La "Vita nuova" di Virginio Brivio: l’ex sindaco di Lecco si racconta a qualche mese di distanza dalla sua "uscita di scena"
Intervista a tutto campo all'ex primo cittadino del capoluogo

Proponiamo da oggi, e per ogni mercoledì, anche sul web la rubrica "Visti da vicino", una galleria di ritratti di persone e personaggi pubblici e privati. Interviste pubblicate tutti i lunedì sul Giornale di Lecco e riprese da dietro le quinte con il palcoscenico lasciato a chi è disposto a raccontarsi. Una serie di incontri in chiave lecchese (in un'ampia accezione) cadenzata dalle circostanze e dalle opportunità. Conoscere gli altri torna utile per capire meglio la società e chi ci circonda e magari anche noi stessi. Protagonista della "prima puntata" l'ex sindaco di Lecco Virginio Brivio.
Sin dalla sua prima apparizione sulla scena politica si è portato dietro la nomea di «brava persona» e di «ragazzo di estrazione oratoriana». Nulla di negativo, come è evidente, ma ora che ha abbandonato la vita pubblica, l’ex sindaco di Lecco Virginio Brivio si vuole disfare in fretta di quello che considera un fardello che non lo rappresenta. Possibilmente insieme a quei dieci chili che ha guadagnato in questi anni e che lo hanno assimilato alla pinguedine istituzionale dei suoi predecessori, Pino Pogliani, Lorenzo Bodega e Antonella Faggi.
Partiamo dai primi 100 giorni da sindaco di Mauro Gattinoni. Un giudizio a bruciapelo?
«Bisogna dargli il tempo di assestarsi per poter tenere fede alle promesse che ha fatto in campagna elettorale per ottenere i consensi che gli hanno permesso di vincere. Credo che le difficoltà derivino in parte dal fatto che si è voluto cambiare totalmente la squadra e in parte anche dal Covid, che ammorba tutto. Se posso dare un suggerimento, direi che è importante capire quando giocare per la Nazionale e quando per la squadra di club. Per uscire dalla metafora, credo sia fondamentale capire il prima possibile quando si deve “giocare” per difendere l’intero territorio e con chi ci si deve “allenare”: il ruolo del capoluogo di provincia è nodale».

Ha notato una certa tendenza all’autarchia in questa maggioranza?
«Non ho elementi diretti per poter giudicare, ma la provenienza del sindaco farebbe pensare esattamente il contrario. E’ anche vero che qualche associazione importante durante la campagna elettorale si è esposta, però una volta chiuse le urne bisogna voltare pagina e non fare prigionieri».
Da sindaco ha avuto una collaborazione sempre accesa ma proficua con Corrado Valsecchi. Cosa pensa del distacco attuale?
«Senza infingimenti penso che Corrado sia una risorsa importante, perché anche la sua esuberanza è una risorsa. Come tutte le energie, dipende da come la usi. Ma mi permetto di dire che sono tante le figure della passata Amministrazione che possono portare un contributo importante, anche solo di carattere informativo. Poi si può anche dissentire totalmente, però recuperare il più in fretta possibile informazioni di prima mano, con un programma così ambizioso come quello presentato, penso sia di fondamentale importanza. Tante cose non si trovano materialmente in un file sul pc, ma possono essere recuperate con un filo diretto».

Ha la sindrome del telefono che non squilla ora che non è più sindaco?
«L’ho vissuta e l’ho rielaborata, lo ammetto. Mi sembra strano avere dei ritmi normali: la sera è la sera, il sabato e la domenica sono giorni di festa. Mi piaceva essere aggiornato sempre e non aspettavo mai il lunedì mattina... Ho avuto un primo momento di disorientamento ma ora è tornato tutto a posto: ho dovuto allenare per questo sia il corpo che la psiche. In questo mi hanno aiutato anche i nuovi impegni che sono sopravvenuti, diversi ma comunque interessanti».
La parola gratitudine cosa le suggerisce rispetto alla sua esperienza politica?
«Beh, devo dire che da questo punto di vista gli auguri e i tantissimi messaggi che mi sono arrivati proprio in questi giorni mi hanno fatto molto piacere. Non mi sento assolutamente solo».
E’ stato nella pubblica Amministrazione per 24 anni: lo rifarebbe?
«Sono tanti anni, sicuramente. Penso che bisogna stare attenti a non consumarsi e che il ruolo non diventi troppo invasivo nella tua testa e nelle tue relazioni. Da questo punto di vista credo che sia stato un lasso di tempo troppo lungo, anche se sono contento di quello che ho fatto. Forse se tornassi indietro farei delle cesure maggiori. Però per esempio l’elezione a sindaco è arrivata in un momento in cui certamente non me l’aspettavo, perché è stato a pochi mesi dalla sconfitta in Provincia».

Ci racconta il momento di maggiore amarezza da primo cittadino e il nastro che ha tagliato più volentieri?
«L’inchiesta Metastasi è stata una pagina molto amara, non solo perché mi ha toccato in prima persona, ma perché ha messo in luce un sistema presente in qualche modo in città, ed è una cosa molto grave. Meno male che è stato arginato tutto sommato senza danni e anzi ha portato a una maggiore attenzione. Poi non posso certo dimenticare la gestione dell’attuale momento: la pandemia mondiale è stata un evento “fuori categoria”. L’accordo di programma sulle sedi istituzionali è invece un modello da riprendere ancora oggi e lo considero un fiore all’occhiello dei miei mandati».
Adesso che può commentare da esterno, cosa vuole dire a chi ha sempre sostenuto che ha avuto molte difficoltà a decidere?
«Di andare a vedere le delibere, perché un amministratore decide con le delibere, non con i proclami o con i tweet. Questo lo dico con molto chiarezza a maggioranza e opposizione. Aspetto tutti al varco...».
Ha qualche rimpianto per non aver accettato ruoli regionali o nazionali?
«Le opportunità ci sono state, ma quasi a inizio secolo... E’ una delle poche cose che mi rimprovera mia moglie. Invece la vicenda con Renzi è diversa: mi sarebbe piaciuto stare al suo fianco in quei momenti, ma avrei dovuto abbandonare nemmeno a metà un progetto e mi sembrava eticamente non corretto. Con lui ho avuto sempre un rapporto molto corretto».
Attualmente sta lavorando al Comune di Valmadrera e alla Sacra Famiglia...
«Sì. A Valmadrera sono nel settore Cultura e seguo il processo di avvio della struttura legata a Oltre Noi per i disabili, oltre al miglioramento della gestione della casa di riposo. Alla Sacra Famiglia invece stiamo lavorando a un progetto di ammodernamento generale della struttura: affianco la direzione generale per il reperimento dei finanziamenti e nel rapporto con gli enti locali».
Sta già pensando a un rientro in politica?
«Assolutamente no».
Come è andato invece il rientro in famiglia? Tutti quelli che fanno politica dicono di aver sacrificato gli affetti, è vero?
«Non solo. Posso dire anche di averli messi a rischio. Ho lasciato i miei figli che li accompagnavo a scuola in terza media e adesso li accompagno a fare il mutuo perché vanno a vivere da soli. Adesso che sono a casa molto di più non posso comunque ridare a loro il tempo che ho tolto: non posso essere ipocrita e pensare di poter schiacciare un interruttore e rimettere le cose a posto. Ho anche un concetto molto forte ma poco coltivato della famiglia d’origine. Purtroppo non c’è più la mamma e adesso ho ancora più difficoltà a ritrovare fratelli e sorelle, perché non abbiamo più una casa di ritrovo comune».
Si è riappropriato dei suoi hobby?
«Farei attività sportiva ma non si può uscire (ride, ndr). Ho ricominciato a leggere: adesso è il turno di “Il gusto proibito dello zenzero”, che mi ha consigliato mia figlia, e ho ripreso De Gasperi».
E il lavoro nei campi?
«Solo qualcosa di rudimentale. Quelli fini li fanno mia moglie e mio figlio. A me toccano solo i lavori di fatica».
Quasi 25 anni di vita pubblica per Virginio Brivio, che è stato assessore provinciale, presidente dell’Amministrazione provinciale e poi sindaco di Lecco per due mandati