ieri sera a lecco

"La crepa e la luce": la vedova Calabresi racconta il suo percorso di perdono

Un'emozionante storia di coraggio, fede e speranza

"La crepa e la luce": la vedova Calabresi racconta il suo percorso di perdono
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Il cammino della vedova del commissario Calabresi, ucciso cinquant’anni fa. Una testimonianza sul senso
della giustizia e della memoria. Una storia di amore e di riconciliazione: questo è "La crepa e la luce", il romanzo scritto da Gemma Capra, vedova di Luigi Calabresi, edito da Mondadori nel 2022, in occasione del 50° anniversario dalla morte del marito, e presentato nella serata di ieri, martedì 26 settembre 2023, in sala Ticozzi a Lecco.

"La crepa e la luce": la vedova Calabresi racconta il suo percorso di perdono

Davanti ad una sala colma di persone, tra cui anche tanti giovani studenti della Maria Ausiliatrice e del Leopardi, Gemma Capra ha raccontato la sua storia.

 

 

Ad introdurre la serata Giuseppe Elia, presidente provinciale Acli Lecco Aps: "Quella di stasera è una storia di amore, giustizia e pace".

Gemma Capra si è raccontata in un dialogo emozionante e sincero con il giornalista Gerolamo Fazzini, che ha ricordato il triste inizio della vicenda di Gemma: "Era il 17 maggio 1972, durante il periodo degli anni di piombo, quando Milano era piegata dagli attentati e dalla violenza. Il commissario Luigi Calabrese stava indagando sulla strage di Piazza Fontana e fu accusato di essere il mandante dell'omicidio dell'anarchico Pinelli, accusa che in seguito si rivelò totalmente falsa. Quella mattina del 17 maggio, Calabrese fu ucciso da due colpi di pistola: Gemma aveva 25 anni, due bambini ed era incinta del terzo".

 

 

"Ho vissuto anni bui, di tristezza, rabbia e sconforto - ha raccontato Gemma, oggi 77enne - Ricordo che mi crogiolavo in fantasie di vendetta: immaginavo di mettermi una parrucca e frequentare il covo dei terroristi per vendicare mio marito. Piano piano però ho capito che l'odio e il rancore divorano tutto e ho iniziato a pensare che, in quanto cristiana, dovevo perdonare".

Ed è proprio questa la storia che Gemma racconta nel suo libro, la storia del suo percorso lento e difficile, fatto di alti e bassi, verso il perdono. La storia di una donna forte, una madre, che ha saputo andare avanti nonostante la terribile disgrazia, crescendo con amore i suoi figli e giungendo alla fine a perdonare gli assassini del marito. Una storia di fede, coraggio e speranza.

"Quella mattina ho ricevuto il dono della fede"

"Quella mattina sembrava una mattina come le altre - ha proseguito la vedova Calabresi - Io e mio marito abbiamo bevuto il caffè insieme, lui indossava una cravatta di seta rosa. Poi è andato a cambiarsela ed è tornato con una cravatta bianca e mi ha chiesto: come sto? Io gli ho detto che stava bene, ma che poteva tenere anche la cravatta che aveva indossato prima. E lui mi ha risposto: sì, ma questa è il simbolo della mia purezza. Queste parole sono diventate fondamentali per me: è come se lui avesse voluto dirmi mi hanno calunniato, ma sono innocente. Più tardi, quella mattina, hanno bussato alla mia porta: chi diceva che Gigi era ferito ad una spalla, chi affermava che lo stavano operando, chi sosteneva che lo avessero preso di striscio... finché è arrivato il parroco che, con il solo movimento delle labbra, senza emettere alcun suono, mi dice: è morto. Io mi sono abbandonata sul divano con una grande sensazione di vuoto. Ad un certo punto, però, inspiegabilmente, ho provato una sensazione di grande forza e di pace e ho detto al parroco: recitiamo un'Ave Maria per la famiglia dell'assassino che avrà un dolore più grande del mio. Vi assicuro che quelle parole non erano farina del mio sacco: io quella mattina ho ricevuto il dono della fede. Anni dopo ho scoperto che i miei vicini di casa, sentiti gli spari, si sono affacciati alla finestra e hanno visto mio marito per terra. Così hanno pregato per me: sono stati loro a mandarmi Dio quel giorno".

 

I segni, le mattonelle del sentiero verso il perdono

Gemma ha raccontato che il suo percorso di perdono è stato lungo e difficile, ma l'hanno aiutata i cosiddetti "segni": "Ve ne racconto tre, ma ce ne sarebbero di più. Tutti riceviamo dei segni dalla vita, bisogna solo saperli cogliere e interpretarli. Uno dei segni che ho incontrato sul mio cammino è questo: durante il processo, ho visto uno degli imputati dirigersi in fondo all'aula ad abbracciare il figlio, baciandolo e accarezzandolo con una tenerezza infinita. Così ho pensato che era un buon padre: lui era uno dei mandanti dell'omicidio di mio marito, ma era anche un buon padre". Gemma vuole insegnarci che, per perdonare, bisogna imparare a guardare alle persone nella loro totalità, restituendo ad esse la loro umanità in tutte le sue sfaccettature, senza ridurle a quell'unico atto malvagio.

"Un altro segno che ho incontrato sul mio cammino è stato questo: quando insegnavo religione alle scuole elementari, un mio alunno mi chiese: perchè quando muore una persona se ne parla sempre bene? Io gli risposi che è giusto così perchè bisogna ricordare il bene che quella persona ci ha lasciato e non i suoi errori. E poi aggiunsi: sicuramente Dio ci giudicherà per il bene che abbiamo fatto e non per i nostri errori. Quando sono uscita dalla classe ho continuato a riflettere su quella frase: anche gli assassini di Gigi non sono solo assassini, ma sono anche buoni padri, buoni amici... che diritto ho io di relegarli per tutta la vita all'atto peggiore che hanno commesso?".

Gemma ha infine raccontato che, durante una visita al carcere (era stata invitata perchè tre ergastolani ricevevano i sacramenti), ognuno di essi le ha raccontato, con parole diverse, la stessa sensazione che lei aveva provato quel giorno del 1972 subito dopo aver ricevuto la notizia della morte del marito: "Ognuno di loro ha raccontato che, in un momento di totale disperazione, ha sentito un'incredibile pace interiore e una grande forza, che hanno subito associato alla presenza di Dio. La stessa sensazione che avevo provato io quella mattina. In quel momento mi sono sentita come un ponte: loro camminavano da una parte per chiedere perdono, e io nel senso opposto, per donarlo. Così ho pensato che l'unica cosa da fare era fermarsi a metà strada, guardarsi negli occhi e perdonarsi".

 

 

Presenti alla serata anche Paolo Malugani, delegato dalla presidente della provincia Alessandra Hofmann, e il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni, che ha spiegato a Gemma Capra la realtà della giustizia riparativa presente in città, perchè "i casi biografici diventano casi comunitari. Si può tenere tutto dentro o condividere il dolore e il perdono, riappacificando non solo se stessi ma l'intera comunità".

 

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