Eccellenze lecchesi

MSA, l’officina è diventata una multinazionale

Nata nel 1949 e specializzata nella produzione di componenti metallici è un caso di successo

MSA, l’officina è diventata una multinazionale
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Multinazionale specializzata nella produzione di componenti metallici di precisione, con clienti internazionali del calibro di Ferrari, FIAT, BMW, Legrand, ABB, Schneider, Siemens, Bosch e Continental, ZF... Quella del Mollificio Sant’Ambrogio è una bellissima storia di successo, tutta italiana. Nel 1949, il lecchese Aurelio Sangalli, poco più che ventenne, decise di avviare una propria attività, conquistando sin dagli esordi la fiducia della Carello di Torino, ed entrando così nel settore dell’automotive.
Una storia di scelte imprenditoriali coraggiose, che dura da oltre settant’anni e che ha già superato di slancio il passaggio generazionale con l’ingresso alla dirigenza del figlio del fondatore: Mario Sangalli, Presidente e CEO del Gruppo MSA.

Come è nata questa bella storia di successo?


«È nata da un portachiavi. Mio padre Aurelio lavorava come incisore a Milano e un giorno, guardando un classico portachiavi ad anelli, realizzò che se fosse riuscito a produrlo in grandi quantità, avrebbe potuto guadagnare molto di più. Era il 1949, si fece coraggio e comprò il primo macchinario – oggi in mostra nella hall del nostro headquarter di Cisano- convincendo il futuro cognato, Luigi Meda,  un bravissimo tecnico, ed il padre Mario a seguirlo in quest’avventura.

Gli esordi del Mollificio Sangalli

 

E così nacque il Mollificio Sangalli e Meda in via Cellini a Castello di Lecco.
Mio padre, che non mancava di spirito d’iniziativa, scrisse al direttore acquisti della Carello di Torino proponendosi come fornitore, e l’acquisitore piemontese decise di venire a Lecco, a bordo della sua Lancia Aurelia, per visitare lo stabilimento, scoprendo così che l’officina era sistemata in casa. Convinto dalla trasparenza e intraprendenza di papà, firmò il primo ordine. Fu così che iniziarono a produrre le prime molle per la Carello…».

Mario Sangalli

Da lì è stato un crescendo…


«Sì, erano anni pionieristici, dove c’era tutto da inventare e da costruire. Papà mi raccontava che consegnava le molle a Torino con la sua moto, legando le scatole con i pezzi, sul serbatoio. Pochi mesi dopo si trasferirono in un garage di via Marsala, l’attività continuava a crescere e alla fine degli Anni Cinquanta acquistò un terreno in viale Valsugana per costruire il primo vero capannone. Contemporaneamente entrò in contatto con la Bihler, un’azienda tedesca specializzata nella costruzione di macchinari, un partner vincente ancora oggi per noi, con il quale abbiamo sviluppato tutte le macchine di produzione tanto da essere diventati il loro primo cliente al mondo. Alla fine degli Anni Sessanta comprò il Mollificio di Abbadia. Erano gli anni del boom economico, l’azienda cresceva, aveva bisogno di altri spazi e così riuscì ad individuare un’area di espansione a Cisano, dove edificò un capannone».

Nuovi Uffici del Dipartimento Tecnico a Cisano Bergamasco

Cisano sarà una tappa strategica. Dopo il primo stabilimento, arriva la decisione di costruire la nuova sede e concentrare proprio in terra bergamasca anche gli stabilimenti di Lecco e Abbadia.

«L’area era ed è molto grande. Nel 1990 completammo il trasferimento delle unità di Lecco e Abbadia nel nuovo complesso industriale, con una superficie coperta di 34.000 mq - oggi diventati 45.000 mq – e contemporaneamente iniziammo l’espansione all’estero».

La sede di Cisano Bergamasco, headquarter del Gruppo

Suo padre, infatti, sosteneva che un’economia valida è quella che si apre al mondo…

«Esattamente. Ed è stato proprio lui a dare il via a questa politica aziendale, acquisendo nel 1991 la Springfix, azienda ubicata vicino a Stoccarda e ben introdotta nel mercato dell’automotive tedesco. Nel 1999 seguì l’apertura della filiale brasiliana e nel 2006 di quella ungherese. Un’espansione che ha riguardato anche l’Italia: la Clamar, oggi ribattezzata M.S.Ambrogio Chignolo d’Isola, è entrata a far parte delle nostre aziende nel 2001, e partecipiamo al capitale sociale della Aldeghi (2002), azienda di Cisano, e del Mollificio Fede (2005) di Taceno. Abbiamo infine rilevato nel 2021 la Rapitech di Lecco e l’ultima, in ordine di arrivo, è M.S.Ambrogio North America, azienda acquisita lo scorso ottobre ad Auburn. Oggi il nostro gruppo conta 9 stabilimenti, di cui 4 all’estero, che impiegano 1.500 dipendenti, 800 solo in Italia, con un fatturato consolidato a fine 2021 di quasi 290 milioni di euro e una previsione per il 2022 di 350 milioni di euro, per il 90% proveniente dall’export».

Acquisizione della società ad Auburn, M.S

Il passaggio generazionale è avvenuto nel migliore dei modi. Come è entrato nel Mollificio Sant’Ambrogio?

«In azienda sono entrato a venticinque anni. Quando nel 1990 ho annunciato a mio padre che non avrei proseguito gli studi universitari, mi ha “spedito” prima a fare il servizio militare e poi a lavorare sei mesi negli USA, in Pennsylvania e nel New Jersey, da due fornitori. È stata dura: non parlavo una parola di inglese e ho vissuto per sei mesi praticamente da solo. Una scuola di vita».

Poi il passaggio alla gestione manageriale dell’azienda…


«Nel 2002 purtroppo mio padre ha dovuto assentarsi per sei mesi dal Mollificio per problemi di salute. All’epoca era un’azienda padronale, tutto girava attorno a lui: per me è stato un banco di prova determinante. Al suo rientro chiesi di gestire le unità estere, a partire dalla Springfix.

 

Acquisizione della Springfix in Germania nel 1991

Ho successivamente avviato le sedi in Brasile e in Ungheria. La crisi del 2008 ha costretto l’azienda all’inizio del 2009 a dover ricorrere alla cassa integrazione. In quell’occasione presi in mano la situazione e organizzai ogni lunedì delle riunioni con un gruppo di collaboratori per far fronte all’emergenza.  Quando a giugno ci fu una ripresa del mercato, la nostra azienda si trovò più managerializzata e organizzata, e prese il volo. L’esperienza di quei sei mesi difficili ed intensi mi suggerì di proseguire nell’intensificazione del processo manageriale».

Cioè?

«Tecnicamente e tecnologicamente siamo sempre stati molto forti, innovativi e con un prodotto di qualità, ma per crescere ulteriormente era necessario risolvere qualche pecca nella gestione. E così ho rivoluzionato l’azienda rafforzando la squadra, inserendo manager gestionali, esperti di organizzazione della produzione, di processi, di logistica, di informatica e di risorse umane. Sono stati tre anni intensi, ma nel 2016 l’azienda ha iniziato a crescere a ritmi vertiginosi. Prima MSA era costituita da tante società indipendenti oggi siamo un vero Gruppo».

Un Gruppo che ha superato indenne anche la pandemia…


«Nel 2020 abbiamo registrato un modesto rallentamento, ma siamo ripartiti subito anche perché non abbiamo mai smesso di investire: ben 50 milioni in autofinanziamento negli ultimi tre anni. Il 2021 è stato per noi l’anno record».

Che impronta ha dato suo padre all’azienda?


«Ci ha trasmesso tutti quei valori che fanno la differenza tra un’impresa familiare e una manageriale. Cioè passione, tanta passione, rispetto per le persone, senso di appartenenza, fedeltà, correttezza. La ricchezza più importante della nostra azienda sono le persone. All’acquisizione dell’azienda negli USA, lo scorso ottobre, ho voluto conoscere uno ad uno gli oltre 200 dipendenti. Qualità e innovazione, per noi, sono pre-requisiti. Papà mi diceva sempre: se hai i soldi puoi comprare tutto, anche la Bihler - per noi realtà di riferimento - ma non le persone…».

Con lei c’è la sorella Francesca. Che ruolo ha?


«Segue il commerciale, soprattutto la Germania. Francesca è in azienda dal 1994, è una persona fantastica, bravissima a mediare, con lei ho un eccellente rapporto, come con il resto di tutta la mia famiglia… siamo molto legati».
In azienda è entrata la terza generazione, i nipoti Giulia e Matteo Ferretti.
«Sì, in azienda con me ci sono i miei nipoti Giulia, che lavora nell’ufficio acquisti e Matteo nell’ufficio programmazione.  Come mi ha insegnato mio padre, nessun favoritismo per loro. Ho un figlio, ad esempio, che studia ingegneria gestionale al Politecnico e che ogni tanto ha fatto qualche stage estivo in azienda. Semmai un giorno volesse lavorare per MSA, lo “spedirò” all’estero prima. Dovrà dimostrare di più degli altri per meritarsi un posto in questa azienda».

Prima diceva che la ricchezza più importante dell’azienda sono le persone


«Cerchiamo di avere un rapporto aperto, etico, umano; abbiamo una politica di welfare attenta, assegniamo borse di studio ai figli meritevoli dei nostri collaboratori e diamo premi extra rispetto ai premi di produzione previsti dagli accordi sindacali. Lo abbiamo fatto nel 2020 per lo sforzo prodotto durante la pandemia e lo abbiamo ripetuto l’anno scorso. Sono attenzioni che aiutano a creare uno spirito di squadra più forte e a una migliore condivisione dei valori aziendali. Siamo attenti alla formazione e vantiamo una Academy interna dove ospitiamo circa 20 allievi ogni anno, che formiamo e assumiamo. I rapporti sono poco formali, ascolto molto le persone che lavorano con me, ci sono anche momenti in cui scherziamo ma quando si tratta di mettere giù la testa non ci ferma nessuno. L’azienda ha la priorità. Dopo la famiglia, ovviamente…».

Un’azienda a gestione familiare come la sua, in forte crescita e molto internazionalizzata, farà gola a qualche concorrente o a qualche fondo. Ha mai ricevuto offerte?

«Sì, qualche offerta è arrivata, ma perché vendere? MSA cresce e abbiamo tanti progetti. Vendere sarebbe come tradire i miei ragazzi. Più che vendere stiamo pensando a nuove acquisizioni, come abbiamo fatto nei mesi scorsi negli USA. E poi mi piacerebbe crescere ancora un po’ in Italia...».

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