Metastasi: per i giudici Palermo era il volto pulito della ‘Ndrangheta di Lecco

Depositate le motivazioni della sentenza

Metastasi: per i giudici Palermo era il volto pulito della ‘Ndrangheta di Lecco
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Nel processo «Metastasi bis», che si è chiuso a febbraio, era arrivata la stangata sull’ex consigliere Pd, nonché insegnante a Morbegno, Ernesto Palermo. La prima sezione penale della Corte d’Appello di Milano ha riqualificato il reato e inflitto pene più severe condannandolo a dieci anni e quattro mesi, contro i sei anni e otto mesi della precedente sentenza. Anche per Alessandro Nania la pena è stata aggravata, passando da quattro anni e sei mesi a sette anni nove mesi e dieci giorni. Stangata anche per Claudio Bongarzone che ha visto lievitare la condanna da tre anni e quattro mesi a sette anni.  Ira sono arrivate le motivazioni della sentenza. Ecco perché, per i giudici milanesi, i tre sodali sono mafiosi... Riconosciuto il loro potere criminale

Metastasi: per i giudici Palermo era il volto pulito della ‘Ndrangheta di Lecco

«Ernesto Palermo era il volto pulito della ‘Ndrangheta lecchese».  Ne è assolutamente convinta la Corte d’Appello di Milano che nelle motivazioni della sentenza, rese note la scorsa settimana, ha puntato il dito contro l’insegnante ed ex consigliere comunale di Lecco. Non solo. A pagina due del documento i magistrati precisano pure che la mafia in città è «tuttora permanente».

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«Palermo costituisce quella figura nuova e pulita il cui ingresso all'interno dell'associazione era stato auspicato da Mario Trovato mentre era ancora in carcere - si legge nel testo a firma della presidente Rosa Luisa Polizzi - Una figura atta a penetrare con modalità corruttive rafforzate dal metus associativo, nei gangli della pubblica amministrazione così da consentire all'associazione un controllo della gestione e della affidamento di concessioni e appalti». Per i giudici milanesi infatti «la modalità corruttiva appare strategica e accorta per le associazioni criminali di tipo mafioso, perché riduce il rischio di denunce per lo specifico interesse che lega il corrotto al corruttore non senza accrescere la posizione di potere dell'associazione laddove genera nel pubblico funzionario il timore di possibili rappresaglie in ipotesi di denuncia o sviamento dall'accordo».

L'organizzazione criminale

Palermo aveva un ruolo chiave all’interno dell’organizzazione criminale capeggiata da Mario Trovato. «Il suo coinvolgimento nelle attività del gruppo sono ulteriormente desumibili dalla vicenda della Lido di Parè, operazione volta all’aggiudicazione di una concessione pubblica per la gestione di un'area balneare sita nel comune di Valmadrera da parte di una società riconducibile a Mario Trovato. Palermo, sfruttando il proprio ruolo di consigliere e le proprie conoscenze, in particolare quella con il sindaco di Valmadrera Marco Rusconi, si è adoperato nell'interesse dell'associazione e dello stesso Trovato, affinché, a fronte di una tangente la gara fosse vinta dalla società appositamente costruita». Può dunque «ritenersi pienamente provata la qualificazione dell'associazione ai sensi dell'articolo 416-bis del Codice penale capeggiata da Trovato e la consapevole adesione ad essa e del suo metodo degli imputati Palermo, Alessandro Nania e Claudio Bongarzone e che della fama derivante dell'associazione di appartenenza e della capacità intimidatoria del vincolo si sono avvalsi per porre in essere condotte volte ad avvantaggiare il gruppo stesso operativo in un'area, il lecchese, gravata da un ormai diffuso clima di assoggettamento atto ad incidere su attività commerciale e gangli amministrativi».

Le armi

Provata l’aggravante dell’uso delle armi. «Deve ritenersi integrata anche l'aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416 bis poiché come conferma l'ormai consolidata giurisprudenza in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso la circostanza aggravante della disponibilità di armi è configurabile a carico di ogni partecipe, che pur non avendone effettiva consapevolezza, ignori, per colpa, il possesso di armi da parte degli associati». Nel caso di Palermo però è stata riconosciuta l’effettiva responsabilità visto che in una conversazione telefonica parla di «spari contro le vetrine dell’Old Wilde Cafè e dell’episodio intimidatorio nei confronti dei gestori». Tali fatti «confermano come l'associazione avesse nella propria disponibilità delle armi».

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