Lecco - Visti da vicino

Riva, farmacista e amante della montagna che vive la battaglia contro la malattia con realismo

L'intervista ad Alberto Riva, lo storico responsabile della Farmacia Provasi nella centralissima via Roma di Lecco.

Riva, farmacista e amante della montagna che vive la battaglia contro la malattia con realismo
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Ha conosciuto e aiutato generazioni di lecchesi, anche sulla via della sofferenza, vista la professione. Alberto Riva è lo storico responsabile della Farmacia Provasi nella centralissima via Roma di Lecco. Uomo solare e di una simpatia contagiosa, non ha perso il sorriso nonostante un anno davvero complicato. Nel giugno del 2020, infatti, gli è stato diagnosticato un tumore e così, dopo aver consigliato per anni terapie da seguire ai lecchesi, si è trovato improvvisamente dall’altro lato della sofferenza. Ma come ha sempre fatto con qualsiasi problema, lo ha guardato in faccia e lo ha affrontato con grinta.

Riva partiamo proprio dalla malattia. Ci vuole raccontare questo periodo difficile?

«E’ stato tutto molto rapido. Avevo qualche sintomo e mi sono fatto visitare, così nel giro di un paio di giorni ho scoperto di avere un cancro allo stomaco. E’ accaduto nel luglio del 2020. A luglio 2021 che  ho fatto una Tac che mi ha molto rassicurato. Dopo mesi di astinenza ho bevuto un bianco per festeggiare».

Come ha affrontato il periodo peggiore?

«Facendo tutto quello che bisogna fare quando si ha una malattia. Primo: fidarsi dei medici. Secondo: non dare retta a tutti quelli che vogliono darti consigli, perché spesso sbagliano. Terzo: soffrire un pochino in silenzio, perché non è vero che è una passeggiata. Quarto: aspettare che ti operino. Quinto: trovare gli amici, che grazie a Dio ti danno una mano. E poi pregare: le preghiere in questi momenti non devono mancare».

Come è riuscito a portare avanti anche l’attività lavorativa in questi mesi?

«I miei collaboratori mi hanno sostituito egregiamente, per cui non ho avuto alcun problema. A loro va il mio grazie sincero».

L’ultima Tac l’ha rassicurata. Battaglia vinta?

«E’ un cancro e il problema del cancro è che vivi sempre con la spada di Damocle sulla testa».

Ha paura?

«No, mai. Ho timore, semmai, ma non paura, perché siamo tutti destinati a morire. Anche l’Ave Maria finisce con “nell’ora della nostra morte”, per cui nemmeno la Madonna ce la evita. Dobbiamo tutti morire».

In questi mesi ha fatto diversi cicli di chemioterapia. Come è andata?

«E’ una mazzata. Certo dipende da che ciclo devi fare. Io ho fatto quello pesante ed è stata dura, però sapevo che era la via verso la guarigione per cui, al di là della fatica, ho fatto due cicli in più, per avere una maggiore possibilità di uscirne. Per questo ringrazio anche tutto il personale sanitario dell’ospedale di Lecco, che mi ha seguito passo passo».

La malattia ha cambiato il suo sguardo sul futuro? Dopo la battaglia con il cancro si è trovato ancora a progettare a lungo termine o ha abbandonato questa via?

«In realtà non rientra nel mio stile. Ho fatto qualche progetto di vita, ma non sulle piccole cose. Mi piace il sano realismo, per cui cerco di seguire gli eventi e non di prevederli».

Torniamo ora indietro alle sue origini. La sua è stata una famiglia di farmacisti.

«A Castello mio papà Domenico aveva una farmacia, insieme a mio zio Luigi. Anche mio nonno era farmacista».

Per lei dunque è stata una scelta obbligata?

«No. Onestamente non sapevo cosa fare e quindi ho deciso di buttarmi in questa professione perchè avevo il lavoro a portata di mano. Mio fratello (il noto giornalista Gigi Riva, ndr) aveva già scelto un’altra strada».

Si è poi pentito della scelta?

«No, mai. Anche perchè durante l’università ha iniziato a piacermi, nonostante gli studi fossero più scienze che pratica. Alla fine mi sono innamorato di questa professione, ma non nella sua versione merceologica».

 

Prima di iscriversi all’Università che scuole ha fatto a Lecco?

«Il liceo Classico, con le professoresse Cornelia Formaggia di Matematica, che mi adorava anche perchè me la cavavo piuttosto bene, e Giovanna Faranda, di Latino e Greco, con la quale sono ancora in contatto adesso che ha più di 90 anni».

Come è composta la sua famiglia ora?

«Ho una moglie, Anna, laureata in Lingue, e quattro figli: Domenico, Chiara, Paolo e Pietro. Ho tre nipoti, quasi quattro. Che nonno sono? Se c’è bisogno sono sempre presente, ma non sono uno di tante smancerie».

Ha avuto una chiara formazione culturale in Comunione e Liberazione.

«Vero. La mia figura di riferimento resta tutt’oggi don Luigi Giussani, di cui conosco qualsiasi testimonianza scritta o orale e del quale spesso rileggo gli scritti. Ho attraversato diverse generazioni di lecchesi attraverso Cl, in un ruolo molto particolare, incapace di seguire l’onda per un interesse personale».

E’ stato tentato anche dalla politica?

«Più volte sono stato sollecitato a impegnarmi, ma ho sempre rifiutato, perchè non ho la pazienza di ascoltare. Ho un carattere sbrigativo e decisionista, quindi forse poco politico. Se decido una cosa per domani, se riesco la faccio stasera».

 

Come è invece sul lavoro?

«Molto esigente, ma perchè sono esigente con me stesso. Non mi limito a consigliare i farmaci, ma prendo a carico le persone. Detesto l’approssimazione e questo lato del mio carattere credo si sia sviluppato per la scuola di vita che ho avuto, ossia quello dell’ambiente montano. Ho fatto anche gare di sci alpinismo ad alto livello. La montagna la vivo a 360 gradi. Sono stato amico e compagno di esperienze di molti alpinisti di rango lecchesi».

Ci fa qualche nome?

«Pino Negri, Mario Conti, Casimiro Ferrari, Felice Anghileri e Lupetto. Ovviamente Riccardo Cassin, che era un amico di famiglia. Quando io facevo il liceo non esisteva che uno della mia età non andasse ad arrampicare. Capitava spesso che lasciassimo lo zaino al bar, fingessimo di andare a scuola e poi bigiassimo per andare in montagna: con il pullman arrivavamo a Laorca a poi raggiungevamo il Medale. L’ho fatto spesso con il mio amico Franco Tanzi, che ora è diventato un grande agronomo».

Persino l’esperienza militare è stata vissuta tra le montagne. E’ vero?

«Sì, alla scuola militare alpina a La Thuile, nel centro sportivo esercito, battaglione esploratori. Abbiamo fatto grande attività alpinistiche e sportive, accompagnate da alcune goliardate. Questa esperienza l’ho condivisa con Antonio Peccati, “Briciola”, ora presidente di Confcommercio Lecco, compagno poi anche di sci alpinismo. Allora era davvero fortissimo».

Sempre legata alla montagna c’è anche una scommessa. Ce la racconta?

«E’ stata una pazzia da 50enne. Avevo preso casa a Chamonix e ho fatto una scommessa con mio cognato che sarei riuscito nella folle Ultratrail del Monte Bianco. Sono partito da Courmayeur in mattinata e sono arrivato, correndo anche durante la notte senza mai fermarmi, a Chamonix, la mattina successiva. Sono 105 chilometri, 6mila metri di dislivello, 18-20 ore di camminata. L’ho rifatta tre volte».

Qualche altra passione?

«Sono un amante della buona tavola e un cuoco corteggiato dagli amici. Non mi spiace anche un buon bicchiere di vino».

Se dovesse tratteggiare il suo carattere in poche parole?

«Sono molto diretto e qualche volta portato allo scontro, ma non ho mai serbato rancore per nessuno. Sono convinto di una cosa: alle persone bisogna sempre voler bene, anche e soprattutto se hanno avuto qualche inciampo».

In alto a sinistra, Alberto con la moglie Anna sul Monte Bianco. Al centro la famiglia Riva riunita per le nozze di Chiara, sul divano con la mamma. Alle spalle il capofamiglia con i tre maschi

Sotto, l’ultimo exploit di Alberto Riva nella «pazza impresa» con arrivo a Chamonix tra la folla, con accanto due compagni di viaggio francesi, diventati poi suoi amici

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