L'intervista

Luca Zorzi, il "Re dei tubi"

Il top manager lecchese è CEO di TMK Italia e amministratore di TMK Europe

Luca Zorzi, il "Re dei tubi"
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 E' CEO di TMK Italia e fa parte del top management del gruppo russo TMK, un colosso privato quotato alla Borsa di Mosca specializzato nella produzione di tubi d'acciaio senza saldatura che nel 2019 ha realizzato ricavi per 4,8 miliardi di dollari, un Ebitda di 680 milioni e dispone di 6 stabilimenti produttivi dove lavorano circa 60.000 dipendenti. Una multinazionale che vende in più di 80 Paesi e che poche settimane fa, il 9 marzo, ha annunciato l'acquisto di Chel Pipe, il principale concorrente russo diventando così il primo gruppo al mondo come capacità produttiva di tubi. Il colosso russo controlla la TMK Artrom, azienda romena specializzata nella produzione di tubi senza saldatura, TMK Resita, acciaieria rumena che per il 98% usa materiale riciclato, TMK Europe di Düsseldorf e TMK Italia, società commerciale.

Luca Zorzi, il "Re dei tubi"

Luca Zorzi, 52 anni, di Lecco, oltre ad essere CEO di TMK Italia e amministratore di TMK Europe, è pure responsabile delle vendite europee del gruppo russo. Una divisione strategica per la casa madre che occupa circa 2.000 dipendenti e che nel 2019 ha fatturato 240 milioni e conseguito un Ebitda di 19,7 milioni con una produzione di 188 mila tonnellate di tubi senza saldatura. Insomma un vero e proprio "re dei tubi". «Sono in questo settore da sempre e sono alla terza generazione - esordisce il top manager lecchese - Mio nonno Arturo era dirigente della Falck, mio papà Elio ha cominciato la sua carriera alla Celestri di Lecco e io ne ho seguito le orme. Ho iniziato come agente, poi sono diventato rappresentante esclusivo della Artrom, un'azienda statale rumena poi acquisita da TMK. Ho iniziato a collaborare con il gruppo russo nel 2002 e pian piano sono riuscito a conquistare la loro fiducia sino a diventare nel 2007 CEO della divisione commerciale italiana e poi amministratore di TMK Europe».

Come è riuscito a conquistare i russi diventando un top manager del colosso TMK?

«I russi amano l'Italia, guardano con grande attenzione il nostro stile di vita, sono innamorati del nostro cibo e dell'enogastronomia in generale, trascorrono volentieri le vacanze nel Belpaese... Tutto questo aiuta, ma non basta».

Servono competenze e professionalità...

«Sono abituato a far parlare i numeri. Quando ci sono i risultati è più facile conquistare la loro fiducia e una volta conquistata la loro fiducia è come entrare a far parte di una famiglia. Sì, io mi considero parte della famiglia TMK. Ci siamo conosciuti, compresi, accettati anche grazie a un rapporto schietto e siamo cresciuti reciprocamente».

Ci sono differenze tra le imprese russe e quelle italiane?

«Le regole delle grandi company sono abbastanza simili. TMK ha grande attenzione per le comunità nelle quali opera, la responsabilità sociale per loro non è uno slogan; l'azienda è molto legata ai propri collaboratori e una delle iniziative più belle che hanno creato è la Corporate University: organizzano corsi online dove tanti manager portano il loro contributo e iniziative per tenere legate le famiglie di tutti i collaboratori. Nelle fabbriche sono presenti scuole dove il gruppo forma i collaboratori di domani, spesso attingendo dai figli dei dipendenti: chi lo vuole può prendere il posto del proprio genitore».

Qual è il mercato principale della divisione europea di TMK?

«E' l'Italia e questo ci fa onore: il 53% della nostra produzione è rivolta ai settori della meccanica e delle costruzioni, il 36% all'energia e all'oil & gas mentre la restante parte per l'automotive e le macchine movimento terra».

Come è stato lavorare nel 2020 nel bel mezzo della pandemia?

«E' stato un anno difficile, non è stato semplice adeguarci alle norme di sicurezza sanitaria, ma ci siamo riusciti e non abbiamo fatto un'ora di Cassa integrazione: l'abbiamo richiesta ma non ne abbiamo usufruito. Poi abbiamo dovuto fare i conti con il lockdown e con il mercato: quello tedesco si è fermato perché avevano i magazzini pieni, mentre abbiamo continuato a lavorare per quello italiano dove le imprese solitamente lavorano di più in just in time. Nella seconda parte dell'anno invece c'è stata una buona ripresa».

Quali sono le prospettive per il 2021?

«Non ho la sfera di cristallo: è tutto molto volatile, sta cambiando tutto molto in fretta, è davvero difficile fare previsioni. Come TMK siamo abbastanza fiduciosi e tranquilli, le consegne dei nostri tubi senza saldatura avvengono mediamente in 90 giorni».

In questi ultimi mesi il prezzo delle materie prime ha avuto una crescita impetuosa, compreso l'acciaio. Perchè?

«Il rottame oggi veleggia attorno ai 450 dollari alla tonnellata, mentre nel 2020 stava attorno ai 250 dollari. Questo è avvenuto anche perché la Cina ha tagliato la produzione per rispettare i livelli di inquinamento ma ha fatto incetta di materia prima - soprattutto dalla Turchia - anche per l'aumento della domanda interna, costringendo così la Russia a mettere dazi sull'export della propria materia prima. Il prezzo è cresciuto di conseguenza, ma non è speculazione o almeno non è solo quella. Negli ultimi due anni il costo di produzione non permetteva alle fabbriche di andare avanti, non riuscivano a coprire i costi di produzione. Dal dicembre 2020 il prezzo del rottame ha iniziato a salire e lo stesso è avvenuto per il prodotto finale, per coils, per tubi, ecc. permettendo nel contempo alle fabbriche ottimizzare i costi di produzione».

Nel nostro Paese si fa un gran discutere dell'Ilva di Taranto, il maggior complesso industriale per la lavorazione dell'acciaio in Europa, con una storia travagliata alle spalle anche per problemi di inquinamento. Lei che è un addetto ai lavori cosa ne pensa?

«La salute del cittadino deve essere una priorità assoluta, ma l'Ilva è una realtà eccellente, storica, strategica e talmente importante che merita di essere salvata. E' la prima acciaieria d'Europa non possiamo perderla. Però questo caso è stato gestito male. La riduzione dell'inquinamento ambientale può e deve essere ridotto. Chiudere l'Ilva significa andare ad approvvigionarsi in altri Paesi rendendo ricchi questi Paesi a scapito dell'Italia».

Si può produrre acciaio senza inquinare?

«Senza inquinare è impossibile, ma i parametri che impone l'Europa possono essere rispettati senza alcun problema. Lo abbiamo fatto noi in Romania con l'acciaieria TMK-Resita e il tubificio TMK-ARTROM investendo molti soldi ad esempio per riciclare l'acqua per poi riutilizzarla nei cicli produttivi, per garantire sviluppo e salute dei lavoratori e della comunità nella quale operiamo. Il gruppo è molto attento alla sicurezza sui luoghi di lavoro, alle tematiche ambientali e alla qualità dei propri prodotti».

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