L'omaggio di Monica Maggioni al "compagno Paolino", adorato papà
"Grazie per il grande uomo che sei stato e per la vita che ci hai dato"
E' stato un grande sindacalista, una persona impegnata in Pirelli quando le conquiste dei diritti dei lavoratori erano ancora agli albori. E' stato un generoso attivista del Pci e delle Feste dell'Unità. Un uomo molto impegnato nelle problematiche della sua comunità. Una persona sensibile, altruista, molto attenta alla cultura e amante del dialogo senza pregiudizi. Prima operaio e poi imprenditore. Paolo "Paolino" Maggioni, 87 anni, di Cernusco Lombardone, sposato con Giovanna e padre di Luca e Monica, ha davvero lasciato un vuoto incolmabile. Per commemorarlo ospitiamo il bellissimo e toccante ricordo che la figlia Monica Maggioni, direttore del TG1, ha letto sabato scorso in una chiesa gremita di persone accorse per porgere l'estremo saluto a questo straordinario e umile uomo.
L'omaggio di Monica Maggioni al "compagno Paolino", adorato papà
"Signore tu ce lo hai dato ed era la nostra felicità,
Signore tu ce lo togli e noi te lo restituiamo con il cuore pieno di dolore.
Molti di voi conoscevano papà, per aver percorso un tratto di strada insieme, per aver condiviso una passione. Ora mentre se ne va mi piacerebbe che qui in questa chiesa, tra coloro che gli vogliono bene ritornassero, coerenti, pezzi di ricordo. Farlo davanti a te, un po’ più complicato.
Nascere qui nel secolo scorso non era cosa semplicissima. Era la Brianza povera e contadina, vita di cortile e di parrocchia. Ciurme di ragazzini a scorrazzare tra i nostri boschi. Le scarpe un lusso per pochi, la stalla accanto a casa e un rapporto con la terra, con i boschi, con gli animali che scandisce l’esistenza.
Ti è sempre rimasto tutto questo addosso e lo hai trasmesso anche a noi. Abbiamo vissuto questi anni a guardare il ciclo delle nostre piante, ti abbiamo visto allevare canarini e qualsiasi specie esotica. La terra, gli animali. La bellezza di quello che ci circonda. Ci hai insegnato ad avvolgerci nella bellezza del creato.
Poi gli anni del lavoro. L’esperienza della fabbrica. E per te una dimensione in cui rileggere nei volti dei tuoi compagni sfruttati quello che avevi pregato nel Vangelo. La fabbrica delle umiliazioni delle ragazze, della fatica del turno C, della salute distrutta dal nerofumo di lavoratori che cercavano la strada per avere rispetto e non sfruttamento. E allora con la tuta da operaio addosso hai imparato a saltare sul tavolo in assemblea di fabbrica e diventare riferimento per gli altri. Altoparlante in mano a dire che gli operai lavorano duro ma devono essere trattati come uomini. A ripetere che il diritto alla salute, alla fine del cottimo, a un lavoro che non distruggesse l’essere umano doveva essere garantito.
Sì era il 69. Un sessantanove in cui spiegavi che il mondo si migliora solo impegnandosi in prima persona. Anche in fabbrica. E non potevi sopportare che alcuni tra gli studenti figli della borghesia cercassero di appropriarsi della vostra lotta con slogan e radicalismi che avrebbero potuto distruggere tutto. E al contrario sentivi che gli operai, per difendersi dovevano poter studiare. Dovevano costruirsi l’opportunità di avere quelle parole in più per confrontarsi con il padrone, come diceva Don Milani.
E allora, dopo i turni, il lavoro, la fatica, bisognava leggere. Rivedo anche in questo momento l’alone giallo della tua abat jour accesa alle 2 di notte. Leggere, capire, studiare. «Moni, il mondo si cambia solo studiando. Lo studio e l’impegno».
Ho sempre visto libri in casa mia. Anche nei momenti più duri, anche quando i denari per il quotidiano erano difficili da trovare (quanta fatica eh mamma?) ma c’era sempre spazio per i libri. Il disco della Buona Novella di De Andrè. E un po’ di quel poco da dare agli altri. A chi aveva ancora meno.
Fede, lavoro e una fiducia incrollabile negli esseri umani. La tua passione per la politica nasce tutta qui. Non è ideologia, è costruzione di un mondo migliore per gli uomini. Di un luogo in cui anche agli ultimi siano date le opportunità, in cui l’ingiustizia non sia data come condizione accettata dell’esistere.
Non hai mai smesso di lottare. E di considerare il mondo un posto senza confini in cui gli esseri umani costruiscono un pezzo di creato in più ogni volta che si incontrano. Ti rivedo alla domenica dopo messa a Fontanella sul sagrato dell’abbazia di Sant’Egidio con David, David Maria Turoldo, e gli altri amici a parlare di politica, e di storie. Erano lunghe conversazioni di frasi, come lame, giudizi netti, scelte inequivoche. Di America latina e di giustizia. Di parole radicali e dolcezza umana. Perché poi eri sempre pronto a riaprire la porta a chi aveva bisogno. Perché ci si può battere per le proprie idee ma le persone vanno accolte, tutte.
Io ci ho provato e ci sto provando papà. E ogni volta che è ancora più dura mi chiedo cosa faresti. D’altronde tu sei la guida e non ti posso nascondere niente. Avete mai visto un malato di 87 anni seduto con i drenaggi in un letto di ospedale farsi una rassegna stampa di un’ora e mezza su tutti i giornali a computer e poi ingaggiare una discussione sulle scelte del nostro Paese? Ecco questo è mio padre e voi davvero pensate che quando cresce con un padre così uno poi faccia fatica ad andare a raccontare le guerre in giro per il mondo? Non scherziamo.
Ma una cosa rimane sopra tutte le altre. La porta aperta. Juli, Nic, vorrei che sapeste che è stato molto facile per me e vostro papà essere figli di nonno e nonna.
Facile anche se io ho avuto degli scontri furibondi e papà pure, ma finivano sempre a lacrime e abbracci.
Sapete perché è stato facile? Perché sapevamo che avremmo trovato sempre la porta aperta. Che non ci sarebbe stato errore, scelta sbagliata, follia che potessimo fare che ci avrebbe fatto trovare chiusa la porta al ritorno. No. Nonno e nonna erano sempre lì. Il loro amore era sempre più grande delle nostre scemenze. E nonno vuole questo per voi. Sappiate che anche voi troverete la porta aperta. Sempre. E continueremo a camminare insieme sorridendo e incontrandoci sotto il cedro come lui ha detto a me, a papà e alla nonna di fare. Insieme.
Vi ho tenuto qualche minuto ad ascoltarmi. Ho scelto di farlo perché tante volte avrei voluto scrivere un libro su di lui, la sua vita, la Bicocca e il terrorismo che ha osato sfidare. Poi non l’ho fatto e non lo abbiamo fatto. Forse perché lui era convinto che la storia collettiva di quegli anni non dovesse essere sopraffatta dal racconto di un singolo. E anche perché sapevamo, io e lui, che il nostro tempo insieme non si poteva risolvere in parole scritte (anche se entrambi amiamo così tanto le parole scritte). Non sarebbero bastate le parole scritte quando c’erano i suoi occhi grigi in cui perdersi.
Oggi invece era giusto usare alcune parole. Almeno per dire grazie. Dell’opportunità straordinaria che è stata vivere con te. Grazie per il grande uomo che sei stato e per la vita che ci hai dato. E allora lascia che ti ripeta quelle parole di David che amavamo tanto:
Non so come, non so dove, ma / tutto perdurerà: di vita in vita / e ancora da morte a vita / come onde sulle balze / di un fiume senza fine".