Processo Gilardoni: parla il nipote della lady di ferro: "Ero un sorvegliato speciale"

Per tre ore e mezza, Andrea Ascani Orsini, 53 anni ha raccontato la sua verità. Accusato di   reati minori nel processo Gilardoni Raggi X ha ricostruito i difficili rapporti con la zia Maria Cristina Gilardoni, ex presidente del Consiglio di Amministrazione dell’azienda.

Processo Gilardoni: parla il nipote della lady di ferro: "Ero un sorvegliato speciale"
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«Per mia zia, Maria Cristina Gilardoni, io ero un sorvegliato speciale». Oggi, mercoledì 13 novembre 2019, in tribunale a Lecco Per tre ore e mezza, Andrea Ascani Orsini, 53 anni ha raccontato la sua verità. Accusato di   reati minori nel processo Gilardoni Raggi X ha ricostruito i difficili rapporti con la zia, ex presidente del Consiglio di Amministrazione dell’azienda.

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Processo Gilardoni: parla il nipote della lady di ferro

Principale imputato del procedimento resta  l’ex direttore del personale Roberto Redaelli, che deve rispondere di lesioni personali gravi e di maltrattamenti, mentre la «lady di ferro», gravemente malata, non è imputabile. Il processo ha preso il via a inizio anno e man mano in aula sono sfilati i  dirigenti della Questura che hanno curato la delicata indagine,  i dipendenti dell’azienda, vittime di stalking, i medici che li hanno avuti  in cura e pure i sindacati. Adesso sono saliti sul banco gli imputati: la volta scorsa la dottoressa Maria Papagianni, mercoledì è stata la volta di Ascani Orsini.

 

"Ero un sorvegliato speciale"

«Da quando sono diventato socio al 45% - ha spiegato al giudice monocratico - mia zia aveva iniziato a tenermi sotto controllo anche perché aveva capito che con le quote che detenevo, qualche problemino glielo potevo creare. Mi ha riservato un ufficio in una zona cieca e dal 2002 fino al 2016, anno in cui mi sono dimesso dalla Gilardoni (pur continuando a detenerne le quote) aveva iniziato a chiamarmi sempre più spesso per “controllare” dove fossi. Persino quando ero in ferie. Il portinaio aveva l’obbligo di avvisarla non appena entravo in azienda le diceva: “L’ingegnere è arrivato”. In azienda poi  -   vigeva un clima austero a causa del carattere della zia ».

Le vessazioni

Una delle tante spinose questioni che sono state sollevate durante il procedimento, era il fatto che spesso non venissero concesse le ferie ai dipendenti (o addirittura revocate) e i permessi, persino per  visite mediche e donazioni di sangue. «Fino all’inizio del periodo in cui Redaelli è diventato direttore del personale le ferie venivano concesse regolarmente: il dipendente le concordava con il caporeparto e quindi si avviava l’iter (per quanto riguarda il mio reparto) che finiva sulla mia scrivania per la firma. Poi sono iniziati gli irrigidimenti». E ancora. «Era la regola che non venissi informato del fatto che  non venivano concesse le ferie. A volte però mi fermavano i dipendenti del mio reparto che lamentavano il problema. Sapevo che non potevo recarmi da mia zia ad esporle la questione  facendo nomi e cognomi, perché altrimenti la persona interessata sarebbe stata bersagliata. Cercavo di tenermi su un discorso generale».

Mail agli atti del Processo Gilardoni

Agli atti ci sono le mail che Ascani Orsini ha scritto a Maria Cristina Gilardoni. «Mia zia cercava di ottimizzare i costi, per esempio. Quindi per far leva su di lei, le avevo scritto che se non avessimo sbloccato le ferie saremmo stati costretti a monetizzarle. Ma anche questo argomento non aveva sortito l’effetto sperato. Avevo addirittura  presentato una lista con 14 nomi di persone che proponevo per un premio di produzione essendo figure importanti: ma la mia lettera aveva sortito l’effetto opposto, entro marzo la metà di quei preziosi dipendenti se n’era andata o era stata licenziata». Sulla figura di Roberto Redalli, che i dipendenti nelle precedenti udienze avevano descritto come il braccio destro della «lady di ferro» Ascani Orsini è stato chiaro: «Era un mero esecutore. Nessuno poteva dire a mia zia cosa fare, le decisioni le prendeva da sola. Con lui ho litigato una volta e gli ho mandato un paio di mail, ma ritenevo superfluo parlargli, infondo pensavo  che parlare con lui non avrebbe prodotto alcun risultato». Alla fine del 2015 il 53enne aveva chiesto al consiglio d’Amministrazione la «testa» della zia ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile lamentando «gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società». E a inizio 2016 si era dimesso. «Lasciare la società di famiglia è stato difficile, ho dovuto cambiare vita - ha concluso - ma non ce la facevo più». Si torna in aula il 20 novembre per l’audizione del principale imputato: Roberto redaelli.

 

 

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