Lecco ricorda la Strage di Capaci e omaggia gli "Uomini che non si fermarono"
Gattinoni: "Oggi celebriamo la Giornata della Legalità per raccogliere il testimone di Giovanni Falcone consapevoli che, come lui stesso diceva, “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.
Lecco ricorda la Strage di Capaci, costata la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani con un momento celebrativo che si è svolto nel pomeriggio di oggi, lunedì 23 maggio 2022 nel cortile di Palazzo Bovara.
Lecco ricorda la Strage di Capaci
Un momento di profondo raccoglimento a 30 anni da quella che diede avvio ad una orrenda serie di stragi mafiose che è iniziato esattamente alle 17:58, orario in cui un’esplosione squarciò l’autostrada A29 che collega l’aeroporto di Punta Raisi con la città di Palermo proprio mentre stava transitando la colonna di auto del Giudice antimafia per eccellenza.
Presenti alla commemorazione, oltre al sindaco Mauro Gattinoni, all'assessore Emanuele Manzoni, al presidente del Consiglio comunale Roberto Nigriello e a diversi consiglieri anche il Questore di Lecco Alfredo d'Agostino e il Prefetto Sergio Pomponio. A Palazzo Bovara anche una delegazione dell'Associazione Libera Lecco con il presidente Alberto Bonacina.
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L'intervento del sindaco Gattinoni
Buonasera a tutti e grazie per essere intervenuti.
Un saluto a S.E. il Prefetto di Lecco Sergio Pomponio, al Questore di Lecco dr. Alfredo D’Agostino, agli Assessori e ai Consiglieri, ai rappresentanti del coordinamento lecchese di LIBERA e ai cittadini che hanno voluto essere presenti in questa occasione di ricordo e commemorazione della strage di Capaci a 30 anni da quel fatidico 23 maggio 1992.
Ho scelto di iniziare questo mio intervento con l’estratto del libro “Uomini soli” del giornalista Attilio Bolzoni perché, fuori da ogni retorica, rappresenta la condizione in cui si trovarono Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa e i giudici Falcone e Borsellino nella lotta contro le mafie.
“Da vivo perde quasi tutte le sue battaglie, da morto è esaltato e osannato, il più delle volte dagli stessi nemici che ne hanno voluto le sconfitte. Un’indagine come tante è all’origine del grande processo che segna l’inizio della fine per i padroni della Sicilia, un giudice come tanti diventa il magistrato più amato e più odiato d’Italia. Sepolto in una piccola stanza dietro una porta blindata, in mezzo ai codici e alla sua collezione di papere di terracotta, è il primo a mettere veramente paura alla mafia. Prigioniero nella sua Palermo, è l’uomo che cambia Palermo. Detestato, denigrato, guardato con sospetto dai suoi stessi colleghi in toga, temuto e adulato dalla politica, resiste fra i tormenti schivando attentati dinamitardi e tranelli governativi. Prima tremano per la forza delle sue idee, poi si impossessano della sua eredità. È celebrato come eroe nazionale solo quando è nella tomba. Per tredici lunghissimi anni provano ad annientarlo in ogni momento e in tutti i modi. Per quello che fa o per quello che non fa. Ci riescono alle 17.56 minuti e 48 secondi del 23 maggio 1992 su una curva dell’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi corre verso la città. A quell’ora, gli strumenti dell’Istituto di Geofisica e di Vulcanologia di monte Erice registrano «un piccolo evento sismico con epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci». Non è un terremoto. È una carica di cinquecento chili di tritolo che fa saltare in aria Giovanni Falcone.”
Questo ci dice Bolzoni: erano uomini che avevano il silenzio attorno, vite scivolate in un cupo isolamento pubblico e istituzionale, consapevoli del loro destino. Uomini che non si fermarono.
Un concetto ribadito nelle scorse settimane mentre parlava agli studenti lecchesi e ieri sera in prima serata sulla televisione pubblica da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino, menzionando i ritardi, le lunghezze e i depistaggi: “Ricordare non può essere mera celebrazione, non può essere una santificazione perenne, quando ciò accade diventa retorica, oppio, e svia dai problemi. La memoria non può essere disgiunta dalla ricerca di verità”.
Ed ecco allora ciò a cui siamo chiamati come membri delle Istituzioni, rappresentanti dello Stato o semplici cittadini: a rompere sempre quel silenzio. Siamo chiamati a non lasciare solo chi trova il coraggio di denunciare, a sostenere chi ogni giorno spende la sua vita per la legalità, a dare concretezza al messaggio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino che oggi cammina sulle nostre gambe. In questo senso è stata costituita proprio poche settimane fa la Commissione Antimafia del Comune di Lecco, è stato rinnovato l’impegno sottoscritto dalla precedente Amministrazione con “Avviso Pubblico”, la rete degli Enti locali e delle Regioni contro mafie e corruzione, e prosegue l’impegno a fianco di quei soggetti che sul territorio promuovono la cultura della legalità nelle scuole, ridanno vita ai beni confiscati, coltivano e curano la memoria.
"Onorare la loro memoria e rinnovare il loro impegno non consente pause né distrazioni" ha ammonito questa mattina il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Questo è il significato per il quale ci troviamo qui, in contemporanea con tutti i Sindaci dei capoluoghi di provincia d’Italia, a commemorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. La nostra democrazia, davanti a quella ferocia, rispose con lo Stato di diritto: il nostro compito è di riaffermare sempre quella risposta, ogni giorno, anche nel nostro territorio. Un territorio che è stato ed è duramente colpito dalle infiltrazioni di ‘ndrangheta ma che ha saputo altresì dimostrare di avere quegli anticorpi per rispondere, contrastare, educare alla giustizia.
Oggi celebriamo la Giornata della Legalità per raccogliere il testimone di Giovanni Falcone consapevoli che, come lui stesso diceva, “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.
Il Prefetto Pomponio
"Questa commemorazione coinvolge tutti noi - ha aggiunto il prefetto Pomponio - Fondamentale è il tema del silenzio, quello che si era creato intorno al Giudice Falcone. Come dovremmo reagire noi 30 anni dopo a quel silenzio? Con tanta sensibilità. Dobbiamo ascoltare la nostra coscienza reagendo alla delinquenza e dobbiamo continuare ad interrogarci sviluppando come cittadini quegli antidoti per combattere questi fenomeni. Quella di oggi è stata una semplice celebrazione voluta per continuare a perseguire quegli obbiettivi di legalità che i due giudici Falcone e Borsellino si erano preposti e per i quali sono stati uccisi".
Mario Stojanovic