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Co.El., Angelo Cortesi: «Si può fare impresa in modo etico»

Nel 1982 ha scelto di non rifornire imprese che producono dispositivi militari e armi. L’obiettivo ad ampio raggio è generare un impatto positivo sulla società

Co.El., Angelo Cortesi: «Si può fare impresa in modo etico»
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Oggi si può fare impresa in modo etico? Secondo Angelo Cortesi, fondatore e amministratore della Co.El., la risposta è sì. Ed è quello che l’azienda di Torre de’ Busi fa da oltre quarant’anni. Un impegno sicuramente non semplice, ma in grado di dare i suoi frutti che vanno oltre il mero guadagno economico, rientrando in una visione più ampia dell’economia e della società.
Co.El. è specializzata nella produzione di componenti elastici, ovvero molle e minuterie metalliche, assemblati e altro, rivolgendosi a diversi settori: nel 2023 ha fatturato 2,4 milioni di euro e attualmente conta 20 dipendenti. Angelo Cortesi in passato è stato presidente Anccem, l’Associazione Nazionale Mollifici Italiani (fondata, fra gli altri, da suo padre Ippolito nel 1972) ed è stato premiato dalla Scuola di Economia Civile come Ambasciatore: con lui abbiamo ripercorso le tappe della sua attività, andando a comprendere la filosofia che l’ha portato a creare un’azienda etica, rispettosa delle regole di mercato e in cui prevale la trasparenza.

Angelo Cortesi

Signor Cortesi, partiamo dalle origini, da dove nasce Co.El.?

La primissima società nacque nel 1961 con mio padre Ippolito Cortesi, fondatore di un piccolo mollificio a Torre de’ Busi, mentre nel 1980 ci fu la prima vera ristrutturazione aziendale che portò alla nascita della nuova attività chiamata appunto Co.El., fondata da me, da mio fratello Fabio e mia sorella Marinella. Nel mezzo, nel 1972, ci fu il mio ingresso in questo mondo: papà si ammalò e mamma Teresa mi chiese una difficile scelta di responsabilità, facendomi capire che era necessario andare in officina a lavorare. Lasciai la scuola superiore con grande dispiacere, mi sarebbe piaciuto diventare ingegnere. In ogni caso è stata una scelta fatta con passione e impegno, che mi ha portato ad amare questo mestiere, diventando imprenditore, ovvero il lavoro più bello del mondo.

Parliamo dei primi anni: c’è stata subito una decisione importante.

Dall’azienda di mio padre ho ereditato il portafoglio ordini e fra questi c’erano anche molle che producevamo per gli armaioli. Nel 1982 ho scelto di non rifornire più imprese che producono dispositivi militari o altri articoli destinati a ferire o colpire persone. Quando ho deciso di lasciare questo mercato in forte espansione il business delle armi rappresentava il 25% del nostro fatturato aziendale annuo. Viviamo in una società che si definisce progressista e civile e come tale non possiamo tollerare la guerra. Per molti la mia scelta fu folle e qualcuno mi disse «una molla non ha mai ucciso nessuno», «certo, ma sarebbe una grande ipocrisia ignorare che è per quella molla che il fucile spara». Con passione e impegno abbiamo dunque sostituito quel 25% di fatturato aprendoci ad altri settori.

Qual è la sua visione dell’essere imprenditore?

Ho sempre avuto un’idea particolare sul come fare questo mestiere, legata a due parole latine che reputo importanti, fortemente collegate da un significato intrinseco di impegno, consapevolezza e serietà. La prima è «prehendĕre», da dove deriva imprenditore, ossia cominciare qualcosa di nuovo, avviare un’iniziativa, ma con giudizio. La seconda è «responsabilità», che deriva dal termine «res pòndus», inteso come farsi carico, portare il peso. Ecco, come imprenditore ho sempre sentito molto il peso della responsabilità, facendomi guidare da questo sentimento nel corso di ben 52 anni di lavoro. In generale sono fermamente convinto che l’imprenditore non debba pensare soltanto a far crescere la propria azienda, è necessaria anche una vocazione a far crescere il territorio in cui si opera. Guardiamo al passato: questo concetto deriva dal tempo delle corporazioni, dalle gilde medievali, quando lo spirito di mercanti e maestri di bottega ha trasformato l’economia dell’epoca in economia di mercato. Di conseguenza le città si sono arricchite e hanno prosperato. Lo stesso si è ripetuto in tempi moderni: penso a imprenditori «illuminati» come Olivetti, Crespi o Lanerossi.

Si può quindi fare impresa in modo etico?

Spesso sento dire che se si vuole fare profitto non si possono anteporre i valori. Oppure: se si mettono davanti i valori non si può fare profitto. Personalmente credo che fare impresa con dei valori sia possibile. Ritengo che la parola «crescita» sia determinante: la si può intendere in termini di quantità, ma anche in senso più antropico, pensando dunque al maturare e al diventare adulto. L’impresa «cresce» sul serio quando lo fa in termini di civiltà e responsabilità. Per esempio serve anche saper rinunciare ad un guadagno o ad un vantaggio se va contro i propri valori.

Quali sono le caratteristiche salienti di Co.El.?

Sul fronte acquisti abbiamo scelto da sempre di rifornirci possibilmente in Italia e dal 2008 puntiamo esclusivamente su materia prima di altissima qualità, riconosciuta da tutti. È il nostro modo di distinguerci, perciò abbiamo detto no a materiali a basso costo, scegliendo le produzioni del nostro territorio, dove per fortuna esistono realtà con una qualità elevata. Se è necessario comprare dall’estero ci rivolgiamo solo a fornitori leader, con stabilimenti preferibilmente in Europa. Si tratta di scelte ben precise. Veniamo ora ai clienti: vendiamo principalmente in Europa, ma in parte anche nella fascia del Nord Africa. Esistono ancora clienti che riconoscono la qualità dei prodotti: in quest’ottica abbiamo un turnover molto basso, alcuni sono con noi dalla nascita. Li selezioniamo con attenzione: devono essere aziende serie, con tutte le carte in regola anche nel rispetto dei loro dipendenti, serie e solide. A volte mi è successo di non prendere clienti per difendere i miei principi: non ci posso rinunciare, è il modo che abbiamo per cambiare il sistema.

Come vede il futuro della sua azienda?

Oggi fare l’imprenditore è molto complesso e si tratta di un momento non semplice, a livello nazionale e internazionale. Dall’autunno 2022 l’economia è andata scemando e il basso tenore di richieste è persistito per tutto il 2023. Nel 2024 è un po’ incrementato, ma ora guardando il portafoglio ordini da qui alla fine dell’anno si è leggermente sgonfiato. Insomma, ci troviamo in una specie di altalena. Guardando più strettamente a Co.El. posso dire di aver avviato circa due anni fa il passaggio generazionale, dal momento che i miei tre figli sono da tempo in azienda e si sono ritagliati i loro spazi importanti, perciò sono tranquillo da questo punto di vista. E l’azienda ha una grandissima solidità finanziaria, a cui ho lavorato molto nel corso dei decenni.

Co.El. è una Società Benefit, ci può spiegare che significa?

Le Società Benefit rappresentano un’evoluzione del concetto stesso di azienda. Mentre le società tradizionali esistono con l’unico scopo di distribuire dividendi agli azionisti, le Società Benefit sono espressione di un paradigma più evoluto: integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. Queste società integrano la responsabilità sociale d'impresa nel loro modello di business, adottando pratiche sostenibili e trasparenti. Di certo si tratta di un percorso impegnativo, che obbliga a ragionare sui valori dell’azienda, coinvolgendo ogni singola persona, dai miei figli a tutti i dipendenti. Siamo partiti con questo processo circa due anni: in sostanza eravamo già una Società Benefit, ma questo strumento legale sancisce ufficialmente la nostra natura. Ci siamo messi un vestito diverso, che può essere notato da tutti, per dare un forte segnale.

Veniamo infine al suo rapporto con il territorio.

La nostra azienda è aperta a scuole e giovani studenti che vogliono capire il lavoro in "fabbrica". Inoltre io personalmente vado ancora oggi molto nelle scuole a tenere lezioni, con l’obiettivo di far crescere il territorio. Parlo di impresa civile, di responsabilità sociale d’impresa, ma anche di tematiche tecniche legate alle molle. Solitamente gli studenti sono meravigliati dal fatto che esistano imprese che optano per determinanti comportamenti: lancio un seme, è un inizio per interessarli. E poi c’è Lecco100, il progetto riservato ai giovani talenti del territorio lecchese di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Da ben 14 anni faccio parte del Comitato Didattico di questo master gratuito di formazione comportamentale di management. La didattica è incentrata sul far crescere dei talenti già predisposti a pensare di investire per migliorare se stessi, avendo un atteggiamento positivo nei confronti della vita e volendo accrescere il proprio potenziale in termini professionali. E tutto ciò per creare un innovativo valore aggiunto.

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