Davide e Musa, storia di straordinaria solidarietà a Lecco. Profugo accolto in casa dal volontario

"L’essere umano dovrebbe sempre cercare di andare al di là della burocrazia. Io ne ho trovata tanta in queste settimane. Quanto al resto, penso che a fare muro contro muro non si vada da nessuna parte"

Davide e Musa, storia di straordinaria solidarietà a Lecco. Profugo accolto in casa dal volontario
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Quando si sono incrociati Musa vagava come uno zombie sulle strade alte del rione San Giovanni. Davide invece era lì di «pattuglia». Tre anni prima, mentre Musa salpava fortunosamente dalla Libia, attraversava il Mediterraneo su un barcone e approdava in Sicilia, Davide decideva di diventare un City Angel. Il loro incontro è una storia straordinaria che i volontari lecchesi del sodalizio hanno reso pubblica nominando Davide Trestini, detto Fulmine, 40 anni, l’«angelo del mese di maggio della sezione di Lecco».

Davide e Musa, storia di straordinaria solidarietà a Lecco.

All’inizio di aprile Davide, che nella vita fa il maestro di scuola, ha accolto in casa sua Musa. Da un paio di mesi lo sta assistendo perché si rimetta in salute, torni in possesso dei documenti che ha perduto, inizi finalmente a vivere l’esistenza dignitosa, e magari felice, per cui tre anni fa, nemmeno sedicenne, aveva intrapreso la sua tremenda odissea.
Ma facciamo un passo indietro per raccontarla passo passo questa storia.
«Conoscevo e seguivo i City Angels con ammirazione da molti anni, ma abitavo in Valtellina e lì non c’erano - spiega Davide – Poi mi sono trasferito a Lecco. E quando gli Angeli hanno aperto una sezione lì, mi sono precipitato ad aderire!».
Era l’ottobre del 2016.
Nei successivi due anni e mezzo «Fulmine» ha maturato molte esperienze forti e toccanti. Ha contribuito con i suoi compagni a ricongiungere Peter e Giulia, due persone scomparse, con le loro famiglie. «Ogni persona in strada, con le sue fragilità, mi ha rafforzato come essere umano» dice.

L'incontro

Poi un giorno ha incrociato Musa. «Un diciannovenne del Gambia che abbiamo soccorso ai primi di marzo. Era sulla strada, impaurito. Girava in stato confusionale forse alla ricerca del rifugio della Caritas: denutrito, sporco, vestito leggero e senza documenti. L’abbiamo portato in ospedale. Dove abbiamo scoperto che era stato ricoverato altre volte. Non sapevano nulla di lui, se non il suo nome e cognome. Ogni volta restava in piedi per ore nella hall del pronto soccorso, e veniva dimesso senza una vera visita. Così ho deciso, di mia iniziativa, di seguirlo personalmente».
Davide ha insistito con l’ospedale, riuscendo ad ottenere una visita psichiatrica per il ragazzo, con relativa diagnosi e terapia farmacologica. Intanto scopriva che Musa, arrivato in Italia minorenne, era stato accolto in una comunità di Trapani dove aveva potuto frequentare la scuola mentre la burocrazia sbrigava l’iter per fargli ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Quando però il nulla osta è arrivato (scadrà nel 2020), Musa, diventato nel frattempo maggiorenne, si è anche trovato fuori dalla rete sicura che aveva fin lì provveduto a lui.
«Ha fatto un po’ di Sprar, ma poi si è ritrovato solo. Un connazionale lo aveva fatto venire a Milano, ma qui, senza un posto dove dormire, senza niente da mangiare, è andato in totale black out - racconta Davide - Quando lo abbiamo trovato abbiamo addirittura pensato che fosse drogato, ma gli esami clinici in pronto soccorso hanno escluso che avesse in corpo sostanze stupefacenti».

Profugo accolto in casa dal volontario

Impossibile sapere se al ragazzo sia capitato qualcosa negli ultimi mesi: probabile che siano «semplicemente» esplose le conseguenze psichiche dei troppi traumi patiti. «I medici che lo hanno visitato lo hanno trovato in un grave stato confusionale» racconta Davide. Anche per lui è scattato però qualcosa. «Fino alla fine di marzo l’ho portato al dormitorio della Caritas, ma una volta chiusa la struttura non me la sono sentita di abbandonarlo sulla strada. Così ho deciso, certo d’impulso, magari a mio rischio e pericolo, di portarmelo a casa. Gli amici mi davano del pazzo, ma il cuore mi imponeva di farlo. E so che lo farei ancora, per qualunque persona dovessi trovare nello stato in cui ho trovato Musa».
Dopo un paio di settimane a casa di Davide, al caldo e in un ambiente amichevole, il ragazzo ha iniziato a ricordare qualcosa della sua vita. «L’ho portato a fare denuncia di smarrimento dei documenti, l’ho aiutato a ritrovare il permesso di soggiorno. Musa ha ricordato il numero di telefono della mamma: che emozione quando le ha telefonato! Lei è scoppiata in lacrime, non sentiva il figlio da mesi e temeva il peggio».
Oggi Musa sta bene. Continua a vivere nel bilocale di Davide, dorme sul divano letto. «E’ diventato un po’ mio figlio. Io sono severo con lui, sarà che da maestro sento il dovere di educarlo». Quando Musa riavrà i documenti, potrà finalmente raggiungere uno zio che ha in Germania. «Qui non ha nessuno. Nel frattempo però, sarebbe buona cosa per lui trovare un lavoro che lo tenga occupato. Per questo lancio un appello: chi può aiutarlo mi contatti attraverso i City Angels».

"A fare muro contro muro non si vada da nessuna parte"

Ai quali Davide sente di dire grazie subito: «Mi sono stati vicini per aiutare Musa. E un ringraziamento particolare va a Pantera, un City Angel della Guinea, che ha fatto da traduttore!». Il coordinatore di Lecco, Marco Visentin «Griso», aggiunge un pezzetto alla storia: «Fulmine, che insegna italiano agli stranieri, è molto attento alla loro integrazione. Senza Fulmine, Musa avrebbe potuto morire. Ed è bellissimo che dal primo aprile abbia ospitato questo ragazzo a casa sua, come un fratello. Fulmine trascorre tutto il suo tempo libero con lui e quando lavora lo affida ad amici che si prendono cura di lui. Insomma, è un esempio di straordinario altruismo e generosità!». Ma vi è anche un’altra lezione: «Che non dovrebbero esserci barriere verso le persone in difficoltà. L’essere umano dovrebbe sempre cercare di andare al di là della burocrazia. Io ne ho trovata tanta in queste settimane. Quanto al resto, penso che a fare muro contro muro non si vada da nessuna parte».

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