16 miliardi di cibo nella spazzatura. A Como-Lecco le “ricette rurali” contro lo spreco
Dall’esperienza contadina e dagli Agrichef di Campagna Amica i rimedi “made in Lario” per recuperare ciò che si è avanzato e ricreare gustosi piatti di una tradizione ultracentenaria

L’esperienza e i rimedi contadini per recuperare, in modo goloso, il “cibo buono” destinato a finire nella spazzatura. E’ il buon senso della cucina popolare e delle ricette che ottimizzano il recupero della dispensa la risposta al grave fenomeno dello spreco alimentare testimoniato dal rapporto sullo Stato dell'alimentazione e dell'agricoltura 2019 (Sofa) presentato dalla Fao, che ha aperto la Settimana mondiale dell'alimentazione. Particolarmente rilevanti a livello nazionale sono gli sprechi domestici che – denuncia Coldiretti – rappresentano in valore ben il 54% del totale e sono superiori a quelli nella ristorazione (21%), nella distribuzione commerciale (15%), nell’agricoltura (8%) e nella trasformazione (2%).
16 miliardi di cibo nella spazzatura
“Non si tratta solo di un problema etico ma che determina anche – commenta il presidente di Coldiretti Como Lecco Fortunato Trezzi – effetti sul piano economico ed anche ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti”.
La crescente sensibilità sul tema nelle nostre province di Como e Lecco ha però portato oltre sette cittadini lariani su dieci (74%, secondo le nostre rilevazioni effettuate negli AgriMercati) a diminuire o annullare gli sprechi alimentari adottando nell’ultimo anno strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi ad una maggiore attenzione alla data di scadenza, ma anche la spesa a chilometri zero dal campo alla tavola con prodotti più freschi che durano di più.
A Como-Lecco le “ricette rurali” contro lo spreco
Ma è proprio la “cucina del recupero” ad essere l’asso nella manica dei nostri consumatori: gli esempi non mancano, dalla frittata rognosa con la salsiccia (uno dei “piatti contadini” per eccellenza “che si cucinava nei giorni immediatamente successivi alla macellazione del maiale” come sottolinea l’Agrichef di Campagna Amica Giulia Di Scanno) agli gnocchi di pane e strangolapreti: altro piatto storico, quest’ultimo la cui ricetta compare nel 1842 nel libro “La cucina degli stomachi deboli” di Angelo Dubini, medico milanese che si ritirò a vivere a Lecco al termine della sua carriera. Il nome, va da sé, è curioso: gli strangolapreti, come si intuisce, hanno un fondo di ironia nei confronti del clero.
Con la carne macinata e gli avanzi dei salumi si può interpretare, invece, una delle ricette-simbolo della tradizione milanese e, più in generale, lombarda: si tratta dei mondeghili, le tradizionali polpette di carne, che le nostre nonne preparavano con pane secco, latte, biancostato, mortadella di fegato, uova, salsiccia e patate. Una curiosità: questa preparazione si diffonde in Lombardia sotto l’occupazione spagnola, come dimostra il nome derivato, appunto, dallo spagnolo albondeguito (e a sua volta dall’arabo al-bunduc!)che indica un consimile piatto tutt’oggi in voga nella penisola iberica.
Glosità... sostenibili
Altrettanto “rurale” e “antispreco” il tortino di patate e cipolle, che valorizza due produzioni identitarie per il territorio lariano: la patata bianca comasca e la cipolla di Brunate, ma anche il burro di fattoria, il Taleggio Dop e l’olio extravergine che si produce lungo le coste del lago di Como. Pare ne andasse matto Alessandro Volta, che curava personalmente le sue coltivazioni di patate a Camnago. I formaggi contenuti nel frigo possono essere utilizzati per preparare la tradizionale polenta uncia (che risulta straordinaria utilizzando Taleggio, Bitto o Semuda). Ma anche la miascia si prepara utilizzando il pane raffermo, così come le torte di pane diffuse nell’area montana. Scorrendo indietro nei secoli, troviamo il più autorevole esponente della storia della cucina lariana, il Maestro Martino da Como, che già nel XV secolo proponeva nei suoi ricettari molti esempi di cucina economica rurale, tra cui le “frictele de fior di sambuco” una “minestra di herbette”, giungendo persino a proporre una delle prime ricetta con il riso (che, a quel tempo, iniziava la sua diffusione nell’area tra Milano e Pavia anche grazie al coevo Leonardo Da Vinci): anche questo piatto è in forma di “frittelle” e si tratta di una sorta di “arancini” ante litteram.