Lecco cala il poker ospitando l’Annunciazione del Tintoretto
L’iniziativa è sorta dalla volontà di monsignor Davide Milani di trovare un linguaggio «non giudicante e aperto a tutti» per esprimere con rinnovata forza il significato originale del Natale.
Negli ultimi cento anni ha incontrato lo sguardo del grande pubblico solo tre volte, passando di mano in mano tra i collezionisti. Rinchiusa gelosamente tra le pareti di una proprietà milanese, che la possiede da qualche decennio, ha visto per l’ultima volta le luci di una ribalta espositiva nel 2009 a Cagliari, per la volontà di un curatore illustre e influente come Vittorio Sgarbi. Lecco cala il poker ospitando proprio lei, l’«Annunciazione Grimani» del Tintoretto, in una mostra d’eccezione a Palazzo delle Paure dal prossimo 6 dicembre al 2 febbraio 2020. L’opera del celebre maestro veneziano, rimasta praticamente inedita alle sale museali, ha in realtà una storia ricca, affascinante e sorprendentemente documentata nonostante i passaggi di salotto in salotto e una datazione risalente al Cinquecento.
L'esposizione
L’iniziativa è sorta dalla volontà di monsignor Davide Milani di trovare un linguaggio «non giudicante e aperto a tutti» per esprimere con rinnovata forza il significato originale del Natale. Lontano dai festeggiamenti aridi e privi di fondamento spirituale. La progettazione e l’allestimento sarà affidata all’architetto Giorgio Melesi, mentre alcuni studenti degli istituti superiori locali si occuperanno, durante programmi di alternanza scuola-lavoro, di come i visitatori potranno fruire l’opera, la sua storia i suoi significati celati. Il prevosto e lo staff tecnico presieduto da Giovanni Valagussa possono contare sul pieno appoggio e supporto del Comune di Lecco, l’entusiasta assessore Simona Piazza in primis.
Tra i collaboratori dell’evento figura anche il Giornale di Lecco, che ai propri lettori offrirà la possibilità di una visita speciale. Un regalo che vi dettaglieremo nelle prossime settimane da queste stesse colonne.
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L’Annunciazione del Tintoretto in città
A ricostruire le vicende dell’«Annunciazione» in vista della sua esposizione è il responsabile artistico dell’evento Giovanni Valagussa, conservatore all’Accademia Carrara di Bergamo e docente di Museologia all’università Cattolica di Brescia. Valagussa ha ottenuto l’attenzione dei media, non solo del settore artistico, lo scorso anno scoprendo la reale attribuzione di un quadro, creduto una copia. L’intuizione è sbocciata mentre curava la realizzazione di un catalogo di dipinti risalenti al Trecento e Quattrocento posseduti dall’Accademia bergamasca. L’attribuzione di non originalità con cui veniva descritta «La Resurrezione di Cristo» non ha convinto Valagussa che, tramite ricerche e un’opera di restauro, ha individuato nel dipinto il tratto autentico del Mantegna. «L’uomo che ha regalato un Mantegna a Bergamo», come hanno titolato i giornali, regala questa volta un Tintoretto a Lecco, anche se per un periodo limitato e prezioso. Il committente veneziano al quale la tela era destinata rimane ancora oggi anonimo, anche se sicuramente fu un membro delle famiglie più prestigiose dell’epoca.
Giovanni Valagussa, conservatore all’Accademia Carrara di Bergamo
«Il Tintoretto era specializzato nelle grandi tele destinate agli spazi del potere che a Venezia, a causa dell’umidità, erano preferibili agli affreschi – racconta Valagussa – L’ “Annunciazione”, nonostante la sua grandezza (3 mt per 1,80) ha invece un formato da sala. Quindi sicuramente fu autonoma e di proprietà privata». Il dipinto appare in documentazioni storiche per la prima volta solo nel 1753, in una raccolta di stampe veneziane curate da Pietro Monaco che lo annota come parte della collezione del Doge Pietro Grimani: «Una delle ipotesi è che l’opera fosse patrimonio della famiglia Grimani già dalla sua realizzazione, ma non ve ne sono le prove».
L'opera è passata nelle mani del gerarca nazista Goering
Da qui nessuna nuova informazione fino ai primi dell’Ottocento quando l’«Annunciazione» fa la sua comparsa a Brescia nelle file della Collezione Lechi. Un secolo dopo è documentata al di là delle Alpi, a Vienna, per poi approdare in Germania, nelle mani del gerarca nazista Goering. «Goering come tanti compagni di partito e come Hitler stesso era un grande appassionato d’arte. La sua collezione, al termine della guerra, venne interamente inglobata dalla Pinacoteca di Monaco». Anche in questo caso, però, il capolavoro del Tintoretto non trovò spazio nelle sale espositive e fu venduto. Da collezionista a collezionista tornò in patria, dove nel 1967 comparve in un’esposizione d’antiquariato a Palazzo Strozzi a Firenze e, infine, nel 1989 venne battuto ad un’asta milanese e comprato dal proprietario attuale. Una vicenda affascinante che riporta ancora una volta in primo piano il tema del collezionismo e quale ruolo gioca nella promozione dell’arte in particolare italiana.
«Annunciazione Grimani» del Tintoretto
«Dobbiamo ricordare che l’arte del nostro paese nell’Ottocento e nel Novecento era la più ambita nel mercato d’arte europeo. Proprio il fenomeno del collezionismo è nato con le soppressioni napoleoniche delle istituzioni religiose, proprietarie della larga parte del patrimonio artistico della penisola. Sulla piazza si è riversata una quantità mai vista di opere d’arte accessibili a tutti. In quegli anni, per mano dei collezionisti sono uscite dall’Italia quasi tutte le opere che si trovano ora nei musei stranieri – commenta Valagussa - Oggi il mercato si è allargato ai compratori asiatici, russi e arabi e si è variegato. Nonostante non rappresentino l’unica opzione per la promozione dell’arte italiana, le aste e il collezionismo rimangono oggi sicuramente la via più evidente». Ma non la più accessibile. Motivo in più per apprezzare l’occasione, difficilmente ripetibile, data ai lecchesi di ammirare l’«Annunciazione Grimani».