre qualcosa sopra di noi che non ci permettere di lavorare con serenità, con un giusto margine di guadagno che compensi la nostra attività. Oggi  lavoriamo in perdita e andando avanti così sarà sempre in perdita" ha detto. La sua azienda, aperta due anni e mezzo fa, conta 24 dipendenti, "che hanno voglia di fare. Ma ora, quando parlo loro di queste problematiche, sono preoccupati. Io devo assicurare loro il domani, e il quotidiano. Dei loro stipendi vivono anche i loro famigliari".

Costo in bolletta sestuplicato in otto mesi

"Noi piccoli imprenditori siamo abituati a investire e darci obiettivi. Qualcuno deve darci mano se non ce la facciamo" ha proseguito Sala raccontando la sua storia. Lui, quarta generazione di una famiglia di panificatori (dal 1850), due anni fa è riuscito ad aprire il posto dei suoi sogni. "Una bakery, caffetteria, gastronomia, una attività di ristorazione in una location polifunzionale come penso debbano evolversi oggi le nostre attività. Ho aperto il  23 febbraio del 2020. Dopo tre settimane la Lombardia era in zona rossa, con un sacco di disagi. Ci ha aiutati la cassa integrazione in deroga. Nel 2021 abbiamo lavorato a singhiozzo.  Arrivati a Natale 2021 mi son detto 'Vedrai che l'anno prossimo è quello buono'. Per vivere con più serenità. E' successo invece che da 3mila euro di bolletta che pagavamo mensilmente, sono arrivato 9mila. Ero in procinto di ampliare la mia attività al settore enologico. Tornato dopo la pausa di Ferragosto  ecco che mi arriva la bolletta di luglio: 18mila euro. A queste condizioni non posso più essere propositivo per la mia azienda, ho dovuto rinunciare a una opportunità. Le mie spese erano di 34mila euro, in otto mesi ne ho spesi 80mila. Oltre al caro energia anche le materie prime sono aumentate, ma non faccio una colpa ai nostri fornitori che sono nelle nostre stesse condizioni".

Paolo Sala titolare della omonima Bakery a Viganò

Il prezzo di un kg di pane: 5 euro

Condizioni che rendono complicato, anzi impossibile "dare un prezzo al nostro pane, se non sappiamo cosa andremo a pagare". Adesso la media del prezzo di vendita di un chilogrammo di pane è  5 euro. "Per il lavoro che c'è dietro sapete anche voi che non è niente" ha detto senza tema di smentita Paolo Sala rivolto alla platea dei colleghi.  "Forse non siamo stati capaci di far capire i sacrifici che  ci sono dietro il nostro lavoro". I piccoli panifici non possono, né vogliono competere con la grande distribuzione. Non lo consente il loro Dna artigianale.  "Ognuno dei nostri panifici è a se stante. Ed è bello che sia così. Siamo tanti piccoli panettieri che fanno la stessa cosa in maniera diversa. Siamo come l'Italia. Mettiamo che adesso per contenere il prezzo del pane che vendiamo ci mettiamo insieme, a produrlo in un unico capannone, su scala industriale. Magari ci prendiamo le baguette prodotte chissà dove, con quali ingredienti, congelate da qualche parte, e le sbriniamo? Potremo forse agire così noi che teniamo alla salute dei nostri clienti? Noi ci mettiamo tempo per fare il pane. E così facendo assicuriamo benessere ai nostri clienti. Se dopo si ammalano chi paga? Lo Stato?"

L'aumento del pane quotidiano: "Strada obbligata per non chiudere"

Ma è anche vero che per stare nelle spese bisognerebbe quadruplicarne il prezzo alla vendita. "E questo che effetto può avere sulla gente? Se non riusciamo a garantire un pezzo di pane a costo giusto, cosa succederà?" la domanda per la quale c'è già una riposta. "Già adesso ci danno dei ladri...." ha detto qualcuno dal fondo della sala. Pure l'aumento è una strada ora più che mai obbligata. Perché l'alternativa è chiudere. "Non vogliamo essere avvantaggiati. Vogliamo solo poterlo fare a condizione corrette. Una michetta oggi costa 25 centesimi, troppo poco per il lavoro che c'è dietro. Se andiamo a venderlo a 50 centesimi ruberemmo forse?". Dunque il prezzo del pane aumenterà: "La gente deve capire. Non è colpa del panettiere".

Le richieste al Governo dei panificatori

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Ci si attende però un aiuto dallo Stato perché il rincaro sia contenuto e sostenibile. "Le misure finora adottate sono insufficienti per il nostro settore. Il credito d'imposta per compensare l'incremento del costo energetico non basta. Vogliamo anzitutto che venga riconosciuta la situazione di seria difficoltà in cui versa il nostro settore. Vogliamo che lo Stato intervenga tempestivamente per abbassare il costo energetico. Che ci venga data la possibilità della cassa integrazione in deroga per tutelare i nostri dipendenti. Che si riduca il cuneo fiscale sugli stipendi". Ma anche "che tutti questi soldi che stiamo spendendo ci vengano restituiti", anche in considerazione del fatto che durante la pandemia i fornai non hanno mai fatto mancare il loro servizio ai cittadini.  Si attende insomma un ristoro, come avvenuto in tempo di pandemia per le attività rimaste ferme.

"Stato e Sindacati  i grandi assenti"

Sull'insufficienza degli aiuti di Stato è intervenuto anche Santo Palumbo, direttore commerciale della Di Sano di Rozzano, azienda che commercializza frutta secca, nonché titolare di esercizi a Milano. "Accendiamo lampadina sulla nostra realtà. Siamo al punto che non possono toglierci la dignità del nostro lavoro. Il problema è che le nostre attività anello debole della catena. Se il produttore di farina alza il prezzo, noi non possiamo fare altrettanto.  Non abbiamo un margine di utile tale da poterlo fare" l'incipit.  Quanto allo Stato, "ha fatto solo un bando a fondo perduto da 30 mila euro al quale possiamo accedere sono dimostrando  di aver impiegato  materia prima che per il 5% sia IGP o DOP". Il paradosso più grande è "che non si deve essere una attività in crisi". E per dimostrarlo "ora dobbiamo pure munirci a spese nostre di un software che vada a monitorare nostre attività. Ci prendono in giro". All'assenza dello Stato si somma secondo Palumbo quella dei Sindacati: "Nessuno ha fatto manifestazioni a favore degli imprenditori che pure garantiscono lavoro ai loro dipendenti".

Il prezzo del pane per non fallire? "Giusto a 16 euro al kg"

Peppino Ciresa è intervenuto ricordato un altro momento di crisi del settore. "Ricordo quando si andò a manifestare sotto la Prefettura di Como contro il 'prezzo politico' del pane. Adesso i prezzi sono liberalizzati, ma paradossalmente siamo meno riconosciuti di allora. Proprio il pane liberalizzato rende difficile stimarne un giusto prezzo medio. Quante famiglie che comprano più un kg di pane al giorno? Al massimo oggi si comprano 3 o 4 panini. Per cui quanto incide su un budget famigliare se io vendo una michetta a 50 centesimi anziché a 25 centesimi come ora? Non siamo riusciti a far capire alla gente proprio questo".

Ma quale dovrebbe essere il giusto prezzo del pane per non fallire? Dalla platea Marra, titolare dell'omonima panetteria e pasticceria di Cantù , ha illuminato i presenti con una fotografia: il cartellino del prezzo su una confezione di pane esposta al banco di una nota catena di supermercati:  3,29 euro, ovvero 16,5 euro al kg.  "Se la grande distribuzione riesce a venderlo a 16 euro al chilogrammo, il prezzo che hanno stabilito per non perderci,  forse anche noi dovremmo valorizzare maggiormente quello che facciamo. Seppure siamo consapevoli che da noi un prezzo del genere scatenerebbe la rivoluzione". Altra constatazione: "Nella grande distribuzione risulta che ultimamente è aumentato il quantitativo del pane venduto. Perché l'acquirente punta a risparmiare su un alimento ritenuto economico rispetto ad altri".

La titolare di un panificio di Imbersago, comune di duemila abitanti,  ha però fatto presente la sua realtà, che è anche quella di altri piccoli centri abitati dove il prestinaio rappresenta un presidio a difesa dei consumatori più fragili. "Da noi viene la vecchietta che paga con i centesimi, abbiamo ancora il libretti azzurri (quelli di credito mensile, ndr). Non possiamo metterci a vendere il pane a 16 euro".

Un incontro con la Provincia di Lecco

L'assemblea riunita a Lecco è dunque parsa consapevole della necessità di stabilire un prezzo minimo comune, sotto il quale non scendere per fare fronte comune nel difficile frangente. "5 euro al chilo non basta più".
Altra richiesta girata a Confcommercio tramite Peppino Ciresa, quella di chiedere un tavolo di confronto con  rappresentanti politici consoni a comprendere la situazione e a mettere in atto misure altrettanto efficaci. Se il numero uno di Confcommercio Sangalli "si sta muovendo a Roma", come ha assicurato Ciresa, nulla vieta di cercare appoggio anche delle istituzioni più vicine, come la Provincia di Lecco.  E di organizzare una delegazione che vada a Roma: "Possiamo andare in trecento sotto Montecitorio a dire che così va bene - ha detto Ciresa -  Ancora oggi sono in pochi politici ad aver capito che bisogna agire subito, anzi che è tardi, che andava fatto ieri".

Peppino Ciresa, decano dei panificatori di Lecco, membro della Giunta di Confcommercio Lecco

"Non paghiamo le bollette"

Dal fondo della sala qualcuno ha suggerito che bisognerebbe non pagare le bollette. Un'azione dimostrativa. "Se siamo in pochi non ci considerano, ma se siamo in tanti a farlo, magari non ci tagliano la corrente, magari ci danno retta".  Ma una obiezione è arrivata dalla assemblea: "Chi ha margine per resistere ancora qualche mese che fa? Non paga la bolletta, aumenta lo stesso il prezzo?". Ciresa ha raccontato un altro aneddoto del passato. "Quando per protesta contro il prezzo politico del pane si decise, come azione dimostrativa, di  fermare tutti insieme la produzione. Ebbene con il comitato di controllo ci mettemmo a girare tutti i forni. Scoprendo che la metà stava lavorando lo stesso. Così finimmo ad acquistare noi  quel pane, per non inficiare la comune protesta".

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