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Demolizione del complesso del Garabuso: "Qual è il senso di un intervento così violento e invasivo?"

L'intervento dell'Ing. C. Francesco D'Alessio, lettore del nostro giornale

Demolizione del complesso del Garabuso: "Qual è il senso di un intervento così violento e invasivo?"
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Gentile redazione,
Negli ultimi mesi si è parlato con tanto entusiasmo di "rigenerazione urbana", espressione foneticamente rilassante e iconica che sembrava (finalmente) preludere a un’attenzione puntuale e mirata verso il doveroso recupero dell’esistente, anche nell’ottica di salvaguardia del tanto declamato paesaggio urbano consolidato. I sogni hanno però un brusco risveglio che in questo caso è la notizia dell'avvenuta demolizione del complesso del Garabuso ad Acquate che lascerà posto al solito blocco informe di “scatole di scarpe vetrate”. Come sempre nessuno ha il coraggio di dire che “il Re è nudo”, bevendo con connivenza le sfrontate espressioni che accompagnano il progetto: riqualificazione del contesto naturale, esempio di rigenerazione, etc. A sconcertare non è tanto l'impatto visivo, ovviamente soggettivo, ma la facilità e la leggerezza con cui un simile intervento è stato approvato senza nessun coinvolgimento almeno formale della popolazione (la recente e allucinante vicenda del teatro di Gambassi Terme, demolito nonostante la strenua e civile opposizione degli abitanti, sta a quanto pare facendo scuola) che come al solito viene messa di fronte al fatto compiuto, trattandola né più né meno come un "branco di pecore pascenti” (Manzoni in questo fu profetico) da tenere a bada nei recinti in vista della macellazione a tradimento. Inutile spendere parole sui notevoli e documentati valori simbolici del luogo che era condensato di quattro secoli di vicende industriali sulle quali esiste copiosa bibliografia, a conti fatti rivelatasi ancora una volta (vergognosamente) poco più di carta straccia. Nessuno pretendeva un “congelamento” del complesso ma almeno la salvaguardia, anche parziale o concettuale, dell’immagine del fronte verso strada (come avviene ormai in quasi tutti i paesi civili europei dove si pratica "vera" rigenerazione urbana). Ci si chiede comunque il senso di un intervento così violento e invasivo in fregio (e in sfregio) al torrente Caldone quando a poche decine di metri si predica – forse senza troppa convinzione – la valorizzazione del Gerenzone, paradossalmente meno interessante e per certi versi snaturato nella sua caratterizzazione industriale che invece permane(va) genuina nella zona del Garabuso.
Va benissimo, ma si abbia il coraggio di dichiarare (prendendosene la responsabilità) che paesaggio, tutela e salvaguardia sono concetti estranei alla pianificazione attuale del territorio e che la “rigenerazione urbana” è a conti fatti un pratico e subdolo strumento a mero uso e consumo di legittime ma sconfortanti operazioni speculative: non c’è nulla di male in questo, basta dirlo una volta per tutte con semplice onestà.
Francesco D’Alessio di Lecco
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