I numeri straordinari de La Nostra Famiglia. Minoli: “La Fondazione ci ha subito affiancato nel nostro sviluppo”
La Nostra Famiglia è una delle più importanti istituzioni italiane specializzate nella cura e nella riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva. Un’eccellenza del nostro Paese presente con 28 strutture in 6 regioni italiane e che si avvale di 2.460 collaboratori e 624 volontari.
La Nostra Famiglia è una delle più importanti istituzioni italiane specializzate nella cura e nella riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva. Un’eccellenza del nostro Paese presente con 28 strutture in 6 regioni italiane e che si avvale di 2.460 collaboratori e 624 volontari. Inoltre collabora con Ovci in 5 Paesi del mondo. Luisa Minoli, 52 anni, varesina di Cairate, ha iniziato a lavorare per La Nostra Famiglia di Vedano Olona nel lontano 1988. Poi, nel 1995, in concomitanza con l’ingresso nell’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità, è arrivata a Ponte Lambro per lavorare nella segreteria di presidenza. Ai vertici dell’associazione è arrivata nel 2016 raccogliendo il testimone da Alda Pellegri, che a sua volta era subentrata a Zaira Spreafico.
Minoli: “La Fondazione ci ha subito affiancato nel nostro sviluppo”
Come è arrivata alla guida di questa importante organizzazione?
«Il nostro è un ente ecclesiastico che porta avanti la missione del beato Luigi Monza, fondatore dell’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità e dell’associazione La Nostra Famiglia, che negli Anni Trenta aveva avuto l’intuizione che la carità pratica vissuta dalle prime comunità cristiane potesse essere una relazionalità da proporre alla società civile ed ecclesiale del suo tempo, ma solo nel 1946 l’Associazione ha iniziato ad occuparsi in modo operativo del mondo dei bambini disabili e della riabilitazione. È una carità che si è messa al servizio della scienza e della tecnica. E ricoprire questo ruolo diventa una risposta, una responsabilità, un modo per continuare l’opera del nostro fondatore, l’adesione di una vita di fede, non un punto di arrivo di una carriera».
I numeri della sua organizzazione sono imponenti: 29.145 bambini e giovani assistiti in forma ambulatoriale, 3.281 bambini e giovani assistiti in forma diurna e 163 bambini e giovani assistiti in forma residenziale. Come siete riusciti a garantire questa assistenza durante questa pandemia?
«Non è stato semplice, anche perché talvolta abbiamo dovuto fare i conti con norme regionali e nazionali farraginose e non sempre chiare, che si sovrapponevano. Abbiamo sempre tenuto aperto gli ospedali di riabilitazione a Bosisio Parini, Conegliano-Pieve di Soligo e Brindisi; così come i servizi riabilitativi residenziali per minori ed adulti. Gli altri servizi riabilitativi ambulatoriali e a ciclo diurno continuo, invece, sono stati sostituiti dalle attività a distanza per garantire la continuità assistenziale con diversi approcci come telemedicina, riabilitazione e abilitazione a distanza e sostegno ai caregivers. Lo abbiamo fatto per far sentire la nostra vicinanza ai bambini e ragazzi e alle loro famiglie. È stato faticoso cambiare modalità di intervento, investire sull’IT e raggiungere i nostri pazienti con le nuove tecnologie, ma siamo riusciti anche grazie ai nostri medici e ai nostri terapisti che si sono adeguati con rapidità a queste nuove esigenze e nuove modalità con grande attenzione e professionalità».
Ora state lentamente tornando alla normalità?
«Tutte le attività sono riprese, anche se in forma ridotta per rispettare il distanziamento sociale, evitare gli assembramenti e ovviamente facendo ricorso all’uso dei DPI per tutelare i nostri ospiti e il nostro personale».
Da molti anni La Nostra Famiglia collabora con la Fondazione Cariplo. Quali sono i progetti principali che avete realizzato insieme?
«Sin da quando è nata, la Fondazione Cariplo ha subito affiancato La Nostra Famiglia nel suo sviluppo e nella sua crescita. Il momento erogativo, seppure importante, non è l’elemento centrale di questa collaborazione che si estende a una visione comune sui temi del sostegno sociale, degli interventi negli ambiti della fragilità e dell’inclusione. Nelle attività istituzionali la Cariplo ci ha accompagnato, insieme ad altri partner, in tutti i grandi investimenti che abbiamo fatto in Lombardia come la realizzazione dei laboratori di ricerca scientifica, l’installazione della risonanza magnetica, la costruzione del settimo padiglione a Bosisio Parini e nelle nuove sedi di Lecco, Como e Carate Brianza».
In questo percorso virtuoso si è inserito anche l’IRCCS “Eugenio Medea”
«Sì. Abbiamo partecipato a innumerevoli bandi aventi ad oggetto la ricerca. A partire dal 2004 – grazie ad Univerlecco che ha saputo riunire le competenze presenti sul territorio in particolare il Politecnico, i Laboratori del CNR, il MEDEA, Villa Beretta di Costamasnaga e l’IRCCS INRCA di Casatenovo – abbiamo partecipato ad diversi progetti emblematici provinciali con i progetti Hint@Lecco; Spider@Lecco, Empatia@LECCO. Ciò ha consentito all’Associazione anche l’acquisizione di specifiche attrezzature per la riabilitazione che in parte costituiscono il laboratorio Astrolab recentemente inaugurato nel settembre 2019 alla presenza dell’astronauta Paolo Nespoli, una struttura di cui siamo particolarmente orgogliosi essendo il primo laboratorio italiano hi-tech per bambini e ragazzi. In questi ultimi mesi poi la Fondazione Comunitaria del Lecchese così come quelle dei territori di Milano, Monza Brianza e Varese, durante l’emergenza sanitaria, ci hanno sostenuto nell’acquisto di DPI».
Una collaborazione intensa, positiva…
«Si. Con gli organi della Fondazione Cariplo c’è uno scambio e un confronto molto forte. Sono un’istituzione che ha una visione prospettica sul ambito civile e sul territorio e soprattutto molto attenta in particolare ai bambini spesso dimenticati dalla società attuale, come evidente anche nelle diverse fase dell’emergenza che stiamo vivendo».
Cosa rappresentano la Fondazione Cariplo e la Fondazione Comunitaria del Lecchese per la vostra realtà?
«Sono un partner strategico, istituzioni che non si limitano alle erogazioni, ma svolgono un ruolo di politica sociale rilevante, oltre che fautori di un messaggio di sviluppo sostenibile e inclusivo, che non scarta nessuno».
Fondazione Cariplo è una delle poche istituzioni che in questi mesi sta pensando anche a dare un sostegno al terzo settore, alle persone in difficoltà e più deboli. C’è il timore che dopo l’emergenza sanitaria e quella economica che sta crescendo giorno dopo giorno a farne le spese siano proprio le fasce più deboli?
«Sono istituzioni indispensabili perché promuovo una società inclusiva e attenta alle persone più fragili. Lo ha dimostrato proprio recentemente con il progetto Let’s Go, una misura straordinaria per gli enti del terzo settore. Si parla molto di queste realtà, della riforma e del ruolo di questo ambito nella società civile italiana, ma nella quotidianità trova poche attenzioni da parte della politica. Il terzo settore non è fatto solo di imprese sociali ma anche di tante realtà piccole e grandi che affiancano lo Stato che a volte lo anticipano e a volte lo sostituiscono in quelle attività di “confine” dove è necessaria la cura della fragilità e dare a tutti una possibilità di vita buona. E la sua valorizzazione diventa un modo per sostenere e realizzare il bene comune».