Tanti in Basilica per la messa per papa Francesco
Don Bortolo Uberti: "Questi giorni, nel silenzio, sono i giorni della riconoscenza".

È stata celebrata, nella serata di giovedì 24 aprile 2025, nella basilica di San Nicolò gremita di gente, la solenne concelebrazione funebre in suffragio di Papa Francesco. Tanti lecchesi hanno presenziato alla funzione a dimostrazione di quanto, il pontefice fosse amato.
La messa per papa Francesco
La funzione è stata presieduta dal vicario episcopale della nostra zona monsignor Gianni Cesena poi il prevosto di Lecco don Bortolo Uberti, ha pronunziato l’omelia. In Basilica c’erano don Andrea Lotterio e tutti i sacerdoti dei rioni della città. Fra le autorità erano presenti il prefetto Sergio Pomponio, la presidente della provincia, Alessandra Hoffman, il sindaco Mauro Gattinoni, il questore Stefania Marrazzo e il Comandante Provinciale dei Carabinieri Nicola Melidonis.




Don Bortolo: "Il mistero della morte reclama silenzio"
"Il mistero della morte - ha detto don Bortolo - di suo, reclama silenzio. Quello di chi è segnato dal dolore, quello di chi comprende di stare su una soglia che sfugge al proprio controllo, quello di chi sosta stupito e rispettoso di fronte al dono della vita del fratello. Ma questi sono giorni travolti da onde inarrestabili di parole, sincere e meno, benevole e meno, di ogni genere e forma. Io, questa sera, vorrei chiedermi: come un cristiano, una comunità, vive la morte di papa Francesco? Con quali atteggiamenti, con quali sentimenti? Questi giorni, nel silenzio, sono i giorni della riconoscenza. Rendiamo grazie a Dio per papa Francesco. Ciascuno ha motivi veri per farlo. Ognuno ha i suoi. La chiesa intera ne ha tanti. Francesco è stato un pastore che, come Pietro dice nella pagina di Atti che abbiamo ascoltato, ha obbedito a Dio invece che agli uomini e, nello Spirito santo, è stato un testimone di Gesù e della sua pasqua. Un pastore che ha saputo camminare spedito davanti al gregge nel condurre la chiesa dentro le sfide complesse della contemporaneità e dentro le periferie estreme della terra e dell’esistenza di ogni uomo. Ha saputo camminare in mezzo al gregge con un’umanità forte e fragile al contempo, senza maschere e in ascolto di tutti. Ha saputo camminare in fondo al gregge, là dove i più deboli restavano indietro, per non perdere nessuno e per salvare l’unità del gregge. Grazie papa Francesco!".




I giorni della preghiera
"Questi giorni, poi, nel silenzio, sono i giorni della preghiera. Le parole di un cristiano, della chiesa, in questo momento non sono quelle del giudizio, della critica o del pettegolezzo. Sono quelle della preghiera. E sono le parole più belle perché generano comunione. Stimo la sapienza di Gamaliele che, nel processo agli apostoli, esorta i membri del sinedrio a non occuparsi di quegli uomini e a lasciarli andare perché se la loro opera viene da Dio non potrà essere distrutta. Sarà Dio a confermarla. Papa Francesco è stato un profeta coraggioso e come i veri profeti si è misurato con l’incomprensione, l’accusa, la solitudine. Chiediamo a Dio di custodire il seme della sua profezia di pace, di fraternità, di cura per gli ultimi e per quanti sono stati scartati. Chiediamo a Dio che l’eco della voce di Francesco continui a rimbalzare nella nostra intelligenza e nel nostro cuore, rimbalzi in ogni angolo della terra perché non sia risparmiato nessuno sforzo nel tessere trame di riconciliazione e di pace, trame di solidarietà con i poveri, con i migranti, con quanti stanno in una minoranza screditata ed emarginata, trame di fraternità nell’ascolto e nel dialogo con ogni uomo. Chiediamo che l’eco della voce profetica di Francesco, seppure scomoda, scandalosa, urtante, continui a scuotere le nostre coscienze, tentate sempre dalla normalità e dall’indifferenza. Preghiamo con te e per te, papa Francesco, come tu non ti sei stancato di chiedere.
Infine, questi giorni, nel silenzio, sono i giorni dell’affidamento. Non siamo noi a tenere in mano i fili della storia e della chiesa. Non siamo noi, con i nostri gusti, le opinioni, i calcoli, le previsioni a orientare il futuro della chiesa e del vangelo, per fortuna. Come la prima comunità apostolica ripetiamo ancora: lo Spirito santo e noi. A questo Spirito ci affidiamo certi che ci guiderà alla verità, saprà consolarci, suggerirci cosa dire e cosa fare. Pietro e i suoi, rimessi in libertà dopo essere stati flagellati, se ne vanno lieti, nella gioia, e non cessano di entrare nel tempio e nelle case di tutti. Francesco è stato un padre che non ha smesso mai, fino alla fine, di esortarci alla gioia del vangelo, alla letizia dell’amore, alla lode per il creato, a rallegrarci ed esultare come Gesù ha insegnato di fronte all’umiliazione e alla persecuzione. Francesco è stato un padre, con la sua umanità, con il suo carattere, con i limiti che sapeva riconoscere e di cui chiedeva scusa, un padre che parlava al cuore, entrava nelle case di tutti, a volte con una telefonata o con una visita. È stato il padre che, come ogni buon genitore, si è fatto vicino ai suoi figli più fragili, a quelli ammalati, a quelli che hanno sbagliato. La sua ultima uscita dal Vaticano è stata quella che lo ha portato dentro un carcere romano. Ha fatto pasqua lì. Come ogni papà e ogni mamma trascorrono le feste accanto ai figli in difficoltà. Lo ha fatto nella libertà di chi si è fidato del Dio che lo ha chiamato alla sequela. Le sue ultime parole nel messaggio Urbi et orbi di domenica scorsa, le ultime del suo magistero, sono state: “Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose”. Ci affidiamo anche noi, papa Francesco, come hai fatto fino alla fine, all’abbraccio misericordioso del Padre. La nostra comunità vive così questi giorni: nella riconoscenza, nella preghiera e nell’affidamento, custodendo gelosamente la memoria di papa Francesco, pastore, profeta e padre".
Mario Stojanovic

