Cultura

Michele Mauri: «Un progetto coraggioso, non è facile toccare “I promessi sposi”»

parere di Mauri, giornalista e scrittore, autore di diversi volumi editi proprio da Bellavite che ha curato anche l’edizione del kit, «I passaporti dei promessi sposi» per Paolo Vallara

Michele Mauri: «Un progetto coraggioso, non è facile toccare “I promessi sposi”»
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«Un progetto geniale e anche coraggioso». Descrive così Michele Mauri, giornalista e scrittore, autore di diversi volumi editi proprio da Bellavite che ha curato anche l’edizione del kit, «I passaporti dei promessi sposi», l’esperimento del team di Paolo Vallara.
Perché coraggioso? «Gustave Flaubert diceva “Non bisogna toccare gli idoli. La doratura resta sulle mani”, l’idea di Paolo è un’intuizione forte, ma potrebbe esserci qualche cattedratico che non la prende bene. “I promessi sposi” sono il romanzo di formazione di un’intera nazione e sono divisivi: c’è chi li ama, chi li odia e chi li ignora. Ma credo che con “I passaporti” si possa avvicinare anche questi ultimi. Un’idea semplice, in fondo, ma geniale».

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L’obiettivo non è riscrivere il romanzo, ma trovare piuttosto una chiave anche «formale» contemporanea. Esiste e se si qual è la modernità de «I promessi sposi»?

«Esiste. Al di là dell’immortalità dei temi credo che in questo tempo possiamo cogliere almeno due, aspetti contemporanei: l’analogia tra la pandemia che viviamo e la peste, ma ancora di più il radicalizzarsi dei comportamenti in contesti di incertezza. È quel che accade a Renzo coinvolto nei tumulti per il pane, ma è quel che accade anche agli altri protagonisti della sommossa. Ora come allora alcuni vivono in una “bolla” in cui nonostante i tempi difficili continuano ad avere la loro vita, mentre i più poveri e oggi i più giovani vengono travolti ed estremizzano i loro comportamenti. Oggi assistiamo alla stessa radicalizzazione in un contesto reso incerto dalla pandemia ma non solo».

«I passaporti» pone l’accento sulla «forma» e prova una «traduzione» in linguaggi per i nativi digitali. Da scrittore crede che sia complesso per i più giovani avvicinarsi alla versione originale del romanzo?

«Non sono un insegnante, ma credo di sì. Come credo sia complesso per i ragazzi di oggi leggere altri classici. Non ho nessun intento polemico e non ho nulla contro il modo di comunicare dei giovani, ma tanto è sintetico il loro, tanto potrebbe parere ampolloso ed erudito quello degli scrittori di due secoli fa. In rete ci sono esperimenti interessanti, compreso il tentativo di tradurre “I Promessi sposi” in tweet. Del resto quarant’anni fa la mia generazione ha fatto ampio uso dei “bigini” (che fecero in effetti la fortuna della casa editrice Bignami, ndr). Ma il progetto dei passaporti ha, mi pare, un altro scopo, vuole incuriosire, esplorare, i personaggi. Credo che oggi ritrovare il gusto della curiosità della scoperta sia importante, non solo in letteratura».

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