"La tassa mafiosa grava sulla nostra società": partecipato l'incontro con Dalla Chiesa e Dolci
Organizzato dalla Sottosezione dell'Anm di Lecco, dall'associazione culturale "Bang" e dall'Associazione Nazionale Italiana Magistrati, si è tenuto ieri sera a Lecco, in Sala Don Ticozzi
"La mafia impone una tassa sulla nostra società, diversa dal pizzo: una tassa generale, perché fa pagare alla società il prezzo della sua presenza. Discutiamo spesso dei giovani italiani che vanno all'estero; è inutile che ci chiediamo come mai se ne vanno: se ne vanno perché in Italia non trovano strade per eccellere, perché qui il merito non è una qualità. Se ne vanno per colpa di un sistema antimeritocratico di cui la mafia è al centro": lo ha detto il professor Nando Dalla Chiesa - scrittore e docente di "Sociologia della criminalità organizzata" all'Università degli Studi di Milano, nonché figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso da Cosa nostra - nel corso dell'incontro tenutosi ieri sera, martedì 1° luglio 2025, in Sala Don Ticozzi, a Lecco, all'interno del "Progetto Legalità", organizzato dalla Sottosezione dell'Anm (Associazione Nazionale Magistrati) di Lecco, dall'associazione culturale "Bang" e dall'Associazione Nazionale Italiana Magistrati (Nim), e patrocinata dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Lecco. Oltre a Dalla Chiesa, ospite di spicco della conferenza - sul tema "Antimafia in Lombardia: ieri, oggi e domani" - anche la dottoressa Alessandra Dolci, procuratore della Repubblica aggiunto al Tribunale di Milano e coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia, magistrato in prima linea nel contrasto alle mafie.
"La tassa mafiosa grava sulla nostra società": partecipato l'incontro con Dalla Chiesa e Dolci
Dopo i saluti introduttivi del presidente del Tribunale di Lecco, Marco Tremolada, della presidente della Sezione Penale del Tribunale di Lecco, Bianca Maria Bianchi, del presidente dell'Ordine degli Avvocati di Lecco, Elia Campanielli, del pubblico ministero Chiara Stoppioni, e del giudice Gianluca Piantadosi, si è entrati nel vivo della serata, moderata dal dottor Piero Calabrò e dall'avvocato Roberto Romagnano, che ha visto la presenza anche del prefetto Sergio Pomponio.

Come hanno ricordato Romagnano e Calabrò a inizio serata, è proprio la ricchezza del territorio lombardo ad attirare le organizzazioni criminali; basti pensare che l'anno scorso in Lombardia sono state comminate 67 interdittive antimafia, anche se la società tende a minimizzare il problema: proprio per questo nel 2012 Anm Sezione di Lecco ha deciso di promuovere il "Progetto Legalità", al fine di organizzare incontri rivolti alla cittadinanza con esponenti di spicco nella lotta alle mafie.
E' stato infatti più volte sottolineato, nel corso della serata, come criminalità organizzata e criminalità economica vadano sempre a braccetto, senza però fare riferimento ai massimi sistemi: "L'economia della mafia è maledettamente terrena - ha sottolineato infatti il professor Dalla Chiesa - è quotidiana e passa attraverso i mestieri più umili; d'altra parte il primo camorrista in Lombardia faceva il muratore. Le mafie sono organizzazioni abituate a crescere nei piccoli comuni, dove rifondano comunità simili a quelle dei loro luoghi d'origine".
Troppi, però, sono ancora poco propensi ad aprire gli occhi, mentre, come sottolineato dal professore, "la Lombardia è senza dubbio la seconda regione per 'Ndrangheta in Italia": "Credo che dovremmo fare un bagno di verità, liberarci dalle convinzioni che si sono accumulate nel tempo: per anni abbiamo sostenuto che la mafia in Lombardia non ci fosse, e, quando ormai ce la siamo trovata davanti agli occhi, abbiamo creato delle condizioni che ci facessero pensare che comunque, quotidianamente, non abbiamo occasione di vederla. Invece, i mafiosi sono quelli del bar di sotto, quelli che salutiamo per strada, quelli che 'peccato, era una così brava persona...'. Un'antimafia senza consapevolezza non può avere una grande forza". Da qui l'invito di Calabrò ad aprire gli occhi e trasformarci in "sentinelle della legalità".

Sul rapporto tra criminalità organizzata e criminalità economica è tornata anche la dottoressa Dolci: "Combattere la criminalità organizzata significa combattere la criminalità economica. In un arco di tre anni la provincia di Como ha visto 462 reati spia segnalati (ad esempio il bossolo di minaccia, la ruspa incendiata, eccetera), mentre dopo l'indagine 'Infinito crimine' questi episodi si contano sulle dita di una mano. Come iniziano allora le segnalazioni di attività mafiosa? Attraverso le segnalazioni delle operazioni sospette: abbiamo stipulato protocolli di collaborazione con l'Agenzia delle entrate. Infatti, una delle manifestazioni attuali della mafiosità si cela dietro l'insolvenza: parliamo, ad esempio, di cooperative che eseguono appalti medio grandi a prezzi fuori mercato perché alla base non versano i contributi e non pagano le imposte. Chi ne trae vantaggio? L'impresa committente, che riesce ad avere prestazioni a prezzi stracciati, e quindi a mettere sul mercato prodotti a prezzi estremamente competitivi. A nessuno quindi interessa denunciare questo sistema. In particolare, sosteniamo che vi sia un consorzio mafioso lombardo che vede la compresenza di soggetti che fanno riferimento a esponenti di Cosa Nostra, Camorra e 'Ndrangheta, e che mette a fattor comune società che si occupano di fatture fittizie, di fittizi crediti di imposta, eccetera, e che così hanno creato ingenti flussi economici. C'è davvero la volontà di combattere le mafie da parte dell'autorità politica? Io sono un po' perplessa: oggi significa combattere l'evasione fiscale, e io non colgo questa volontà, mentre i mafiosi colgono questa opportunità".

Inoltre, negli ultimi tempi sono cambiate anche le dinamiche imprenditori/mafie: "Nell'immaginario di qualche anno fa pensavamo all'imprenditore come ad una vittima; ora spesso non è più così: molte volte è l'imprenditore stesso a cercare i servigi del mafioso. Si tratta di una questione culturale: se gli imprenditori agiscono sempre e soltanto secondo logiche di convenienza, allora è difficile combattere le mafie". E ancora: "Non è vero che non siamo consapevoli della presenza di esponenti mafiosi sul nostro territorio - ha precisato la dottoressa Dolci, facendo riferimento ad una conferenza che aveva tenuto anni fa a Calolzio con una sala piena di cittadini e, alla domanda: "Chi di voi pensa che ci sia la 'Ndrangheta a Calolzio?", tutti avevano alzato la mano - il punto è che dobbiamo conoscerli per poterli riconoscere, e poi, se e quando ci sarà modo di interagire con loro, dobbiamo fare la scelta giusta".
Per non chiudere la serata all'insegna del pessimismo, la dottoressa Dolci ha concluso il suo intervento facendo riferimento alle contromisure esistenti di fronte all'avanzare delle mafie: "Sinceramente - ha spiegato - io la luce la vedo negli studenti: loro sono il nostro presente e il nostro futuro. E' necessario fare formazione non solo nelle scuole, ma anche nelle associazioni di categoria". Infine, la dottoressa ha sottolineato il grave problema della mancanza di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e la necessità, al fine di scovare tracce di attività mafiosa, di accedere fisicamente ai cantieri per i dovuti controlli, perché spesso le indagini antimafia sulla carta risultano corrette ma, se non si verifica di persona nei cantieri, possono sfuggire eventuali tracce di attività mafiosa.
Infine, spazio alle domande del pubblico, che hanno suscitato una riflessione conclusiva: anche noi, singolarmente, spesso agiamo per convenienza, magari proprio andando a sostenere - più o meno consapevolmente - forme di caporalato che oggi si manifestano non solo nel campo agricolo, ma anche nel settore del delivery e della logistica. Accade, ad esempio, tutte quelle volte che scegliamo prodotti a prezzi stracciati, senza chiederci come sia possibile che il costo sia così basso. Un invito finale quindi all'impegno, partendo proprio dalla vita personale, nella promozione della legalità; una questione che - accogliendo l'invito ad "aprire gli occhi" - ci riguarda tutti.