Bimbo nato morto, il primario del Sant'Anna: "Le madri vanno tutelate"

"Se l'organizzazione della struttura non consente di rispettare le esigenze minime di rispetto della persona in difficoltà, allora non raggiunge uno degli obbiettivi principali della assistenza alla sofferenza".

Bimbo nato morto, il primario del Sant'Anna: "Le madri vanno tutelate"
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Bimbo nato morto, il primario del Sant'Anna: "Le madri vanno tutelate". La toccante testimonianza di una madre lecchese che ha partorito il suo piccolo senza  vita all'ospedale di Lecco insieme a tante donne che fortunatamente invece hanno vissuto nel parto il momento più bello della loro vita, ha suscitato  tante, tantissime reazioni. Tra queste anche quella di un professionista che ha dedicato una vita intera alle madri.  E si è impegnato per fare in modo di attivare percorsi separati per le donne ricoverate per dare alla luce i loro neonati e le donne che si ritrovano nelle stesse sale per partorire il «feto» morto che portano in grembo.

Bimbo nato morto, la testimonianza di un primario

"Sto andando in pensione, ma nel reparto di ostetricia e ginecologia che ho diretto per 15 anni ho preteso di dividere nettamente il percorso di donne con questo tipo di esperienza, tenendole separate dalla sala parto e dalla degenza in ostetricia". Lo sostiene il dottor Renato Maggi, medico lecchese primario dell'Ospedale Sant'Anna di Como. "E' stato un percorso contrastato da difficoltà, sostenute da molti colleghi anche fra i collaboratori più stretti e, stranissimo, anche da qualche ostetrica che lavora nel mio reparto".

Troppe scuse

"Le scuse sono infinite" prosegue i dottor Maggi. "siamo sotto organico, ci sono assenze per malattia e quant'altro... Ma secondo me sono scuse rispetto alla maggior complessità organizzative che complicano un po' il percorso più rispettoso dello stato emotivo della paziente. E sono sicuramente un po' meno efficienti nel "risparmio" di tempo".

La persona, la donna, la mamma deve essere al centro

"Io sostengo che se l'organizzazione della struttura non consente di rispettare le esigenze minime di rispetto della persona in difficoltà, allora  non raggiunge uno degli obbiettivi principali della assistenza alla sofferenza" conclude Maggi ricordando che al centro deve esserci la persona, la donna, la mamma. Soprattutto in una vicenda esperienza drammatica come questa.

 

 

 

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