l'uomo bionico

Dionigi Gianola, il ritorno del campione: da un letto d’ospedale al traguardo del Giir di Mont

"È follia, è sogno": la corsa miracolosa di Dionigi un anno dopo l’incidente

Dionigi Gianola, il ritorno del campione: da un letto d’ospedale al traguardo del Giir di Mont
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Un anno fa, dimesso appena tre giorni prima dall’ospedale Manzoni di Lecco, era al traguardo di Premana in sedia a rotelle «perché avrei voluto essere in partenza ma non potevo». Lo stesso che a distanza esatta di un anno, ha incredibilmente tagliato col crono pazzesco di 3h43.27.
L’uomo bionico è Dionigi Gianola, nato a Lecco il 30 maggio 99. Lo è diventato dopo quel terribile impatto datato 16 luglio 2024. «Stavo andando a lavorare in moto, ero a 10 km dall’azienda Officine Celsi di Cortenova dove lavoro che è anche il mio sponsor sulle magliette. Erano le 7.40, all’altezza di Piazzo, in cima a Casargo, un signore con una Panda, svoltando a sinistra, mi ha preso in pieno. Sono sbalzato a qualche metro di distanza a bordo strada, sbattendo contro la stanga di legno col casco: il colpo mi ha girato indietro il collo, rompendomi tre vertebre: d3/4/5. Una è collassata, poi ho rotto la scapola sinistra e ho avuto una micro frattura bacino, quella al confronto era poca roba».

Dionigi Gianola, il ritorno del campione: da un letto d’ospedale al traguardo del Giir di Mont

In quelle condizioni in tanti non si sarebbero presentati: come mai hai scelto di essere li?
«Mi hanno operato il 19 luglio e in proposito tengo a ringraziare i neurochirurghi Marta Crespi e Carlo Cesana. Mi avevano dimesso da tre giorni e il consiglio era quello riposare stando a casa, ma volevo esserci per guardare il Giir… Mi sono fatto prestare la sedia a rotelle da una ragazza per poter vedere almeno partenza e arrivo».

Perché un premanese non può mancare al Giir?
«Esatto, esserci è un’altra cosa. E comunque così ho cominciato a mangiare rabbia da portare quest’anno in gare. Anche perché nel 2024 avevo cominciato a prepararlo dal mese di gennaio. Ero in forma e volevo fare un bel tempo».

Un anno dopo hai capovolto un mondo: come hai fatto?
«Avevo addosso una carica sovrumana, tra l’altro solo riuscito anche a migliorarmi».

Le tappe della ripresa?
«Ogni mese avevo un controllo. A fine agosto ho iniziato a fare qualche passeggiata tranquilla sui sentieri di Premana, poi già a settembre ho allungato le distanze andando sul Picco Alto. A ogni controllo medico chiedevo il permesso di poter provare a correre, ma mi consigliavano di fare al massimo del movimento in acqua. A ottobre ho fatto di testa mia e mi sono messo a correre, non su asfalto per evitare l’impatto sul duro, ma sui sentieri. Mi faceva un po’ male, anche adesso se mi piego in avanti e in bici ad esempio non riesco ad andare. Devo tenere la schiena dritta. Dentro ho due barre da 15 centimetri, una a destra e una a sinistra, con tre viti nelle vertebre e cinque gancetti di titanio».

Allora è vero che sei bionico?
«Un po’ sì, a tutti gli effetti: ma non per merito mio».

C’è qualcuno in particolare che ti è stato vicino?
«Mio papà Aldo e mia mamma Morena Fazzini, che sono di sicuro i miei primi tifosi, mia sorella Serena e, fin dai momenti successivi all’incidente la mia ragazza Jasmin. Poi ringrazio tutti i miei cugini e parenti che sono venuti a trovarmi in ospedale».

Jasmin è un nome poco valsassinese.
«Suo papà è di Premana e anche lei vive qui, ma sua mamma è cubana. Gran parte della riabilitazione, oltre che col nuoto, l’ho fatta proprio con lei quest’inverno sugli sci da fondo».

Tuo papà quando sei arrivato al traguardo aveva gli occhiali scuri. L’hai fatto piangere?
«E’ probabile, sicuramente l’ho fatto io. Poi cercavo di trattenermi ma ogni mezz’ora mi scendeva una lacrima».

C’era tutta Premana a spingerti, al traguardo lo speaker Delio Fazzini («E’ cugino di mio papà») ha detto che probabilmente è stato il più bell’arrivo di sempre del Giir. Immagino quanto tifo anche sul percorso.
«Dall’inizio alla fine, non ci stavo dentro dalla carica e dalla gioia. C’è da dire che già qui tifano tutti, i premanesi poi e, nel mio caso, dopo l’incidente, tutto era elevato all’ennesima potenza. Praticamente ho corso tutta la gara col sorriso, non riuscivo a non essere felice. Ho fatto anche fatica, anche perché non ero allenato come avrei voluto. Ma aver segnato il mio per tempo migliore è stato fortissimo. Penso principalmente di esserci riuscito per il tifo pazzesco».

Anche tecnicamente c’erano difficoltà.
«Sulla salita dura se mi inclino troppo in avanti mi esce il dolore e mi devo raddrizzare. Ma il giorno dopo la gara non sentivo male. Mi ricordo che ero più affaticato due anni fa, devo avere addosso qualcosa che non capisco».

Al microfono dopo l’arrivo hai detto «follia», poi sogno. Ora che sono passati tre giorni?
«E’ follia quel tempo. Pensavo che sarebbe già stata una fortuna arrivare stando sotto le 4 ore, invece ho migliorato di tre minuti il mio personale, fra l’altro allenandomi poco per problemi che ho avuto la ginocchio da aprile a giugno».

In quanti ti hanno fermato sta settimana?
«Più o meno tutti quelli che incontro, almeno una cinquantina».

Devi pagare da bere?
«Domenica sera l’ho già fatto abbastanza...».

Chi ti ha investito ti ha mai cercato?
«L’hanno rivisto i miei genitori, avrebbe potuto farsi vedere almeno una volta, ma è andata così».

La tua passione per la corsa a quando risale?
«Credo di avere iniziato a correre quando avevo tre anni seguendo mia sorella Serena che ha quattro anni più di me. Quando era under 10 mi arrabbiavo perché non potevo gareggiare essendo troppo piccolo».

Come mai, tu e altri premanesi, fate parte dell’US Malonno?
«E’ iniziato tutto da me. Cercavano atleti di un certo livello per fare una squadra più competitiva, mi hanno contattato nel 2021. Tre anni prima avevo fatto un europeo in Macedonia, a Skopje, con la nazionale juniores con cui ho preso parte anche a un mondiale in Andorra. Per questo ero abbastanza conosciuto nel mondo della corsa in montagna. Prima di me avevano preso anche il valdostano Henri Aymonod e una ragazza del Friuli. Adesso corrono per l’US Malonno anche Paolo e Moris Gianola (giovani talenti, rispettivamente classe 2006 e 2007, ndr)».

Con quello che hai passato ti senti ancora di voler essere un agonista?
«Bella domanda. Tutti mi dicono di non esagerare, che non si sa mai quello che può capitare. Ma io voglio continuare e tornare a correre come prima. Sicuramente penso di voler migliorare il tempo qui al Giir di Mont. Prima dell’incidente l’obiettivo era stare sotto le 3h30 (il record è dell’eritreo Petru Mamu in 3h11.29, il fenomenale Magnini ha vinto quest’anno in 3h14.04, ndr). Pian pianino devo arrivare lì».

Il nome Dionigi è di origine greca e significa «consacrato a Dioniso». Nella mitologia greca, era il dio del vino, della fertilità e delle feste. Ti riconosci?
«E’ azzeccatissimo, sono proprio io: sono amico di tutti».

Hai letto dell’infortunio capitato al lecchese Lorenzo Bonicelli, il ginnasta che ha rotto la quinta vertebrale cervicale: vuoi rivolgergli un pensiero tu che sei uscito da un momento così duro?
«Gli dico che la forza di volontà fa tanto, il grosso del mio recupero così veloce è dovuto a quello. Deve credere di poter tornare ai suoi livelli perché niente è impossibile».

Al traguardo ridevi con la leader del comitato Francesca Codega. Cosa vi siete detti?
«Mi ha fatto i complimenti e poi mi ha chiesto: “la schiena come va?” Le ho risposto che ero talmente felice che non sentivo niente, né mal di schiena

Dario Sacccabarozzi
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