Lecco

Toccante addio a Dino Piazza, "Un pilastro del passato e un pilastro del presente"

Gli storici Ragni di Lecco intorno alla bara, a fare da scudo, quasi a proteggerlo in questa ascesa, l'ultima, la più dura, quella definitiva. Sul feretro il cappello d'alpino e quel maglione rosso che per lui non è stato una "divisa", ma una seconda pelle, uno stile di vita, sulle sue amate vette ma non solo.

Toccante addio a Dino Piazza, "Un pilastro del passato e un pilastro del presente"
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Gli storici Ragni di Lecco intorno alla bara, a fare da scudo, quasi a proteggerlo in questa ascesa, l'ultima, la più dura, quella definitiva. Sul feretro il cappello d'alpino e quel maglione rosso che per lui non è stato una "divisa", ma una seconda pelle, uno stile di vita, sulle sue amate vette ma non solo. Sono stati celebrati oggi, martedì 27 febbraio 2024 a Castello di Lecco, nella chiesa parrocchiale dei Santi Gervaso e Protaso, i funerali di Dino Piazza, ex presidente dei Maglioni rossi (al 1964 al 1970) e protagonista di tante grandi scalate. scomparso nei giorni scorsi a 92 anni.

Toccante addio a Dino Piazza

Dino Piazza, considerato il Ragno di Lecco dell’epoca d’oro del sesto grado, aveva scalato le pareti più difficili, dalle Dolomiti al Monte Bianco e al Mc Kinley, insieme ad altre leggende dell’alpinismo come Riccardo Cassin, Walter Bonatti, Carlo Mauri e a molti membri del gruppo dei Ragni. E poi si ricordano la ripetizione della via Solleder sulla parete nord-ovest del Civetta (affrontata all’età di 20 anni) e nel 1956 fu tra i primi a salire la via Bonatti al Petit Dru sul massiccio del Monte Bianco.

Nato a Rancio nel 1932 era, insieme all’amico Emilio Valsecchi (per tutti Lupetto) l’ultimo testimone italiano della tragedia del Frêney avvenuta del 1961 quando perse la vita Andrea Oggioni insieme ad alcuni alpinisti francesi. Guida Alpina e membro dei Maglioni Rossi nei quali era entrato a far parte dal maggio del 1955, professionalmente parlando era stato un imprenditore del ferro, aprendo un’azienda di minuteria metallica insieme all’amico Emilio Ratti. Fu la perfetta espressione di quella generazione che ha fatto del sacrificio una bandiera per portare a termine le imprese più ardue. Presenti nella chiesa gremita i rappresentanti degli alpini e di tante associazioni accomunate dall'amore per la montagna con i gagliardetti.

Il rito funebre, è stato celebrato dal parroco don Mario Proserpio " Questo che stiamo vivendo è il momento più importante della vita del nostro fratello Dino - ha detto il sacerdote dal pulpito - Egli durante la sua esistenza ha percorso tante vie in montagna, ma la via del Signore è unica. Dio che ci sceglie e ci aiuta. Dobbiamo solo lasciarci condurre da Lui poiché lui ci dona un mondo nuovo. Ma l'uomo, allontanandosi da questa sua vita distrugge. Lo vediamo nelle guerre in corso. Pensiamo invece a quante volte Dino ha preso per mano i suoi amici per portarli in alto, sulle montagne. Così anche Dio avrà preso per mano Dino ed  insieme  stanno camminando per le vie del Paradiso. Dobbiamo imparare a distaccarci da tutto ciò che è di questo mondo portando in dono con noi quanti abbiamo incontrato in questo mondo nella nostra vita, vivendo con la semplicità umana come ha vissuto il nostro Dino, amando la natura, le montagne proprio come le ha amate lui".

Toccante il ricordo del ragno Carlo Aldè: "Un pilastro del passato e un pilastro del presente"

"Ricordo una volta che venni sorpreso da un forte temporale in montagna. Io ero spaventato e Dino mi aveva raccontato che gli alpinisti della sua generazione si erano formati anche perchè, pure d'inverno, andavano a lavarsi al lago. Mi sembrò una cosa strana, buffa, ma nel tempo ho capito cosa voleva dire e le sue parole sono rimaste per me come un insegnamento che ancora oggi mi rimane. Sempre quella sera Dino aveva tenuto banco al rifugio come solitamente faceva lui".

"-Aveva raccontato che è quando si è sotto lo strapiombo che bisogna piantare il chiodo e andare avanti e anche questo lo ritengo un suo insegnamento per la vita di tutti i giorni, per affrontare le difficoltà. Probabilmente gli ero entrato in simpatia quella sera perchè qualche giorno mi aveva invitato in ditta e mi aveva regalato dei ramponi arancioni e questo per me era stato un dono incredibile del quale sono ancora oggi fiero. Un pilastro del passato e un pilastro del presente, questo per me era Dino e la prossima volta che andrò in Grigna userò i suoi ramponi per ricordarlo".

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Mario Stojanovic

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