Coronavirus: la colonna di bare a Bergamo tra rabbia e dolore VIDEO
È un’immagine straziante quella che sta facendo il giro delle televisioni, dei giornali, dei siti e dei social in queste ore. È un’immagine che racconta il dramma di Bergamo.
Tra la sofferenza e il dolore, c’è un sentimento pericoloso che si sta facendo largo a Bergamo: la rabbia. Pericoloso, ma comprensibile. Perché, come riportano i colleghi di primabergamo.it siamo arrivati a questo: una colonna di mezzi dell’Esercito carichi di bare che portano i nostri morti in altre città per cremarli. È un’immagine straziante quella che sta facendo il giro delle televisioni, dei giornali, dei siti e dei social in queste ore. È un’immagine che racconta il dramma di Bergamo, un dramma vissuto in silenzio nella speranza che qualcuno, prima o poi, se ne accorgesse. Invece niente. Qui si contavano i morti, si creavano posti in terapia intensiva laddove solo l’immaginazione poteva arrivare; da altre parti si cantava e si sentivano le notizie senza ascoltarle.
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Coronavirus: la colonna di bare a Bergamo tra rabbia e dolore
La rabbia è comprensibile. Perché serviva la zona rossa ad Alzano e Nembro. E poco importa, francamente, se gli amministratori locali, al riguardo, si siano contraddetti più volti: non dovevano essere loro a decidere. Chi doveva farlo davvero, però, non lo ha fatto. La rabbia è comprensibile perché ogni sera ci danno numeri e statistiche che paiono arrivare da Marte. Li riportiamo anche noi, ovvio, sono gli unici ufficiali che esistano. Ma “ufficialità” e “realtà” sono due cose ben diverse. Gli ospedali sono pieni, la gente viene mandata indietro senza che gli venga fatto alcun tampone e, talvolta, finisce per morire nel letto di casa. Sola, proprio come sarebbe accaduto in un letto d’ospedale, ma senza neppure la dignità di veder dichiarato pubblicamente il proprio assassino. A quei numeri, dunque, la gente non crede più. Sta chiusa in casa, ha paura, piange i propri morti e si incazza.
Forse, finalmente, quell’immagine dei mezzi dell’Esercito in fila lungo Borgo Palazzo carichi dei nostri morti aprirà gli occhi a qualcuno. Ma non raccontate a Bergamo che andrà tutto bene. Non adesso, almeno. C’è un tempo per ogni cosa, anche per le parole. E Bergamo, adesso, è semplicemente triste e incazzata. La speranza è che al di fuori dei confini orobici se ne rendano conto e rimedino, per quanto possibile, alle inefficienze e alle mancanze di queste settimane. Altrimenti, quando tutto questo sarà finito, non ci saranno solo morti da ricordare e lacrime da asciugare, ma si dovranno fare i conti con una terra che si è sentita abbandonata nel suo momento di maggior bisogno.