memoria e impegno

Abbadia celebra il 4 novembre: “La pace non è uno stato garantito”

Il sindaco Azzoni: "Non celebriamo solo il passato, ma la responsabilità del presente. La responsabilità di tenere viva la memoria, di non voltare lo sguardo, di educare le nuove generazioni al valore della pace e del rispetto reciproco"

Abbadia celebra il 4 novembre: “La pace non è uno stato garantito”

Questa mattina, domenica 2 ottobre 2025, nonostante la forte pioggia, dopo la messa nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo si è svolta la cerimonia per il 4 novembre, la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate. La cerimonia si è tenuta anche dopo la messa delle 9 nella frazione di Crebbio.

Abbadia celebra il 4 novembre: “La pace non è uno stato garantito”

Il sindaco Roberto Azzoni, insieme al vicesindaco Roberto Gandin, ha raggiunto il Monumento ai Caduti di via via Lungolago, dove sono state deposte corone di fiori da parte dell’Associazione nazionale Alpini di Mandello e dal Soccorso degli Alpini di Mandello, i cui rappresentanti hanno partecipato alla cerimonia, così come l’Arma dei Carabinieri e il Corpo musicale mandellese. Presenti anche autorità civili e religiose.

Dopo l’inno nazionale e il Silenzio per i Caduti di tutte le guerre, il sindaco ha letto il proprio discorso, che qui riportiamo integralmente:

Care cittadine e cari cittadini,
Autorità religiose, civili e militari,
Rappresentanti delle associazioni,

ci ritroviamo, come ogni anno, davanti a questo monumento ai Caduti per celebrare la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Un momento di memoria, di rispetto, ma anche – e soprattutto – di riflessione.

Ogni volta che pronunciamo parole come “unità”, “forze armate”, “patria”, “pace”, rischiamo di farlo in modo abitudinario. Come se fossero parte di un rito che si ripete, quasi meccanicamente, anno dopo anno. Ma la verità è che queste parole oggi pesano meno, perché il mondo attorno a noi sembra aver smarrito il senso del sacrificio, della solidarietà e perfino della memoria.

E allora la domanda che mi pongo – e che vorrei porre anche a voi – è questa: ha ancora senso ritrovarsi qui ogni anno, deporre una corona, ascoltare un discorso, se poi le guerre continuano, se ogni giorno nuove vittime civili e militari si aggiungono a un elenco infinito?

Prima di cercare una risposta, però, è giusto fermarsi un momento e ricordare.
Ricordare i nostri Caduti, gli uomini e le donne che hanno dato la vita nelle guerre, in patria e lontano da casa. Ragazzi poco più che ventenni, padri, contadini, operai, studenti. Persone comuni che hanno conosciuto la paura, la fame, la separazione, ma anche il coraggio e la dignità. Molti non sono tornati. Altri sono tornati cambiati, con ferite che non si vedono, ma che hanno attraversato generazioni. A loro dobbiamo la libertà che viviamo, e anche la responsabilità di custodirla ogni giorno. Il silenzio che oggi dedichiamo ai Caduti non è un gesto formale: è una promessa, la promessa di non dimenticare, e di non restare indifferenti davanti a chi ancora oggi, nel mondo, paga il prezzo della guerra.

Ed è proprio da questo ricordo che nasce la risposta. Forse no, non avrebbe senso trovarsi qui se tutto restasse confinato a questo momento. Se ci limitassimo a ripetere gesti e parole, ogni anno uguali. Ma ha senso, eccome, se da qui ripartiamo con la consapevolezza che la pace non è uno stato garantito: è una costruzione quotidiana. Ha senso se ci ricordiamo che l’unità non è soltanto una parola scolpita nei libri di storia, ma un impegno vivo, che riguarda anche le nostre comunità, i nostri rapporti, la nostra capacità di camminare insieme.

Questo monumento non è solo pietra e bronzo: è un invito. Un invito a non dimenticare chi ha creduto in un’Italia libera e giusta, ma anche a non accontentarci di celebrare la pace come un concetto astratto, mentre in troppi luoghi del mondo è ancora solo un sogno.

Non bastano i discorsi. Nemmeno il mio, se alla fine resta solo qui, tra noi, per qualche minuto. Del resto – diciamocelo con onestà – se non vengono ascoltati il Papa, i capi di Stato, milioni di persone che scendono in piazza per chiedere la pace, come possiamo pensare che serva davvero il discorso di un povero sindaco davanti a un monumento?

Eppure, forse, un senso c’è. Perché se anche una sola persona, tornando a casa, si chiederà che cosa stiamo facendo – ciascuno di noi – per costruire un mondo più giusto e meno violento, allora questo momento non sarà stato inutile.

Non celebriamo dunque solo il passato, ma la responsabilità del presente.
La responsabilità di tenere viva la memoria, di non voltare lo sguardo, di educare le nuove generazioni al valore della pace e del rispetto reciproco.

Solo così, forse, potremo davvero dire che il sacrificio di chi ci ha preceduto non è stato vano.

Grazie.