Teatro

E' tornata a Lecco l'Accademia della follia - Claudio Misculin

Grande successo per lo spettacolo "Noi sappiamo i nomi"

E' tornata a Lecco l'Accademia della follia - Claudio Misculin
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L'Accademia della follia - Claudio Misculin è tornata a Lecco con un nuovo spettacolo dal titolo "Noi sappiamo i nomi".

L’Accademia della follia - Claudio Misculin a Lecco

E’ tornata a Lecco lo scorso giovedì 25 agosto l’Accademia della follia – Claudio Misculin di Trieste con il nuovo spettacolo dal titolo “Noi sappiamo i nomi”, nell’ambito della Rassegna “La cultura per il sociale” organizzata dal Comune di Lecco con la collaborazione del Forum Salute Mentale di Lecco.

Noi sappiamo i nomi

Ancora una volta la realtà e la storia ci sono raccontate dalla follia e dall’arte, le uniche capaci di leggerle a fondo senza paura e senza filtri. E lo fa intrecciando testi di Pasolini con scritti di internati nel manicomio di Trieste: lettere ma anche poesie di una bellezza sconvolgente, che ti afferrano e ti portano nel loro mondo.

E le parole prendono vita attraverso il corpo, la danza, il canto degli attori, che alternano momenti in cui occupano tutta la scena ad altri in cui lo sguardo è puntato al centro, dove tutto il gruppo si ferma immobile per alcuni secondi. Per poi sciogliersi e ricominciare di nuovo.

E la musica non cessa mai: una musica creata con piccoli strumenti: a volte quasi silenziosa a volte sale con un battito e un ritmo potente.

E il canto, ammaliante come quello di una sirena, ti prende per mano e ti conduce a guardare. E tu guardi in silenzio: sei lì anche tu, sulla scena con loro: è tanta la bellezza, anche nella tragedia, che non te ne puoi andare.

E senti risuonare le parole di Pasolini: Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano… Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna…

E senti risuonare nomi terribili: Treblinka, Auschwitz, Trieste.

E ritornano le parole di Basaglia: potrà accadere che i manicomi torneranno ad essere chiusi e più chiusi di prima, io non so! Ma in tutti i modi noi abbiamo dimostrato che questo è possibile.

E queste parole ti interrogano: interrogano te, la tua coscienza, come persona e come società.

Anche perché a Trieste, là dove c’era un manicomio, ora c’è il parco di san Giovanni dove sono state piantate 5.000 rose, che parlano di un sogno che è diventato realtà e ora utopia. Parlano di amore e che aveva senso stare lì a voler cambiare il mondo.

Ma altrettante ne mancano. Le rose che mancano chiamano una generazione altra.

Il cammino è lungo. Chiamano l’impegno di tutti, non solo a Trieste. Perché, come diceva Basaglia, si può sempre ritornare indietro.

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