Appalusi scroscianti

Zanussi al Lecco Film Fest racconta il risveglio di idealismo e solidarietà dopo la guerra in Ucraina

Il regista polacco è stato protagonista ieri dell’incontro “Il cinema, la luce, la vita”

Zanussi al Lecco Film Fest racconta il risveglio di idealismo e solidarietà dopo la guerra in Ucraina
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Krzysztof Zanussi è un maestro, un gigante del cinema, ma soprattutto un uomo libero. Il regista polacco è stato protagonista venerdì 8 luglio 2022 dell’incontro “Il cinema, la luce, la vita” nell’ambito del Lecco Film Fest. Intervistato da Gianluca Arnone, coordinatore editoriale di Fondazione Ente dello Spettacolo, ha mostrato tutta la sua generosità ripercorrendo la sua carriera con aneddoti e riflessioni sul senso profondo dell’esistere e del fare cinema.

Krzysztof Zanussi al Lecco Film Fest

“Come si può intuire dal mio cognome, sono di origini italiane. La mia famiglia si trasferì in Polonia all’epoca dell’impero Asburgico per costruire ferrovie – ha raccontato – Mio padre aveva un temperamento molto mediterraneo, vulcanico. Ho imparato da lui che qualsiasi spontaneità negli anni del regime poteva finire con l’arresto. Una volta vennero degli ingegneri russi per consigliare mio padre sulla gestione del cantiere: rispose loro che non si permettessero, che gli italiani costruivano strade e palazzi quando ancora loro erano scimmie. Fu sufficiente per non vederlo per qualche tempo: lo arrestarono”.

Zanussi ha imparato cosi a misurare le parole, senza tradire lo spirito di ricerca e verità che ha caratterizzato la sua esperienza artistica.

Arnone ha ricordato come Zanussi, e in fondo la sua generazione, i ragazzi nati nel 1939 e durante la seconda guerra mondiale, abbiano dovuto rinunciare all’infanzia. Lo stesso Zanussi si diplomò a soli 15 anni, “Fummo in molti a subire questa falsa accelerazione – ha confermato il regista che però ci mise  un po’ a scoprire la sua vocazione – io mi iscrissi a Fisica, una materia che ho amato molto, purtroppo non corrisposto. Mi resi conto di essere uno studente mediocre e non c’è niente di peggio. Lasciai e mi iscrissi a filosofia. A Cracovia, la sola università dove la filosofia era tale e non  propaganda del regime come nelle altre città”.

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È qui che Zanussi  incontra il cinema

“Facevo molte cose, come ogni studente annoiato. Tra queste cose c’erano dei cortometraggi che furono premiati. Ho pensato che se mi premiavano forse la mia vocazione era questa”. In effetti all’accademia del Cinema di Lodz fu accolto, dopo un esame durissimo, come un giovane di grande talento “e mi cacciarono tre anni dopo, come una persona senza alcuna speranza di futuro nel settore”, ha confessato sorridendo.

In realtà la ragione della “cacciata” è molto “nobile”: “Avevo fatto un viaggio in Francia dove muoveva i primi passi la Nouvelle Vague, che ancora non si chiamava cosi. Rimasi affascinato dalla novità del linguaggio e lo riposi al rientro a scuola. I miei professori scambiarono la scelta della camera a mano per dilettantismo. Mi cacciarono per dare il buon esempio”.

In realtà ebbe anche alcune soddisfazione: “Realizzai un film in cui per oltre mezzora l’azione era in un convento, non sapendo come giudicarlo, dato l’argomento, fu stampato in due copie e spedito a Mosca e in Germania Ovest, a due diversi concorsi. Fu cosi che in una settimana ricevetti due premi, dai protestanti dell’ovest e dai cattolici ortodossi dell’Est”.

Ma la “patente” di regista – e si tratta proprio un brevetto amministrativo, come si usava in quel regime dove forma e sostanza coincidevano, arriva con “La struttura del cristallo” (1969)

“Volevo raccontare la contrapposizione tra vita contemplativa e vita attiva, la tentazione della purezza. Mi interessava e mi interessa ancora oggi usare questo linguaggio per raccontare qualcosa che si mostra poco” ha spiegato.

Il mistero

Incalzato da Arnone su quanto fosse occhiuta la censura e come sia riuscito ad evitarla Zanussi ha dichiarato che “il cinema per me è basato sulla parola, come il teatro, non sulle immagini. Ma i censori che non hanno alcuna passione per il regime che servono, lo dimenticano e si accontentano di avere una spiegazione. Basta cambiare una frase senza cambiarne il senso, come accadde con una frase di Lenin che a loro dire metteva in ridicolo il sistema, fu sufficiente cambiare poche cose e il film non venne censurato.”

Arnone ha sottolineato che i film di Zanussi sono intrisi di una spiritualità che non poteva essere vista di buon occhio dal regime ed ha chiesto come sia stato possibile girarli . “Sono stato protetto dall’alto! – ha scherzato il regista – In realtà ho faticato molto, per esempio in “Spirale” si parla della morte, ma il messaggio è cristiano”.

Arnone ha poi incalzato Zanussi proprio sul tema della spiritualità, asserendo che “crede più nel mistero che nella fede”. “L’impulso metafisico nasce dall’incontro con il mistero. È li che comprendiamo che c’è qualcosa che va oltre la realtà fisica” ha chiosato il regista.

Il film sul papa

Zanussi ha poi ricordato gli anni 80, gli anni della svolta, la possibilità di lavorare all’estero, purché non si facessero dichiarazioni azzardate. Qualche nota amara è emersa proprio in relazione al  film su papa Woytila “Da un paese lontano” (1981)

“Fu un progetto su commissione, fui tentato di non farlo perché non potevo giudicare le scelte del protagonista, né drammatizzare la sua vita. Fu un film didascalico. Ma lo feci perché l’alternativa era che se ne occupasse un professionista americano che avrebbe trattato il tema con distacco, e questo non sarebbe stato giusto. Mi costò in  qualche caso l’etichetta de “il regista del papa”, che finì per screditare i miei lavori agli aocchi di qualcuno. Fu un film utile, ma  non bello, anche se io credo che – tranne in questo caso – la bellezza sia un valore assoluto”.

Non mancarono episodi divertenti sul set: “Le guardie svizzere erano disorientate quando portammo le comparse vestite da cardinali. In san Pietro l’attore che interpretava Pio XII perse il naso finto, le comparse vestite da suore si fecero delle fotografie dentro la basilica, al punto che le ripresi, ma l’incaricato ecclesiastico che seguiva le riprese mi disse : “Lasci stare, non serve gridare con le nostre suore””.

Sereno ma tranciante il giudizio sull’America

“Noi la cultura americana l’abbiamo conosciuta tardi, negli anni Cinquanta inoltrati, non ne siamo rimasti stregati come alcuni colleghi italiani, Bertolucci per esempio, che la conobbero subito dopo il fascismo. Per noi era più interessante la cultura europea. L’America non fa per me: si cerca sempre il consenso di un pubblico vasto, io voglio servine uno più selezionato”.

Idealismo e solidarietà dopo la guerra in Ucraina

Poi a sorpresa ha preso posto sul palco Luigi Geninazzi, giornalista e scrittore inviato de Il Sabato prima e l’Avvenire poi, esperto di Paesi dell’Est e vecchia conoscenza del regista.

E’ toccato  a lui focalizzare l’attenzione dell’ospite sull’attualità: Zanussi che è poliglotta e parla sei lingue è un profondo conoscitore della lingua e della cultura russa, cosa nient’affatto scontata per un polacco e ha conosciuto Vladimir Putin: impossibile non chiedergli cosa ne pensa dell’invasione dell’Ucraina.

“È vero sono stato seduto a cena a fianco di unti, ma solo perché voleva evitare di sedersi con attori americani che lo avrebbero tempestato di domande – ha detto -  La guerra è davvero alle porte di casa. Fino a poco tempo fa ospitavo nella mia casa sei famigli ucraine. Quel che sta accadendo e terribile”.

 Ma Zanussi ha voluto  lasciare al pubblico un messaggio di speranza e quando Geninazzi parlando della stagione degli anni 80 gli ha chiesto che cosa resta di quella fede vissuta e  di quel coraggio civile, il regista ha affermato “fino a sei mesi fa avrei risposto ben poco. Ma ora che ho visto come abbiamo accolto gli ucraini, come i polacchi si siano spesi per degli sconosciuti ed in più per dei vicini con cui non è sempre corso buon sangue, dico che quell’idealismo e quella solidarietà si sono risvegliati”.

Parole che sono arrivate al cuore del pubblico che  ha salutato Zanussi con una vera e propria standing ovation.

Chiara Ratti - Foto Mario Stojanovic

 

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