A che età dare il cellulare ai ragazzi? I preadolescenti e i pericoli della Rete
A che età concedere il cellulare? E se chiedono di utilizzare i social network già alle medie? Come si fa a fidarsi del Web?
A che età concedere il cellulare ai preadolescenti? E se chiedono di utilizzare i social network già alle medie (e a volte addirittura alle elementari)? Come si fa a fidarsi di tutto ciò in cui possono imbattersi i ragazzi sul Web?
Sono solo alcune delle domande che i genitori d'oggi si pongono un giorno sì e l'altro anche, a tutte le latitudini dello Stivale. Punti interrogativi ai quali il Comitato genitori di Villa d'Adda ha cercato di dare una risposta grazie all'aiuto di un attento conoscitore della Rete.
A parlare di fronte a una platea di mamme e papà, nella sala civica della biblioteca cittadina, è stato, infatti, invitato Andrea Quadri (nella foto di copertina), dirigente dell'Istituto comprensivo "Enrico Fermi" di Carvico, Sotto il Monte e Villa d'Adda, ma anche fisico, ricercatore ed esperto sul fronte delle nuove tecnologie (in una prospettiva per altro attenta al mondo della scuola).
Insomma, il preside è salito in cattedra per una sera per regalare ai genitori dei ragazzi della scuola secondaria di primo grado una serie di suggerimenti per un uso il più consapevole dei nuovi strumenti tecnologici, con un focus in particolare sul rapporto che adolescenti e preadolescenti hanno con il telefonino, o cellulare, o smartphone che dir si voglia.
A che età il cellulare ai preadolescenti?
E la prima delle tante fatidiche domande della serata, non poteva essere che quella... ovvero: quando dare il cellulare ai ragazzi? Ebbene, Quadri ha subito sgomberato il campo da dubbi, senza girarci troppo intorno: si tratta di una decisione che spetta solo e soltanto ai genitori.
Tenendo conto delle statistiche, gli approcci, infatti, sono molto diversi: un 30% decide di concederlo già alle elementari (spesso come regalo della Comunione), un 30% all’inizio delle Superiori, il restante 40% in un lasso di tempo variabile fra i 10 e i 13 anni.
Quindi, una scelta che solo le famiglie possono ponderare, tenendo in ogni caso conto che anche chi non ha un cellulare ha in genere attorno a sè un gruppo di amici che lo strumento lo utilizza, utilizza App e social network, e può metterlo a disposizione in molti modi: il che significa che non avere un cellulare non è di per sè una garanzia rispetto a tutti i potenziali rischi ad esso connessi.
Così vicini, così lontani: generazioni a confronto
Rispetto ai millennials, e soprattutto ai nati dopo il 2000 (la cosiddetta generazione Z), la generazione dei genitori di oggi spesso fatica a rendersi conto di quanto l’approccio culturale sia cambiato rispetto a un’epoca in cui erano necessari i manuali di istruzione per imparare a usare uno strumento tecnologico o in cui era difficile anche solo riuscire a produrre una copia del brano musicale preferito del momento. Un’epoca in cui ciò che si condivideva fra amici aveva una diffusione limitata, quella del paese o al massimo dei dintorni… e in cui se anche combinavi qualcosa tale da finire su un giornale, la notizia “durava” al massimo una settimana.
Il cellulare è lontano anni luce da quel tipo di sensibilità. Le sue caratteristiche sono: immediatezza (sempre a disposizione), semplicità (non servono manuali), prossimità (è ormai quasi un prolungamento del nostro corpo), ma non va trascurato anche il concetto di emulazione, vale a dire che le dinamiche di gruppo innescano spesso un effetto domino, ovvero tutti tendono a utilizzare le stesse App e gli stessi social.
Alle radici della Rete, dove tutto è cominciato
Per cogliere appieno questo cambiamento epocale, è interessante andare a ritroso alle radici della Rete, comprenderne la genesi. L’antenato di Internet, Arpanet, nasce, infatti, negli anni Sessanta, in piena Guerra fredda - secondo una delle teorie - su input del Ministero della Difesa americano per bypassare il rischio di un blackout delle comunicazioni telefoniche in caso di attacco nucleare, anche se a realizzare il tutto è il mondo dell’Università: nasce così una rete di 20 atenei interconnessi fra di loro, in grado di sopravvivere anche in caso di down dei singoli nodi.
Insomma, uno strumento che, per come è stato pensato, è “immortale”, nel senso di inattaccabile, ma anche “infinito” nel tempo, nel senso che lo è la conservazione di tutto ciò che si pubblica in Rete: con 23 miliardi di dispositivi interconnessi fra loro, anche se cancelli qualcosa, da qualche parte lo ritroverai comunque sempre, anche fra decenni.
Un fatto di cui tenere conto: banalmente, per fare solo un esempio, le immagini che oggi un adolescente pubblica in un contesto giocoso, fra vent’anni potrebbero avere per lui un significato del tutto diverso.
Da Internet al WorldWideWeb
Va comunque anche precisato che Internet è una rete di dispositivi interconnessa, mentre il WWW (WorldWideWeb) è un’altra cosa: di uno dei servizi di Internet, letteralmente la “ragnatela mondiale dei siti”, creata al Cern nel 1989. E solo una percentuale limitata del WWW è per così dire “in chiaro”, ovvero raggiungibile attraverso i motori di ricerca. Come ha ricordato il dirigente, c’è anche una parte “oscura” - nota come DarkNet o Deep Web - a cui si accede in forma anonima, non tracciabile e solo sapendo esattamente dove approdare. Lì, in molte situazioni, impera l’illegalità sotto plurime forme: per fortuna si tratta di un mondo di non così facile e immediato accesso. Ma c’è, sappiatelo.
Altra nozione fondamentale è il fatto che la sicurezza sul Web è inversamente proporzionale al tempo, ma soprattutto all’interesse che qualcuno può avere nel violarla.
La crittografia, ad esempio: è vero che esistono protocolli per cifrare e proteggere i messaggi che viaggiano ad esempio in WhatsApp fra noi e un nostro amico o amica… ma vi sono svariati modi per bypassarli. Dipende da quanto è bravo un hacker, da quanto tempo ha a disposizione, da quanto è motivato a raggiungere lo scopo e dai mezzi che ha per farlo.
Ma non c’è solo il WWW. Il punto è che i ragazzi della generazione Z sfuggono spesso dal Web in senso stretto, perché più che navigare attraverso browser (Chrome o altri), sono più abituati a utilizzare direttamente le App, che sfruttano Internet, ma non il WorldWideWeb. I rischi in questo senso sono dati dal fatto che una App può potenzialmente vedere, registrare, e riferire a terzi tutto quello che facciamo con il telefonino, in maniera molto meno trasparente.
La privacy e una tecnologia che s'evolve troppo in fretta
Quadri ha poi affrontato il tema della Privacy, tutelata da una normativa comunitaria e nazionale fortunatamente molto restrittiva. Infrangerla equivale a compiere un reato penale, non si tratta di una banalità.
Ad esempio: se due amiche si scambiano una foto con Whatsapp e una delle due la pubblica su un social network senza il consenso dell’altra, sta già violando la legge! E può incappare in una pena da sei mesi a un anno e sei mesi (che si alza esponenzialmente in caso di immagini pedopornografiche e via dicendo).
E’ importante poi comprendere che l’evoluzione tecnologica sta vivendo un’impennata sempre più decisa in tempi che si fanno via via più ristretti: fino al 2014 l'intelligenza artificiale era un campo da pochi addetti ai lavori, oggi le reti neurali sono una realtà comune e tangibile… tanto che si prevede che nel 2022 i nostri smartphone saranno in grado di cogliere le nostre emozioni e i nostri stati d’animo meglio dei nostri amici e parenti (e forse di noi stessi).
L’intelligenza artificiale è un altro degli elementi destinati a cambiare drasticamente il nostro mondo. Parliamo di computer in grado di elaborare una mole enorme di dati, ma soprattutto di imparare dalle esperienze fatte e in particolare dagli errori commessi. Si va dall’auto in grado di riconoscere i segnali stradali al traduttore simultaneo per quasi tutte le lingue conosciute, dal riconoscimento facciale introdotto anche negli aeroporti al trading finanziario, dai sistemi che vi propongono sul Web tutte le offerte commerciali che state cercando in un dato periodo alla diagnostica per immagini legata alla medicina.
Quindi, più in generale - va ribadito - la tecnologia si evolve così rapidamente che qualsiasi approccio “protezionistico” in ultima analisi risulta poco funzionale, se non spesso vano.
“E’ mia convinzione - ha spiegato Quadri - che la tecnologia debba porsi sempre al servizio dell’uomo, senza limitarne l’autonomia o metterne a rischio i diritti fondamentali. Meglio affrontarla, che nascondersi. L’unica soluzione, rispetto al tema di partenza, ovvero i ragazzi e il cellulare, è fare in modo che si sentano a loro agio con voi, che possano fidarsi nel confidarvi qualsiasi cosa".
Anche perché le casistiche, a proposito di pericoli, sono innumerevoli.
Quadri ha citato l’esempio del sexting, ovvero chat nelle quali si vive a distanza, a vari livelli, un’esperienza di carattere sessuale:
“Un gioco pericoloso, nel quale il ragazzo magari convince la ragazza a mostrarsi, anche solo a scoprire una spallina… Però capita che gli amori adolescenziali finiscano e se quelle stesse immagini poi cominciano a circolare, poi son dolori (oltre che un reato, va ricordato)".
Oppure ancora le chat interne ad alcuni popolarissimi videogame, che prevedono sfide online con altri giocatori, il più delle volte sconosciuti. Spazi molto meno sicuri e controllati, rispetto alle app di messaggistica o ai social, dato che i server non salvano il più delle volte neppure le conversazioni e in cui le identità sono quasi impossibili da confermare.
“La chiave - ha concluso il dirigente - è instaurare un rapporto di fiducia tale per cui, in caso di bisogno, quando qualcosa non va, i ragazzi si sentano liberi di parlarne e di cercare insieme una soluzione. Devono avvertire che siete loro vicini”.
daniele.pirola@netweek.it