grande partecipazione all'incontro di ieri sera

"Sogni e illusioni di libertà", dialogo con Patrick Zaki, Sanaa Seif e Ahmed Stakoza, perseguitati perchè contrari al regime

"Credo che un regime dove ogni diritto è ignorato e ogni alternativa è soppressa generi individui capaci di violenza gratuita"

"Sogni e illusioni di libertà", dialogo con  Patrick Zaki, Sanaa Seif e Ahmed Stakoza, perseguitati perchè contrari al regime
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"Nessuno è libero finché non si sente veramente tale": con queste parole si è aperto l'incontro che si è svolto nella serata di ieri, giovedì 16 novembre 2023, all'auditorium del centro civico Pertini, con gli attivisti egiziani Patrick Zaki, Sanaa Seif e Ahmed Stakoza. L'evento, organizzato dall'istituto comprensivo Lecco 3 "Stoppani", ha riscosso una grandissima partecipazione.

"Sogni e illusioni di libertà", dialogo con gli attivisti egiziani Patrick Zaki, Sanaa Seif e Ahmed Stakoza, perseguitati perchè contrari al regime

"Sogni e illusioni di libertà. La mia storia" è il titolo del libro pubblicato da Zaki, lo studente dell’Alma Mater di Bologna arrestato al Cairo nel 2020, dove ha vissuto 20 mesi di prigionia. Insieme a lui, ieri sera erano presenti Sanaa Seif e Ahmed Stakoza, attivisti egiziani che come lui si sono ritrovati a dover affrontare lunghi mesi di carcere. Le loro colpe? Essere in disaccordo con il regime di di Al-Sisi.

Gli attivisti sono stati accolti dal sindaco Mauro Gattinoni, che ha portato con sé la foto scattata in municipio l'8 febbraio 2021, ad un anno esatto dalla cattura di Patrick: "Già da allora ti sentivamo vicino, oggi è un piacere abbracciarti nella nostra città".

Il moderatore della serata, il giornalista Luca Cereda, ha evidenziato il tema cruciale dell'incontro: "Parole che noi diamo per assodate, come democrazia e libertà, non sono scontate in Egitto, dove la richiesta di questi diritti conduce al carcere. E questo accade proprio in un Paese con cui l'Italia ha rapporti commerciali, economici e energetici, oltre che stretti rapporti turistici: sapere cosa accade lì significa sapere cosa succede nel nostro mondo".

Zaki: "Ho visto un bambino palestinese nascondersi da un soldato israeliano. Così ho deciso di diventare un attivista"

I tre attivisti hanno poi raccontato le vicissitudini politiche della loro patria, a partire dalla "Primavera araba": dopo 30 anni di regime di Mubarak, le rivolte del popolo sono state sedate e il potere è stato preso dal Consiglio superiore delle forze armate. Il Movimento islamico era l'unico che aveva la forza organizzativa per proporre un candidato. Così il popolo egiziano si trovava a scegliere tra un rappresentante del vecchio regime e un candidato del Movimento islamico. Infatti, da quando l'Egitto è stato liberato dagli inglesi, nel 1952, si è stipulata un'alleanza tacita tra l'esercito e i movimenti islamisti. Tuttavia, dopo un anno di governo islamista dei Fratelli Musulmani - che ha sollevato tantissime proteste - un colpo di stato ha posto fine a questo governo, segnando l'inizio del regime di Al-Sisi. All'inizio era visto di buon occhio, poiché la gente non sopportava più il governo islamista, ma presto si è capito che non si trattava più di una democrazia, ma di una dittatura. E parte della responsabilità è da attribuire anche all'Occidente: a causa di questioni geo-politiche legate alle risorse, non era nell'interesse dell'Occidente che l'Egitto diventasse una nazione instabile, così si è preferito appoggiare il potere autoritario.

Zaki ha poi confidato una scena che lo ha spinto in particolar modo a diventare un attivista: "Ho visto un bambino palestinese che si nascondeva dietro un muro per non essere visto da un soldato israeliano". E proprio alla guerra in Medioriente si è poi riferito, sostenendo: "La nostra missione attuale - dato che non c'è alcuna speranza sulla natura delle prossime elezioni in Egitto (saranno una farsa) - è salvaguardare i civili palestinesi, chiedendo un cessate il fuoco. Per quanto mi riguarda le elezioni perdono di significato quando nel Paese da parte al nostro da giorni uccidono donne e bambini".

"Vivere sotto un regime è come un film horror"

"Vivere sotto un regime è come trovarsi in un film horror, però è la vita vera - ha raccontato Ahmed Stakoza - All'inizio il mio attivismo era legato al rifiuto della leva militare obbligatoria, poi invece protestavo per avere i diritti umani fondamentali, quando il regime ha assunto una natura militarista. La lotta in Egitto ormai è collettiva: non riguarda solo le persone che si occupano di politica; nessuno può tirarsi indietro perchè si parla di diritti basilari".

"Il regime egiziano ha un modo sistematico di usare la violenza contro i prigionieri politici - ha sottolineato Zaki - E' qualcosa di profondamente radicato nella polizia egiziana, che ha le sue radici prima del regime di Al-Sisi, anche se si è inasprito con esso: nel libro descrivo un episodio in cui stavo solo aspettando fuori da un ufficio, non ero né bendato né ammanettato, quindi non mi trovavo in una situazione in cui potevo aspettarmi la violenza, ma un dipendente mi ha tirato una bottigliata in testa, così, senza alcun motivo, gratuitamente. Credo che un regime dove ogni diritto è ignorato e ogni alternativa è soppressa generi individui capaci di compiere violenza in modo gratuito. Io mi reputo fortunatissimo perchè avevo alle spalle amici, movimenti, persone che hanno dato rilevanza al mio caso: altri prigionieri politici non avevano i legami che avevo io".

Incarcerata per aver chiesto notizie del fratello, detenuto durante il Covid

E' toccato poi a Sanaa Seif raccontare la sua storia: la giovane attivista è finita in carcere accusata di atti di terrorismo per aver tentato di chiedere informazioni sul conto di suo fratello, che si trovava in carcere durante la pandemia (e tuttora è detenuto), del quale non aveva più notizie poiché i carcerieri avevano vietato lo scambio di lettere. Così sua madre ha protestato davanti al carcere, prima da sola, poi la notte dopo insieme a lei e a sua sorella, ma le tre donne sono state picchiate da alcuni scagnozzi, sotto gli occhi complici della Polizia, che ha poi sequestrato Sanaa, allontanandola dalla famiglia e incarcerandola con l'accusa di terrorismo, confidandole apertamente: "Non lo facciamo per te, ma come messaggio per tua madre". La ragazza ha quindi trascorso 18 mesi in carcere.

"Quando esci di prigione fisicamente sei libero ma psicologicamente no - ha spiegato Ahmed Stakoza - Nel 2021 ho lasciato l'Egitto. Il mio non è un esilio volontario, ma una conseguenza a cui sono costretto: mi piace vivere qui, ma vorrei anche andare a trovare la mia famiglia. Qui in Italia io posso anche sentirmi al sicuro, ma la lotta continua dentro di me perchè so che la mia famiglia e i miei amici sono ancora là".

Nessuna speranza per le prossime elezioni in Egitto, ma si continua a manifestare

Sulle prossime elezioni che si terranno a marzo 2024 in Egitto i tre attivisti non hanno dubbi: saranno sicuramente una recita, non c'è alcun candidato oltre al regime. L'unica persona che ha provato a far partire una campagna elettorale è stata arrestata insieme ai suoi sostenitori. E' spuntato dal nulla un candidato - giusto perchè Al-Sisi si è accorto che, per far quadrare le elezioni, non poteva essere l'unico in lista, spiegano i tre - che nessuno conosceva e nel giro di tre giorni ha raccolto 30 mila sostenitori (per partecipare alle presidenziali servono 25 mila firme, Al-Sisi ne ha 250 mila), dunque è chiaro che c'è qualcosa che non quadra.

Sanaa ha poi fatto notare che anche le altre potenze, quelle che hanno sostenuto Al-Sisi, adesso dovrebbero accorgersi che sta costando loro caro mantenere questo regime e che l'Egitto, con i suoi 100 milioni di persone, è a un passo dalla povertà, con un'economia in caduta libera.  Inoltre la guerra in corso in Medioriente dà la possibilità ad Al-Sisi di non affrontare quelle che sarebbero le priorità del Paese, perchè adesso l'unico problema, che interessa anche altri Paesi come Emirati Arabi e Stati Uniti, sembra essere quello di accordarsi in modo che i rifugiati palestinesi siano contenuti entro i confini dell'Egitto.

Anche i proiettili Fiocchi sparati in piazza Tahrir: "oggetti bellici inviati sotto forma di aiuti, come degli orribili regali"

Infine, una domanda dal pubblico ha fatto sorgere una riflessione; alcuni dei proiettili sparati sulla folla in piazza Tahrir erano proiettili Fiocchi: "Cosa ne pensiamo del fatto di avere in città una fabbrica di morte?". "E' necessario conoscere le politiche estere dei proprio governi - rispondono gli attivisti - che spesso quando non sono più sotto gli occhi dei propri cittadini smettono di comportarsi democraticamente. La maggior parte di questi strumenti bellici vengono inviati in Egitto sotto forma di aiuti: sono degli orribili regali". E così l'incontro si è chiuso a cerchio, tornando al punto iniziale sottolineato da Cereda: infatti, tra i principali accordi che il nostro Paese ha con l'Egitto, si contano proprio quelli militari.

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