Inaugurate due targhe in memoria di don Ticozzi FOTO

Omaggio di Lecco al sacerdote preside del Liceo Manzoni e riferimento dell'azione antifascista durante la Resistenza

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La città ha omaggiato stamane la memoria di don Giovanni Ticozzi.

Don Ticozzi ricordato in due punti della città

Due ampi pannelli con il profilo biografico del sacerdote, educatore, uomo della resistenza partigiana nella lotta contro il nazifascismo, sono stati inaugurati in due punti della città. Il primo all'ingresso della scuola secondaria di primo grado a San Giovanni,  peraltro già intitolata al prete. Il secondo in largo Montenero, all'ingresso del liceo scientifico e musicale Grassi. L'edificio era infatti un tempo sede del Liceo Manzoni, di cui don Ticozzi è stato preside fino al 1958.

Un ideale percorso della memoria

Come hanno spiegato l’assessore alla Pubblica Istruzione Salvatore Rizzolino e il presidente di Anpi Lecco Enrico Avagnina, si tratta dell’ultima tappa di un ideale percorso della memoria che si è iniziato a costruire qualche anno fa, collocando targhe ad Acquate a ricordo delle figure delle sorelle Villa, di don Martino Alfieri e dei Caduti lecchesi a Fossoli.

La figura di don Ticozzi è stata approfondita attraverso un lavoro di ricerca dagli studenti della media di San Giovanni, guidati dalla professoressa di Lette Patrizia Colombo. Fondamentale il supporto dell'Anpi che ha messo a disposizione il materiale d'archivio.

Sacerdote, educatore, uomo della Resistenza

Presenti ad entrambe le cerimonie gli ex alunni del Manzoni per i quali Ticozzi è stato l’imprescindibile preside. Con altri parenti del sacerdote, c'era anche il pronipote Pietro. Che ha ricordato il prozio citando alcune sue lettere dal carcere e poi leggendo un ampio stralcio della predica da lui pronunciata il  7 marzo 1954. Occasione il decimo anniversario dell’arresto e deportazione in campo di concentramento di diciannove operai lecchesi della Bonaiti, Badoni e del Caleotto. Don Ticozzi li vide portare via. Sarebbero morti lontani dalla loro patria e dalle loro famiglie «per nessun altro motivo se non per aver combattuto contro il nazifascismo».

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