2020-2025

Giornata nazionale delle vittime del Covid: il ricordo dell'inferno raccontato da Beatrice Stasi

"Oggi, dopo soli cinque anni, è in corso una rimozione collettiva del dramma del Covid. Una rimozione forse comprensibile che ci viene spiegata da tanti esperti come reazione naturale di fronte a tanto stress e dolore. Per me, e per molti che hanno vissuto con me quei giorni, è impossibile dimenticare. Di più, per quanto mi riguarda non voglio dimenticare perché la storia ha bisogno di testimoni senza i quali la storia non esiste."

Giornata nazionale delle vittime del Covid: il ricordo dell'inferno raccontato da Beatrice Stasi
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Oggi, martedì 18 marzo 2025,  nella Giornata nazionale delle vittime del Covid, riportiamo il ricordo tratteggiato a grandiospedali.it dalla dottoressa Beatrice Stasi, originaria di Mandello residente a Calolziocorte che ha vissuto come direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo l'orrore del Coronavirus

Giornata nazionale delle vittime del Covid: il ricordo dell'inferno raccontato da Beatrice Stasi

La lotta al Covid è stata per me “la madre di tutte le esperienze”. Per un pezzo della mia vita si sono incrociate competenze e paure, esperienze e orizzonti sconosciuti. Non dimenticherò mei quei primi mesi del 2020. Dimenticare è un lusso che a noi, testimoni privilegiati, non è concesso.
Per oltre 30 anni nella sanità pubblica ho lavorato in diverse aree di attività. Ho accettato tante sfide e cambiamenti lavorando in diverse aziende sanitarie, imparando giorno per giorno che compito di un manager è trovare soluzioni in condizioni di costante incertezza.
Tuttavia l’esperienza del Covid alla guida della ASST Papa Giovanni di Bergamo ha sottoposto a uno stress test il manager e la sua formazione, mettendo in evidenza competenze “inedite” poco esplorate ma meritevoli di grande attenzione, anche in chiave di umanizzazione delle cure e valorizzazione delle risorse umane.

Arriva la tempesta

Le prime avvisaglie dalla Cina hanno dimostrato una cosa: le notizie che arrivavano erano parziali e confuse. Sui numeri innanzi tutto, ma anche sulle cause del covid. Come tutti seguivo le notizie e come Direzione giravamo come da prassi tutte le informazioni provenienti da regione e ministero della salute alla Direzione Medica e agli infettivologi. Per altro l’Ospedale Papa Giovanni, essendo l’unico in provincia di Bergamo con il reparto di Malattie Infettive fu subito individuato come centro di riferimento.
Certo le notizie erano ogni giorno da decifrare. Prima i casi cinesi, poi il blocco dei voli provenienti direttamente dalla Cina. Poi la famosa coppia di turisti cinesi positivi al covid e portati allo Spallanzani a Roma. Mentre questi turisti venivano controllati e curati con grande accuratezza noi non sapevamo più dove mettere i pazienti bergamaschi.
In effetti all’inizio fu difficile far capire non dico a Roma ma addirittura a Milano che cosa stava succedendo a Bergamo dove i casi di contagio crescevano con una rapidità impressionante.
Nei primi momenti ci siamo attivati seguendo ogni indicazione che arrivava dai livelli superiori. Non si contano le istruzioni operative per i reparti, i visitatori, i volontari. Quello che non sapevamo è che dal 22 febbraio 2020, data in cui abbiamo istituito l’Unità di Crisi del Papa Giovanni, la crescita del virus a Bergamo sarebbe stata esponenziale mettendoci in grave difficoltà nel giro di pochi giorni. 

Comunicare con trasparenza 

Ricordo che Il 3 marzo 2020 la nostra Direzione Sanitaria con autorevoli medici del Papa Giovanni tenne una conferenza stampa a fronte delle richieste di molti giornalisti che volevano più informazioni. Uscì la notizia che avevamo ricoverato anche un neonato positivo al covid.
Credo che a partire da quel giorno ci fu la piena consapevolezza di ciò che a Bergamo stava davvero succedendo.
Tra le competenze sviluppate in quei giorni difficili, anche scontando qualche resistenza di enti superiori che voleva gestire l’informazione senza essere sul campo, c’era la capacità di comunicare a vari livelli e in modo trasparente gli accadimenti di cui eravamo testimoni. I media volevano sapere, capire, intervistare. Con i collaboratori del nostro ufficio comunicazione ci siamo organizzati per poter essere connessi sempre. Personalmente ho curato tanti collegamenti con media nazionali e internazionali, lo stesso hanno fatto tanti collaboratori del Papa Giovanni nei giorni più duri. Abbiamo scelto di raccontare tutto, di spiegare ciò che stavamo vivendo e vedendo con i nostri occhi con trasparenza e completezza. Forse anche questo ha contribuito a rendere lil nostro Ospedale una lampada accesa nel buio per chi si preparava ad affrontare una vera e propria bufera nel resto del mondo.

L’organizzazione compatta

La solitudine è la sensazione che ricordo maggiormente. E allora ci siamo protetti da soli, come la “testuggine” degli antichi romani ci siamo messi lo scudo sulle teste e abbiamo aggredito la situazione. Tutti insieme, Direzione, medici, infermieri, personale sanitario, tecnici, amministrativi, ingegneri, ditte esterne, volontari. In quei momenti la nostra organizzazione ha sviluppato una dote importantissime: la flessibilità. In più l’organizzazione si è appiattita e le linee di comando abbreviate per arrivare ovunque e rapidamente. Paradossalmente ci si immagina che durante una emergenza serva un vertice che comanda e una base che esegue. Tutte storie, serve un vertice che c’è e un corpo di persone che sta con te, che condivide, che diventa un organismo “solido” e coeso. La flessibilità si è manifestata in tanti modi. Innanzi tutto voglio ricordare il lavoro di decine di medici di area chirurgica che per molte settimane, essendo di fatto chiusa l’attività chirurgica programmata, si sono trasformati negli “specializzandi” di intensivisti, infettivologi, internisti, pneumologi. 

Nell’Auditorium Parenzan del Papa Giovanni sono stati organizzati a getto continuo corsi veloci sull’uso dei dispositivi di protezione ma anche refresch sul trattamento di pazienti ventilati ad uso del personale sanitario che normalmente opera in altri reparti. Oltre 7000 persone sono passate a formarsi per essere pronti a fare la propria parte dove era necessario. 

La rapidità e l’intuito

Tante le emergenze di quei giorni della prima ondata in cui era necessario assumere rapidamente decisioni.
Come la decisione di assecondare le autopsie, nonostante fossero sconsigliate dal Ministero.
I dispositivi di protezione mancavano. In alcuni giorni avevamo mascherine e camici per mezza giornata. Partì una vera campagna di fundraising in cui a tutti coloro che ci chiedevano come potevano aiutarci chiedevamo di trovare per noi dispositivi di protezione. Persino l’elemosiniere del Papa ci fece avere mascherine dal Vaticano

Un’altra emergenza: al culmine della crisi l’impianto dell’ossigeno di un ospedale pur nuovo come il Papa Giovanni rischiava di collassare per l’uso abnorme in emergenza. In poche ore i nostri ingegneri, i nostri tecnici e il nostro fornitore furono in grado adi allestire un impianto “volante” a supporto per evitare il crasch che avrebbe messo a repentaglio la vita di centinaia di pazienti collegati all’ossigeno. Non solo medici e infermieri eroi, ma tutti indistintamente. Penso anche al grande lavoro di nostri informatici per favorire l’uso di tablet, cellulari, pc per consentire la comunicazione tra i nostri pazienti isolati e le famiglie. Ma anche per allestire le postazioni e i letti presso la Fiera di Bergamo dove per 16 mesi ha funzionato ad ogni effetto una “sede staccata” del Papa Giovanni. 

Trovare il letto ai pazienti

La situazione in Lombardia era a macchia di leopardo. Le zono più colpite come è noto è stata la parte orientale della regione. E anche le regioni italiane sono state colpite in modo molto diverso rispetto alla Lombardia e a Bergamo in particolare. Dopo i dispositivi di protezione che sembravano spariti dalla faccia della terra il più grande problema che dovevamo affrontare era quello di trovare un posto letto ai pazienti e liberare le ambulanze. E’ noto che dal Papa Giovanni partirono molti pazienti intubati e gravi verso ospedali in Germania. Al termine della prima ondata ebbi anche il piacere di incontrare e ringraziare l’Ambasciatore tedesco in Italia. Fu solo la capacità di mettere a fattor comune conoscenze, relazioni, bed manager che ci consentì di arrivare alla fine di marzo con 650 pazienti covid, 100 in area critica. Solo a luglio la nostra Terapia intensiva è diventata “covid free”.

Le chat

In quei giorni a partire dal 23 febbraio per più di un mese le call, le telefonate e soprattutto le chat sono diventate il mezzo più rapido per restare connessi tra noi. Le conservo ancora gelosamente.
Le chat tra di noi sono la dimostrazione concreta di quel compattamento organizzativo che ritengo essere stato un fattore importante nella lotta al covid. In ogni organizzazione esistono persone che, pur non avendo ruoli dirigenziali o apicali, hanno un ruolo altamente strategico. Penso in quei giorni alla responsabile della sicurezza che controllava letteralmente l’uso dei dispositivi di protezione, alle infermiere “bad manager” con il compito davvero ingrato di trovare un letto ad ogni paziente, alla referente sanitaria per la formazione che ha messo in piedi una “catena di montaggio” di corsi nel nostro Auditorium Parenzan per non lasciare nessuno solo a chiedersi “che fare”. Penso alla Direttrice delle professioni sanitarie che con i suoi collaboratori riusciva a smontare reparti non covid per allestire di giorno in giorno reparti covid. 

Eroi per caso

Nessuno si aspettava una tempesta simile.
Sono seguite altre 4 ondate covid nei due anni successivi, il Papa Giovanni ha inoculato 650.000 vaccini per combattere la pandemia. Abbiamo assicurato per sedici mesi l’operatività e la direzione dell’ospedale allestito alla fiera di Bergamo.
Abbiamo dato tanto, imparato ancora di più. Le competenze che abbiamo sviluppato in momenti di forte emergenza mi auguro vengano sempre considerate da chi è chiamato a valutare manager e piani sanitari.

Oggi, dopo soli cinque anni, è in corso una rimozione collettiva del dramma del Covid. Una rimozione forse comprensibile che ci viene spiegata da tanti esperti come reazione naturale di fronte a tanto stress e dolore.

Per me, e per molti che hanno vissuto con me quei giorni, è impossibile dimenticare. Di più, per quanto mi riguarda non voglio dimenticare perché la storia ha bisogno di testimoni senza i quali la storia non esiste.

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