Azione Lecco riflette sul tema dei giovani e del lavoro in Italia
Creare un ambiente in cui i giovani possano progredire sia professionalmente che personalmente non può che contribuire ad una maggiore produttività

Azione Lecco riflette sul tema dei giovani e del lavoro in Italia. Di lavoro di qualità, sicuro e ben retribuito in Italia c’è tanto bisogno. Per questo, terminate le considerazioni sul referendum, per Azione è fondamentale riportare al centro di un dibattito politico serio come si lavora oggi nel nostro Paese.
Azione Lecco riflette sul tema dei giovani e del lavoro in Italia
Grazie alle prof.sse Rossella Gattinoni, docente di Lettere in un liceo della provincia di Lecco, e Anna Rosa Besana, docente di Lettere di Casatenovo in pensione, Azione lecco ha voluto dare voce alla storia di tre giovani laureati del nostro territorio.
“Negli ultimi tempi numerose ricerche hanno posto in primo piano la questione della fuga all’estero dei giovani laureati (Almalaurea 2025, Fondazione Nord Est, “il Rapporto sulla competitività in Europa” di Mario Draghi). Da ultimo, anche la dott.ssa Maria Anghileri, vicepresidente dei giovani industriali, ha espresso preoccupazione per come in Italia si sia infranto il patto tra le generazioni. La questione ci sta particolarmente a cuore - raccontano le insegnanti Gattinoni e Besana - Infatti, capita che ex alunni vengano a trovarci o ci scrivano per raccontare le loro difficoltà nel trovare un lavoro adeguato. Crediamo che tali storie siano emblematiche di ciò che accade in Italia. Tra le tante, ne abbiamo raccolte tre esemplari di quanto sta avvenendo nel mercato del lavoro".
Il primo caso
Veniamo al caso di E.M. ingegnere civile e ambientale da quattro anni, regolarmente iscritto all’albo, che ha fatto il pendolare per i cinque anni di università, per poi trovare lavoro prima a Bergamo e poi, dopo un paio d’anni, a Milano. Ora si sta guardando intorno per cercare di migliorare la posizione lavorativa. La mobilità professionale tra i giovani è una tendenza in costante crescita, segno di un profondo cambiamento di mentalità. Ma qual è, nel caso specifico, il motivo? L’aver esperito le criticità del lavoro a partita IVA che, dapprincipio, accattivante e promettente in termini economici, si è rivelata poi deludente e rischiosa.
Già nella ricerca del primo lavoro, il giovane laureato si era accorto che tutte (e dicasi tutte) le offerte erano in questi termini: stage pagato pochi soldi o partita IVA di cui si vantavano le “magnifiche sorti e progressive” in termini di tassazione ed elasticità. Salvo poi accorgersi che del lavoro indipendente aveva solo gli svantaggi: orari di lavoro ben oltre le canoniche 8 ore giornaliere, poche ferie concordate, malattia a sue spese, per non parlare della tutela pensionistica. E nemmeno un vantaggio in termini di autogestione ed elasticità. Insomma, una falsa partita IVA. Il giovane si rimette in gioco, questa volta con un po’ più di esperienza e intenzionato a cercarsi un contratto a tempo indeterminato in qualità di lavoratore dipendente. E qui si scontra con il vuoto quasi totale delle offerte. Dopo una ricerca capillare, ne trova una per la quale si candida, supera i numerosi step generali e tecnici fino ad arrivare all’offerta di contratto. A questo punto, il CEO si riserva di fare l’offerta economica.
Fatti due conti, a fronte dell’esperienza maturata, del pendolarismo, della prospettiva di trasferimento a Milano, il giovane ingegnere si aspetta di poter raggiungere i 2000 euro netti al mese. Ma non è così. Ne consegue il rifiuto dell’offerta e un’accesa discussione per email con il CEO che si sente in dovere di fare la morale al ragazzo e redarguirlo pesantemente per le sue pretese, calcando la mano sull’arroganza di E.M. che, con poca esperienza, pretende stipendi ricchi.
Il secondo caso
Il secondo caso riguarda A.U., una giovane ingegnere edile-architetto (anche lei iscritta all’albo) che si vede offrire una prima esperienza di collaborazione da un importante studio di progettazione di Milano, di cui un suo docente universitario è socio fondatore. Ovviamente, all’ultima arrivata viene fatto capire che l’orario di lavoro, spesso e volentieri, supererà le ordinarie otto ore: quando ci sono bandi importanti si lavora anche di sera e si può dare disponibilità per il fine settimana.
Tanto non avendo una famiglia si è più liberi… Per la giovane è sicuramente un’occasione importante per imparare da un docente che tanto ammira, e, dunque, pensa di accettare, per sei mesi eventualmente prorogabili per altri sei, anche uno stipendio di 500,00 euro al mese, mettendo sul piatto della bilancia che i genitori la dovranno mantenere perché le spese, anche solo di viaggio. Questo è l’aspetto che le pesa: dover chiedere ancora un aiuto economico ai genitori, semplici operai, che l’hanno mantenuta per tutto il corso degli studi. Però pensa che potrà anche attingere a quel gruzzoletto che ha messo da parte con il lavoro di consegna pizze a domicilio. Certo, è impensabile prendere in affitto un appartamento a Milano; dunque, i ritmi di lavoro saranno faticosi, ma A. si dice che deve essere grata di questa possibilità e che, forse, se dimostrerà di valere, verrà assunta.
D’altro canto, chi più di un docente universitario può favorire la valorizzazione dei giovani? Ma ecco la sorpresa: alla domanda se, al termine dell’anno di prova, ci possa essere la speranza di un’assunzione si sente ripetere che sarà difficile, perché “tanto voi ve ne scappate prima dei sei mesi”. Ogni commento è superfluo. Accantonata l’idea, poco dopo arriva il primo lavoro, sempre a partita IVA. All’inizio c’è l’illusione di avere eguali diritti di chi è stato assunto con un contratto da dipendente, perché così le è stato spiegato in fase di assunzione. In realtà può essere lasciata casa da un giorno all’altro e allo stipendio vanno tolte le tasse e le spese del commercialista. Anche A.U. dopo più di un anno comincia a guardarsi intorno e riesce a trovare, nello stesso settore di bioedilizia, un imprenditore che la assume a tempo indeterminato per 1.800,00 euro circa.
Il terzo caso
Veniamo alla terza testimonianza. MR.S. è una giovane laureata in ingegneria informatica che sta per conseguire la laurea magistrale in Informatica industriale. Nel suo percorso c’è uno stage svolto presso una società leader globale nell’elettrificazione e nell’automazione della Lombardia.
Anche la sua esperienza testimonia una grande difficoltà ad accogliere e formare i giovani da parte del mondo del lavoro. Infatti, dopo il conseguimento della laurea, alla giovane è stato proposto il rinnovo del contratto stage da 5 € l'ora, contratto in cui non erano previste ferie o malattie. Contestualmente, però, i responsabili le hanno fatto comprendere che, al termine dello stage, non c’era in vista un’assunzione, perché la valutazione della laurea non era stata di 110 e lode.
Ovviamente, alla giovane questa è parsa una giustificazione pretestuosa. Per altro l'esperienza non ha significato per MT una crescita in conoscenze e competenze, perché la mansione che le era stata assegnata era di leggere i libretti d'istruzione dei prodotti, per verificare se i contenuti fossero chiari e comprensibili. Certo passare otto ore a leggere libretti di istruzione non è né gratificante né utile per la crescita professionale di un giovane. La ragazza ha avuto la possibilità di allontanarsi da quella realtà e ora coltiva il sogno di poter fare una tesi sperimentale in un’azienda della Brianza.
Le conclusioni
Queste vicende spingono a chiedersi perché non puntare su lavoratori ben formati dai nostri atenei e metterli nelle condizioni migliori per affrontare le sfide tecnologiche e funzionali di un mondo sempre più complesso che vede l’imporsi di economie aggressive di stati autocratici o sovranisti? In un Paese che invecchia rapidamente e che poco investe nella ricerca e nell’industria c’è bisogno di scommettere sui giovani, di accompagnarli nell’inserimento nel mondo del lavoro puntando sulle loro competenze aiutandoli ad affinarle.
In sostanza, creare un ambiente in cui i giovani possano progredire sia professionalmente che personalmente non può che contribuire ad una maggiore produttività. Non è forse un caso se realtà industriali, che attuano politiche aziendali più aperte e innovative, si rivelano poi in grado di affrontare virtuosamente situazioni di crisi globali.
“E, invece, fotografiamo una realtà preoccupante” - raccontano le docenti sulla scorta dei dati pubblicati da Almalaurea 2025 - “a un anno dal conseguimento del titolo, i laureati di primo e secondo livello percepiscono, in media, 1.500 euro netti al mese; a cinque anni la cifra si aggira sui 1.800 euro. Se pensiamo ai costi degli affitti o dei mutui, impensabile ipotizzare di uscire di casa e, magari, mettere su famiglia. Coloro che si sono trasferiti all’estero, dopo un anno, percepiscono in media oltre 2.200 euro netti al mese, più del 54% rispetto a chi è rimasto in Italia; dopo cinque anni la cifra è di 2.900 euro, più 61,7% se confrontata con i colleghi italiani”.
Lo scarto è profondo. Ed è chiaro che questa significativa differenza nel potere d’acquisto e nelle condizioni economiche tra l’Italia e gli altri Paesi abbia innescato negli anni una crescente fuga di cervelli, spesso laureati in materie economiche, scientifiche e tecniche, il cui 63% reputa poco probabile il rientro.
“La Politica, quindi, ha una grandissima responsabilità” conclude Eleonora Lavelli, segretaria provinciale di Azione Lecco “dare speranza e futuro al nostro Paese, rendendo attrattivo il mondo del lavoro in Italia. Creare la condizione per migliorare la vita dei cittadini è una sfida che dobbiamo cogliere”.