L'intervista

I timori del presidente di Api: "Tanta incertezza sul futuro"

Enrico Vavassori sul difficile momento che stanno vivendo le piccole medie imprese, anche nel Lecchese

I timori del presidente di Api: "Tanta incertezza sul futuro"
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 «Servono risorse a lungo termine, altrimenti non usciremo da questa situazione».  Enrico Vavassori, 55 anni, di Brivio, titolare della Trafileria Vavassori, si è appena insediato come presidente di Api Lecco Sondrio ma ha già le idee molto chiare su come aiutare le piccole medie imprese a uscire dal difficile momento che stanno attraversando. La crisi provocata dal Covid, la mancanza di materie prime e i costi sempre più alti di materiali ed energia sono al centro della sua attenzione.

Quali sono gli effetti di queste tensioni degli ultimi mesi, sulle pmi lecchesi?

«Hanno creato incertezza, confusione, difficoltà di fare previsioni e quindi di creare budget e obiettivi. Ma l’aumento dei listini di vendita degli articoli delle nostre imprese e del costo dell’energia andrà poi a ricadere sul consumatore finale, sulle famiglie».

A proposito di energia, molte aziende potrebbero fermare la produzione perché lavorano in perdita. È un rischio che potrebbe succedere anche a Lecco? 

«Non abbiano notizia che le imprese associate ad Api stiano prendendo questa decisione, ma il rischio c’è. Soprattutto se non si riesce a trasferire, almeno in parte, i costi di produzione sui listini finali. Gli imprenditori hanno grosse difficoltà a fare scelte e a vedere il futuro, per l’incertezza su materie prime ed energia. Servono scelte importanti da parte dello Stato».

Il Cdm ha appena approvato un provvedimento da 5,5 miliardi, è sufficiente?

«Dipende da come li distribuisce, se solo alle grandi industrie... perché anche le pmi soffrono. Penso che sia solo un palliativo, servono risorse a lungo termine che riguardino un progetto di più ampio respiro e che coinvolga ad esempio le rinnovabili o l’estrazione del gas. Bisogna rivedere tutte queste strategie». 

Per mettere a regime tutto questo, però, servono tempo e costi.

«Servono tempo, stabilità, ma anche il Governo successivo non distrugga ciò che ha fatto quello precedente. Se non imparano a ragionare a lungo termine, non usciremo da questa situazione. Essendo completamente dipendenti da altre nazioni soprattutto per il gas, siamo in balia delle loro decisioni».

A livello economico, quale potrebbe essere il contributo annuo del Governo vista la situazione attuale?

«Rispetto ai 5,5 miliardi ne servono almeno il doppio, considerati gli aumenti. Speriamo che nel giro di sei mesi o un anno i prezzi tornino a livelli più accettabili. Altrimenti tutto il sistema produttivo italiano andrà in crisi, senza dimenticare che bisogna garantire il potere di acquisto dei salari». 

I costi più alti stanno pure facendo aumentare l’inflazione: quanto pesa sulle imprese, è destinata a crescere ulteriormente?

«Penso di sì. Le imprese sono i primi soggetti che vedono questi aumenti e per ovvi motivi cercano di ridistribuirli nel tempo ai propri clienti. Ora che l’aumento arriva alle famiglie passa del tempo, il problema è che ci sono aumenti di mercato che rendono insostenibili i tenori di vita. Per questo il Governo deve trovare un modo per garantire i consumi. In questa fase c’è una sofferenza forte data anche dall’imprevedibilità della situazione, ma come accaduto già in passato l’imprenditore adegua la produzione; quello che si rischia è però la perdita della reputazione, che è un valore aggiunto delle imprese italiane. E’ il tempo a fare la differenza, così come la stabilizzazione».

Riguardo la riforma fiscale, Irap e Ires in particolare, cosa ci dice?

«Questa riforma dell’IRAP Proposta non ha una grande incidenza sulle imprese industriali, in questo momento non cambia molto la situazione. La riforma è abbastanza neutra dal punto di vista degli effetti. Servirebbero interventi stabili e più moderni, per dare la possibilità di programmare e fare investimenti: l’imprenditore italiano purtroppo ancora non ha questa sicurezza»

E per quanto riguarda il cuneo fiscale?

«Sappiamo che è uno dei più alti, bisognerebbe ridurlo un po’ per poter incentiva le assunzioni. Soprattutto rendere competitivo l’inserimento dei giovani e stabilizzarli. Si potrebbe abbassarlo per alcune figure, i giovani sono una categoria su cui ragionare per questa scelta. Poi ci vuole più confronto e comunicazione tra la cattedra e l’officina, molto spesso la formazione è solo teorica e poco pratica. I ragazzi devono capire che si possono avviare delle belle carriere anche in officina, con soddisfazioni economiche». 

Quali sono le figure principali che servono oggi alle imprese, secondo lei?

«Abbiamo bisogno innanzitutto di persone responsabili. Bisognerebbe tornare come una volta, oggi le figure medio-basse sono in balia delle emozioni di tutti i giorni ed è difficile creare un ambiente per crescere tutti insieme. Serve gente che cresca e rimanga in azienda».

 

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