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Piazza XX Settembre gremita per il dialogo fra don Milani e il regista Bellocchio

Il regista Bellocchio ha toccato i temi della fede, della libertà e del valore del dialogo.

Piazza XX Settembre gremita per il dialogo fra don Milani e il regista Bellocchio
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Un dialogo fra un uomo di fede che intervista un "non credente" sui grandi temi. In una piazza XX Settembre gremita di gente ma anche di autorità, ieri, sabato 8 luglio 2023 don Davide Milani, esperto di cinema e grande mattatore ha conversato con il regista Marco Bellocchio.

Incontro dal ritmo incalzante

Un incontro dal ritmo incalzante, mai banale né sopra le righe. Giovedì sera, sullo schermo di piazza Garibaldi è stato proiettato il film "Rapito", l’ultima fatica del regista piacentino. La pellicola narra la storia vera di Edgardo Mortara, nato a Bologna da una famiglia ebrea a metà dell’Ottocento e battezzato di nascosto da una domestica che lo riteneva in punto di morte. Quando Edgardo ebbe sei anni l’inquisitore di Bologna venne a sapere del battesimo e il piccolo venne sottratto alla famiglia ed educato a Roma nella Casa dei Catecumeni. Le domande che vengono qui sotto riportate sono quelle poste da don Davide.

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L'intervista a Bellocchio

Rapito è un film che racconta una ferita aperta nella Chiesa, nella comunità ebraica e nei loro rapporti. Una storia che alcuni registi, come Spielberg e Schnabel, hanno tentato di portare al cinema accantonando l’idea. Perché ti sei imbarcato in questa vicenda così complessa?
"Non so perché Spielberg o Schnabel non siano riusciti a realizzare un film su questa storia, di certo non avrebbero trovato problemi di produzione. Sicuramente leggendo e scoprendo gli eventi inerenti alla vita di Mortara ho trovato legami, lontanissimi dalla mia vita ma che si connettevano con qualcosa di profondo della mia stessa esperienza. Tutto quello che noi facciamo ha a che fare, anche se in modo sempre diverso, con quella che è la nostra esistenza. E sicuramente la violenza subita da questo bambino ebreo (nessuno gli ha mai torto un capello, anzi è stato trattato con un certo paternalismo generoso da parte del papa) lo ha straziato e lo ha obbligato a convertirsi. Alcuni ritengono che si sia trattato di una sorta di miracolo, io non lo penso. Ma questa imposizione mi ha ricordato una forma di educazione religiosa che io ho ricevuto quando avevo l’età di Edgardo, un’educazione che si basava sul terrore del peccato: non devi morire nel peccato mortale altrimenti andrai all’inferno per tutta l’eternità. Tu non oggi non lo diresti mai, ma è questa violenza che mi ha messo in contatto con l’esperienza di Edgardo".

Hai detto che questo film è sul potere, il potere corrotto, il potere della Chiesa che diventa cieco ma anche quello degli affetti e della famiglia. Io però vedo molto forte anche il tema della libertà...
"La libertà è un po’ alla base del mio lavoro. Se penso a quello che ho fatto le cose che mi piacciono di più sono sempre rappresentate da alcuni scatti di libertà contro il conformismo o dal non accettare una serie di imposizioni. Le figure che nella mia vita si sono proposte in modo autoritario, non autorevole, “Io sono tuo padre, tu mi devi ubbidire” per me sono sempre state intollerabili. Io non sono ateo, sono “non credente”, la mia educazione, la mia gentilezza e forse anche la mia sottile ipocrisia, nascono da una formazione cattolica (che ha anche degli aspetti molto positivi) che mi porterò dietro per tutta la vita. In questo periodo pericoloso oggi serve dialogo e in questo senso il papa è un alfiere. Apprezzo sempre molto quando lui rinuncia ad usare certe parole, come conversione e missione...".

Nel film, in una sequenza molto bella, il piccolo Edgardo dopo aver visto i genitori cerca di liberare Gesù dalla croce togliendo i chiodi. Io da cattolico ci ho visto il tentativo di liberare la fede dalla religione. Come nasce questa scena?
"E’ una sequenza che colpisce molto. Io ho cercato di rappresentare il punto di vista del bambino, dilaniato e diviso tra l’amore che riceve dai genitori e le attenzioni del papa Pio IX, il suo secondo padre che lo tratta con affetto. Quindi quel gesto è una ricerca di pace e conciliazione di cui è inconsapevole. Vorrebbe che ebrei e cattolici andassero d’accordo per poter vivere in pace la sua piccola infanzia. Quello che non mi so spiegare è che Edgardo, quando Roma viene liberata con la breccia di porta Pia, decide di non tornare a casa".

Uno dei tantissimi pregi del film di Marco è che è rigoroso dal punto di vista storico. E viene descritta la sofferenza di Mortara...
"Sì, in un impeto d’amore si getta contro il papa e lo fa cadere per terra. E’ lui stesso a raccontarlo. E’ come se conservasse dei residui di ribellione, di rabbia verso questo padre tanto amato. In questo film ho cercato complessivamente di difendere la vera storia con delle libertà che sono obbligatorie, perché non è un trattato".

Parliamo del sacro che c’è sempre nei tuoi film, è come se tu fossi costantemente provocato da questo tema.
"E’ vero, hai ragione. C’è questo stupore che suscita in me l’argomento. Se sono amico di qualcuno che stimo profondamente, di cui ammiro l’intelligenza, il coraggio e l’onestà non gli nego la mia amicizia però la sua fede non mi penetra e io guardo l’assurdità della fede con estrema attenzione. Credo anche che la bellezza possa essere una via che accomuna credenti e non credenti: è la bellezza ad aver rappresentato la Chiesa più dei teologi".

La Chiesa per un certo periodo ti ha temuto come un avversario o un provocatore, poi anno dopo anno ha cominciato a capire di più il tuo cinema. Ma forse il tema che è stato più sentito è stato quello del dubbio...
"Io non procedo per certezze. Il momento in cui alcuni cattolici hanno cambiato atteggiamento è stato dopo il mio film "L’ora di religione" (2002) nel quale c’è la bestemmia, che non esprime una parola blasfema ma una disperazione, un dolore. Qualcuno capì e ho notato un’apertura".

Che cosa rappresenta per il mondo questo papa secondo te?
"Beh sicuramente la sinistra che in questo momento è in crisi di identità non può non riconoscere a questo papa il fatto di affrontare una serie di temi importanti: la carità, la misericordia, il non odiare gli altri. Sono temi rivoluzionari. Al contrario in passato ci siamo formati sull’odio di classe necessario per battere il nemico".

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Il saluto ad Englaro, "eroe civile"

Non è la prima volta che vieni a Lecco perché qui hai ambientato il film “Bella addormentata” dedicato ad Eluana Englaro (il padre Beppino con la compagna era presente fra il pubblico ndr). Hai detto che durante la pandemia hai letto "I promessi sposi". C’è qualcosa in vista?

"Assolutamente no. Bisogna avere un certo realismo. Certo a scuola il libro è stato molto bistrattato sia dagli studenti che dagli insegnanti. Rileggendolo se ne capisce la grandezza. Romanzi come questo sintetizzano la storia".

Poi prima di concludere Bellocchio ha voluto salutare Englaro che ha definito "un uomo meraviglioso" del quale "mi onoro di essere amico". E concludendo: "E’ stato ed è un eroe civile".

Micaela Crippa

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