Ancora in mostra "Pensieri" di Davide Panzeri, un percorso solitario
Classe 1994, originario di Galbiate e laureato in scienze psicologiche all’Università degli studi di Bergamo, oggi il giovane del territorio si sta affermando nel campo artistico
Nelle orecchie risuona una melodia al pianoforte, da lento accompagnamento diventa puro avvolgimento, fuori il sole inizia a calare dietro le colline brianzole, i visitatori, nel frattempo, salgono le scale di Villa Sironi, in procinto di continuare il proprio percorso di visita. «Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia» diceva il filosofo Carl G. Jung, ed è in questo paradosso quasi provocatorio che si basa l’intera opera artistica di Davide Panzeri.
Ancora in mostra "Pensieri" di Davide Panzeri, un percorso solitario
Classe 1994, originario di Galbiate e laureato in scienze psicologiche all’Università degli studi di Bergamo, oggi il giovane del territorio si sta affermando nel campo artistico e per l’occasione ha ripresentato, dopo il successo dello scorso anno, «Pensieri», la mostra semi-interattiva composta da dieci opere connesse tra loro in un percorso ben studiato e strutturato su tre interi piani della villa, ancora aperta gratuitamente al pubblico per gli ultimi due weekend, dalle 17 alle 23.
«Dacché ricordi – ha spiegato Davide Panzeri – penso per immagini in un modo che non saprei spiegare, ed una notte particolare di quasi dieci anni fa, scrivendo, nacque dal nulla l’idea che alcuni concetti, espressi in parole, potessero essere ritratti. Quell’idea divenne poi una sublime ed inoppugnabile condanna, un arduo e solitario percorso che sembrava rivelarsi con l’andare quasi fosse già tracciato, e dal quale è scaturito molto più di quanto potessi allora immaginare». Pensieri universali, espressi nei secoli (da Platone, Eraclito fino ad arrivare a Pirandello) come parte del nostro subconscio immateriale che, la psicologia dice, ci accomuna forse più dell’identità e dell’appartenenza stessa alla nostra cultura di provenienza. Pensieri soggettivi, che attraverso i concetti universali, raccontano una storia condivisa ma percepita diversamente in ognuno.
Visitando la mostra di Panzeri si entra in un mondo solitario e avvolgente, si ritrova una pace ricercata che costringe la mente dello spettatore a lasciarsi andare in un viaggio metafisico. Insomma, come dichiara l’artista stesso: «Io ho creato questo ciclo per me e per intimi motivi, e mai potrei privarmene, ma ho compreso col tempo come in realtà non appartenga a nessuno, e credo dunque debba essere di tutti per ciò che può significare per altri». O tutti o nessuno. «Pensieri», dove la collettività e l’individualismo sono messi sullo stesso piano, assomiglia così più a una visita dallo psicoterapeuta che a un percorso artistico. L’esperienza comprende difatti l’accompagnamento della musica, che, come un ciclo continuo, approfitta delle fragilità del visitatore per penetrare nel suo inconscio; i quadri – dieci opere in tecnica mista su tela – rapiscono la mente, prendono in ostaggio sadicamente le nostre percezioni costringendoci a introiettare il percorso in un’ottica esistenziale. Un po’ come a dire che non si può scappare da nulla, da niente, da nessuno, e soprattutto da sé stessi. D’altronde, basta ascoltare i commenti di chi ha già visitato (o sarebbe meglio dire, vissuto) la mostra per capire la stratificazione impattante del lavoro di Panzeri: «In pochi minuti, che in realtà il tempo e l’esperienza dilatano, hai la possibilità di stare con te stessa come poche volte nel cammino della vita si sta. Un’esperienza completa di parole, immagini e musica, trasportati in un mondo oltre». Una realtà apocrifa, atemporale e infine, universale, ma che per questo, è in grado di parlare a tutti. «Pensieri» è solo il mezzo predestinato del giovanissimo artista per raccontare un percorso: parte da un punto, inizia con la nostra nascita, e continua accompagnandoci nel caos sociale della contemporaneità. La fine? Sta a ognuno di noi decidere dove e come. Evitando di essere pedine asservite, ma bensì chiavi, che aprono portoni.
Andrea Marcianò