Liliana Segre ricorda il suo periodo a Ballabio, "80 anni dopo non dimentico gli eroi della mia vita"
Prima di essere deportata, Liliana Segre fu ospitata a Ballabio dalla famiglia Pozzi per un mese, un ricordo profondo che parla di umanità e dolcezza di cui la senatrice a vita ha voluto farci dono.
«Non ho mai dimenticato gli eroi della mia vita, anche se passa il tempo». Liliana Segre, 93 anni, nel nostro Paese è una vera e propria istituzione, nota dovunque per il suo impegno «contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e intolleranza». Senatrice a vita, nominata nel 2018 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, deportata ad Auschwitz a 13 anni su un treno partito dal famigerato binario 21 della Stazione di Milano, da sempre porta «la memoria» nelle scuole affinché non venga cancella una delle pagine più buie della storia, quella legata agli orrori dei campi sterminio. Nella sua personale, tragica ,esperienza di vita c’è un ricordo che tocca il territorio di Ballabio dove Liliana, allora 13enne, rimase sfollata per un mese.
Liliana Segre ricorda il suo periodo a Ballabio
Le abbiamo chiesto di condividere, in esclusiva per il Giornale di Lecco, quell’esperienza lontana nel tempo, vissuta nel 1943, eppure ancora tanto fresca nella sua memoria. Trenta giorni o poco più, prima che la situazione precipitasse, prima che venisse arrestata con il padre Alberto e condotta ad Auschwitz-Birkenau. Una storia, la sua, che è racchiusa in «Sopravvissuta ad Auschwitz», un libro che racconta tutta la drammaticità della sua vita nel campo di concentramento.
«Vivevamo immersi nella zona grigia dell’indifferenza. L’ho sofferta, l’indifferenza. Li ho visti, quelli che voltavano la faccia dall’altra parte. Anche oggi ci sono persone che preferiscono non guardare».
Liliana Segre, è una delle voci più intense della memoria della Shoah e con il garbo che la contraddistingue, ha voluto rispondere alle nostre domande raccontandoci quella sua esperienza ballabiese, racchiusa in un video di alcuni minuti. Nel filmato - registrato nel salotto della casa di Milano, seduta sul divano - è tornata a quei giorni, lontani nel tempo ma non nel cuore.
"80 anni dopo non dimentico gli eroi della mia vita"
«Dopo tanti anni da quei fatti mi stupisce questo interesse - ha detto - Ma mi fa piacere ricordare persone che erano sfollate a Ballabio, durante la Seconda Guerra Mondiale. Vorrei precisare che erano conoscenti della mia famiglia, ma non strettamente amici. Semplici conoscenti. Nel momento del pericolo, dopo l’8 settembre, il signor Pozzi (così si chiamava il mio ospite che era sfollato a Ballabio con la moglie e una bambina) venne a prendermi nella mia casa e mi condusse per un mese nella sua piccola, modesta abitazione di sfollati a Ballabio. E mi tenne con amore, tenerezza, gentilezza e massima affettuosità insieme alla sua famiglia, rischiando la vita. Perché a quel tempo, che sembra lontano, si rischiava la vita se si nascondeva un ebreo anche se nel mio caso ero solo una ragazzina di 13 anni».
Il rammarico di non aver capito quali rischi corresse il suo ospite
«Allora io non ho capito fino in fondo quanto e cosa rischiasse il signor Pozzi e mi sono molto pentita per il fatto che il mio atteggiamento, in quel periodo, non era stato così grato e affettuoso come avrebbe dovuto essere. Ma la nostalgia della mia famiglia che poi fu tutta sterminata, mi rendeva selvaggia, rustica e desiderosa di tornare a casa mia».
La permanenza a Ballabio durò solo un mese
«Restai nascosta a Ballabio per un mese, in quella modesta casa. Mi diedero un nome falso, un nome che non era il mio. A un certo punto ci fu una grande retata, nel piccolo paese alla periferia di Lecco e portarono via tutti gli uomini per interrogarli».
L’arresto di Pozzi e di Alberto Segre
«A Ballabio era stato spostato il comando tedesco, lo ricordo molto bene. Mio padre un giorno era venuto a trovarmi, con grande fatica e grande coraggio, sapendo della mia disperazione per la lontananza da casa. E così finì nella retata e fu arrestato insieme agli altri e soprattutto insieme al signor Pozzi. Passammo una notte in piedi, io la moglie del mio ospite e la figlia, fuori dal comando tedesco. Io aspettavo mio padre, mentre i nostri conoscenti temevano per la sorte del loro congiunto. Entrambi furono stranamente liberati».
La scarcerazione inattesa
«Liberarono anche mio padre che avrebbe dovuto essere arrestato. Ma sulla carta d’identità di papà, stranamente c’era scritto: “amante degli animali”. Nel comando tedesco c’era un ufficiale che era veterinario e che decise di liberarlo senza tante domande. In quel momento avvenne il miracolo, un miracolo che purtroppo non si ripeté nel futuro».
Il trasferimento
«Dopo un mese circa di permanenza, Ballabio fu ritenuto un luogo pericoloso per me e altri eroici personaggi, indimenticabili, che ci sono stati nella mia vita, mi trasferirono da lì a Castellanza, in casa di altri amici altrettanto eroici che si chiamavano Civelli. Anche dopo 80 anni mi ricordo luoghi, visi, figure di eroi mai dimenticati».
La storia di Liliana Segre
Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre 1930, da una famiglia laica di origini ebree. Rimase orfana della mamma Lucia quando aveva solo un anno e quindi visse con il papà Alberto e con i nonni paterni. Da bambina non aveva idea di appartenere ad una famiglia ebrea, ma furono le leggi razziali a segnare una svolta nella sua vita: infatti nel 1938 venne espulsa dalla scuola per le sue radici. Poi le persecuzioni che nel 1943 la costrinsero a tentare la fuga verso la Svizzera con il padre.
Il piano non ebbe successo: rispedita indietro, la ragazzina venne arrestata e detenuta col suo papà a Milano per più di 40 giorni. Come dicevamo aveva appena 13 anni. Ormai finita nelle mani delle autorità, Liliana venne deportata dall’ormai tristemente noto binario 21 della stazione di Milano Centrale. Il 30 gennaio 1944 fu costretta, con il padre, a salire a bordo di un convoglio diretto al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Dopo 7 giorni di viaggio in condizioni disumane, la ragazzina venne separata dal papà, che che poi fu ucciso poche settimane dopo. Con il suo numero stampato sulla pelle (75190 - questa la sua matricola), Liliana lavorò per un anno in una fabbrica di munizioni riuscendo a scampare alla cosiddetta «soluzione finale». All’inizio del 1945, fu costretta dai nazisti (che erano ormai con le spalle al muro per l’avanzata dell’Armata Rossa) ad affrontare la marcia della morte verso la Germania. Il 1° maggio 1945 venne finalmente liberata dai soldati russi: fu una dei pochi sopravvissuti a questa terribile follia. Prima di essere deportata, Liliana Segre fu ospitata a Ballabio dalla famiglia Pozzi per un mese, un ricordo profondo che parla di umanità e dolcezza di cui la senatrice a vita ha voluto farci dono.