VISTI DA VICINO

Guido Puccio: "Politica e Juve, i miei tesori"

Vita pubblica e privata dell’ex sindaco Guido Puccio: "Lettura e scrittura sono le mie compagne fidate"

Guido Puccio: "Politica e Juve, i miei tesori"
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Seconda puntata di "Visti da vicino”, una galleria di ritratti di persone e personaggi pubblici e privati. Interviste pubblicate tutti i lunedì sul Giornale di Lecco e ogni mercoledì su Primalecco e riprese da dietro le quinte con il palcoscenico lasciato a chi è disposto a raccontarsi. Una serie di incontri in chiave lecchese (in un’ampia accezione) cadenzata dalle circostanze e dalle opportunità. Conoscere gli altri torna utile per capire meglio la società e chi ci circonda e magari anche noi stessi. Protagonista della seconda  puntata l’ex sindaco di Lecco Guido Puccio

Vicino ormai agli 83 anni, Puccio divenne sindaco di Lecco nel 1970 e ora è il decano dei viventi. Giovanissimo era già stato segretario della Dc quando ancora dipendeva da Como: proprio nel ‘70 ottenne l’autonomia.

Ricorda la sua elezione a sindaco della città?

«Quando Lecco non era ancora provincia ma si sperava in questa autonomia (poi finita in ben poco) il Comune di Lecco era il riferimento più autorevole del territorio. Di conseguenza i partiti lo tenevano in grande considerazione. Allora la Dc era un partito forte e diffuso e nella classe dirigente di allora la vita politica era intensa. Volevamo proporre la carica di sindaco ad Aldo Rossi, già presidente della provincia di Como, ma il giorno dell’incontro lui non ne volle sapere e indicò me come successore di Alessandro Rusconi, che aveva deciso di non ripresentarsi».
Come è stato poi il suo mandato da primo cittadino?
«Conquistato prima il partito e poi il Comune ci siamo rimboccati le maniche: eravamo quasi tutti giovani e l’entusiasmo era autentico. La prima prova seria, è stata la frana del San Martino. Il Ministero voleva sgomberare Rancio, Laorca e una parte di viale Turati e insisteva. Siamo ricorsi allora, a sola cura del Comune, a un geologo austriaco, che ha stravolto tutti gli studi del Provveditorato alle opere pubbliche, dimostrando che non bisognava fare i valli paramassi ma piuttosto monitorare la montagna in modo permanente. L’ho portato a Roma con l’ingegner Magnani e l’ingegner Seregni, dove ha convinto il Consiglio Superiore del Ministero e dopo pochi mesi le “zone rosse” sono state superate. Oggi non so se il monitoraggio della montagna continua».

Ricorda quei tempi come un periodo bello della sua vita?

«Sono anni lontani ormai. C’era un Consiglio comunale che accoglieva una parte rilevante della città: Fiocchi, Dubini, l’avvocato Rosa, Alborghetti, Somasca, Carmine Mecca, Taroni, Domenico Colombo, Seregni e tanti altri tra imprenditori, dirigenti di azienda, sindacalisti, professionisti. In cinque anni abbiamo fatto cinque scuole, sostituita la rete del gas, creata l’azienda di trasporti pubblici, un nuovo Piano regolatore, le norme e i vincoli per l’edilizia convenzionata, l’impianto di depurazione del Bione. Sempre con il bilancio in pareggio, tra i pochi in Italia. Il Comune di Lecco era stato poi decisivo per l’attraversamento della città in sotterranea, la nuova 36 e la scelta dell’area vincolata al nuovo ospedale. Erano gli anni della prima grande recessione dopo un lungo periodo di crescita, la guerra fredda, il terrorismo. Anni densi di avvenimenti, di incontri, di domanda sociale. La politica coinvolgeva tutta la vita pubblica e c’era più gusto, si poteva cercare la propria identità».

Oggi è cambiata così tanto la scena politica italiana?

«Quello che mi colpisce di più nella politica di oggi è l’incompetenza diffusa che genera improvvisazione e arrivismi. La mia generazione giungeva alla politica preparata nei movimenti studenteschi, nel sindacato, nelle associazioni, nelle iniziative culturali. A vent’anni avevamo già letto Maritain, Mounier, Tocqueville ma anche Croce, Gramsci e i meridionalisti. Non eravamo secchioni perché sapevamo anche divertirci: sopratutto il calcio, con le squadre rionali o studentesche (ho giocato anche con Marco Calvetti, grande centromediano metodista) e la bicicletta. Quando ho fatto il sindaco avevo un Consiglio comunale molto qualificato, che il mai dimenticato Tommaso Morlino, senatore di Lecco, diceva avere più spessore dello stesso Senato della Repubblica. Non si poteva certo né scherzare né sbagliare anche perché non era come adesso, in Consiglio passava tutto. Oggi non mancano persone per bene e preparate, ma sono troppi i “parvenu” senza una storia, senza letture, senza tensione, che dovrebbero rappresentare il Paese. Sono troppi anche quelli senza un lavoro o una professione che vogliono vivere di politica a qualsiasi costo e sotto qualsiasi bandiera. Quando giovanissimo andavo a Roma con il senatore Marcora alle prime riunioni della sinistra Dc, uno dei suoi consigli era quello diffidare sempre in politica ”da chi non ha mai lavorato”. Pensare ad oggi!».


Oggi cosa fa?

«Lavoro ancora, anche se mi sono ritagliato solo un settore specifico della mia professione. Leggo molto, più saggi che romanzi. Gli ultimi sono: uno splendido libro di Ripellino (“Praga magica”) e un saggio di su Hayek, il grande economista austriaco. Prediligo i libri si storia, e mi affascina il Cinquecento, quando è nato il mondo moderno. Sul comodino i libri fissi sono la Bibbia e Montaigne. Tra i libri ricordati con più nostalgia quelli di Enzo Bettiza e di Gianni Brera, anche per il fatto di avere conosciuto i due personaggi. La musica preferita, per non dire esclusiva, Bach e Beethoven. Non so con quali risultati, ma mi diverte scrivere, infatti da anni ho un blog particolarmente seguito. Scrivo di economia, di politica, non disdegnando recensioni di libri e racconti di viaggi».

Quali altri hobby aveva in gioventù?

«Mi mancano le mie montagne, perché le gambe non tengono più a lungo. La domenica era una regola andare al San Martino, in Grigna o al Resegone. Le vacanze in Val Badia sono un ricordo nostalgico. Ogni anno mia moglie, scomparsa sei anni fa, sceglieva itinerari diversi. Le salite con il passo che diventava costante e le discese tranquille con la mia pipa accesa. Mi manca l’odore del bosco la mattina presto. Molto meno il lago, anche se da lecchese mi sento uomo “di boschi e di riviera”».

Cosa si può dire, invece, del suo lavoro?

«La mia professione non l’ho ereditata, ma me la sono costruita da solo. Durante gli studi universitari lavoravo ed ero consapevole di che cosa sia il lavoro. Quando ho vinto una borsa di studio per uno “stage” a Londra la sera lavavo i bicchieri in un pub. Ho scelto due strade nella professione, l’azienda e le procedure concorsuali. Ho così vissuto gli anni della crescita del nostro Paese, quello delle aziendine che crescevano fino a diventare quelle che oggi si chiamano “multinazionali tascabili”. Ho seguito così imprese in molti Paesi europei, in America e in Estremo oriente».


Anche in questo campo ha qualche ricordo particolare?

«Tra le procedure concorsuali la più grande soddisfazione è stata la amministrazione straordinaria di Manzoni Presse, dichiarata in default con trecento operai sul piazzale, ventisei commesse bloccate e le banche che ti davano un euro. Dopo due anni di gestione l’ho venduta a una multinazionale giapponese che l’ha rilanciata e ha investito venti milioni di euro».

E per la nostra città ha qualche rimpianto?

«Avevo un disegno ambizioso quando a Lecco hanno chiuso le grandi fabbriche: raccogliere in una società consortile le aree Badoni, Sae, Forni e Impianti e far disegnare da urbanisti capaci un nuovo centro della città, quasi tutto pedonale, dove raccogliere tutti gli uffici pubblici della futura Provincia anziché averli sparsi, dal Bione a Castello, da Olate a Pescarenico. Non è riuscito perché i proprietari delle aree volevano fare da soli e in fretta, e i bocconi erano troppo ghiotti sia per i proprietari stessi che per i costruttori. Ho vissuto anche la fine della Banca Popolare di Lecco e con Cesare Golfari eravamo riusciti nei giorni decisivi, tramite Guido Carli, allora Ministro del Tesoro, a salvare la possibilità di mantenerla lecchese tramite una fusione con altra popolare da incorporare. Ma alla fine si è opposto chi riteneva di essere il padrone. E poi l’ha persa».

 

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